lunedì 14 aprile 2025

Transizione “green”? Sì, al green militare però

 


Mosca fa strage di civili ucraini nella Domenica delle Palme. I filoucraini inveiscono contro Mosca mentre i filopalestinesi subito evocano Gaza.

Il problema dei problemi dell’ Europa e dell’ Italia è il non riconoscimento del nemico. E di conseguenza dell’amico. Ne deriva un clima di confusione generale, segnato da accuse e insulti reciprici. Un’atmosfera politicamente malsana che porta all’inazione militare e al pericoloso pacifismo di maniera. Da malati terminali di pace che travisano i sintomi di guerra, anche i più gravi.

La Russia? Basterebbe un piccolo segnale di pace. Gli Stati Uniti? Trump in fondo con i dazi fornisce una preziosa opportunità. La Cina? Un ottimo partner economico. Israele? Anche qui, si cinguetta, basterebbe un piccolo passo indietro.

Si vuole andare d’accordo con tutti. Convertire al tavolo delle trattative, porgendo l’altra guancia,  chi se ne frega sistematicamente dell’altra guancia (pardon). L’incapacità di distinguere tra amici e nemici rischia di provocare un pericoloso stallo politico europeo. Detto altrimenti:  dinanzi al nemico in armi si continua a evocare la pace oppure a tirarsi i rispettivi morti in faccia.

Non si colgono certi segnali, importanti. Ad esempio, Trump sta organizzando una grande parata militare in giugno per festeggiare lo stesso giorno il suo compleanno e i 250 anni delle forze armate statunitensi.

Si dirà folclore…. Fino a un certo punto. Perché indica un cambio di mentalità. Siamo davanti a una manifestazione di potenza, simbolica se si vuole, inconsueta per gli Stati Uniti, all’altezza però delle visioni militariste del mondo russo e cinese (*). Mentre l’ Europa gioca con le figurine pacifiste…

Si vuole la pace, come se dipendesse solo da noi europei, e non “anche” dal nemico che ci indica come tali. La pace si fa sempre in due. Verità banale, ma dura da comprendere.

Le posizioni di Starmer, Macron e probabilmente del prossimo governo tedesco guidato da Merz sono favorevoli al riarmo. Il che è incoraggiante. Però si deve ragionare anche in termini di un progetto comune di riorganizzazione dell’industria militare europea, in chiave comunitaria, e di organizzazione di un vero e proprio esercito europeo. Aumentare singolarmente (in chiave “punto e basta”) la quota di Pil suona come furba manovra diversiva. Stesso discorso per le oziose polemiche su quali fondi usare.

L’Italia, governata dalla destra, tenterà di sottrarsi, puntando su calcoli da ragioniere condominiale. Ovviamente dopo aver giurato fedeltà con la mano sul cuore agli immortali principi.

Non si vuole capire che i veri amici sono qui in Europa e che non è necessario arrivare fino in Cina o volare da Trump. Però la cosa deve essere reciproca. Anche Francia, Gran Bretagna e Germania devono dare prova di buona volontà. Il destino europeo è legato al grado di coesione industriale e militare che l’Unione ( o comunque chi ci starà) riuscirà a perseguire.

Inoltre va ribadita una cosa: sul riarmo – perché nonostante il cambiamento di nome di questo si tratta – si cincischia. Mentre per come stanno le cose, se proprio dobbiamo  parlare di transizione green, si deve aggiungere la parola "militare":  "transizione green militare".

Ripetiamo: L’ Europa e l’Italia non possono non riarmarsi fino ai denti. E soprattutto ragionare in termini post Nato. Dispiace dirlo, ma al momento spetta all’Europa il compito di levare in alto la bandiera dei valori occidentali. Può darsi che Trump venga spazzato via. Ma come? Quando? Come recita l’adagio “chi di speranza vive disperato muore”.

Pertanto, anche se non facile, si deve puntare sull’ unificazione delle forze armate e sulla pianificazione militare, a cominciare dalla strenua difesa dell’Ucraina, come se gli americani già avessero ritirato le loro truppe dall’Europa. Serve una specie di Banca Centrale dei cannoni, degli aerei, dei missili. I “tassi” sui quali lavorare sono quelli delle testate, cioè delle armi nucleari, convenzionali o meno.

Per capirsi: crediamo che i generali europei, in attesa dell’unificazione a chiacchiere, debbano godere (certo, bisogna guadagnarsela) della stessa importanza dei banchieri. I quali, a loro volta, a livello concreto di Banca Centrale Europea (fuor di metafora militar-bancaria) possono finanziare riarmo e riorganizzazione. Ovviamente generali non alla Vannacci, amici del giaguaro.

Si chiama economia di guerra. Brutto nome. Ma la realtà è questa. E si badi, ci si deve muovere sul piano europeo. L’Italia della Meloni, con le bandierine tricolori e le fiammette neofasciste al seguito, da sola, non andrà da nessuna parte.

Trump, Putin, Xi, rispettano solo chi ha una forza militare pari o superiore alla loro. Se non si capisce questo, l’Europa assomiglierà sempre più al vaso di coccio tra i vasi di ferro.

E non c’è tempo da perdere. Perché le sinistre, quando in buona fede, sono ingenuamente francescane. Mentre le destre, soprattutto le estreme, sono filoputianane e filotrumpiane. E detestano il riarmo – “questo” riarmo ovviamente – perché in fondo accettano la subordinazione, agli Stati Uniti e alla Russia in primis. Cosa tra l’altro in contrasto con l’ ideologia nazionalista e militarista che anima le destre.

Inoltre una sterzata militare permetterà anche di chiarire le posizioni interne all’ Unione europea. Insomma, meglio pochi ma buoni.

Ricapitolando: 1) individuazione dei nemici (Russia, Stati Uniti, Cina) e degli amici (Gran Bretagna, Francia, Germania, unitamente agli stati favorevoli al riarmo europeo); 2) riarmo comunitario, rapido e potente.

Se nel 1941 toccò gli Stati Uniti levare in alto la bandiera dell’Occidente, oggi è il turno dell’Europa. Certo, le divisioni, l’accidia, il pacifismo, la confusione programmatica, sembrano prevalere. Del resto si tratta di perseguire una “mutazione” antropologica prima che militare. Di riacquisire la capacità mentale di pensare la guerra, il nemico e l’amico.

La metapolitica può dare indicazioni sulle possibili conseguenze delle nostre azioni. Per capirsi: se si vuole la pace, ci dice che si deve fare questo e questo, se si vuole la guerra, questo e quest’altro.

Però, ecco il punto, la decisione tra pace o guerra spetta a noi. Perché non si può essere al tempo stesso per la pace e per la guerra o addirittura confidare stupidamente che sarà qualcun altro a fare la guerra o la pace per noi.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://people.com/donald-trump-planning-military-parade-on-birthday-reports-11711374 .

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