C’è sempre un lato tragicomico nelle vicende umane, anche nella morte di un Papa, argomento che invece andrebbe affrontato con la massima serietà.
A cosa ci riferiamo? Al solito teatrino politico, ovviamente dai toni molto accesi. Da una parte la sinistra che considera Papa Bergoglio una specie di San Francesco redivivo (si sprecano titoli come “il Papa degli ultimi” ). Dall’altra la destra che invece, anche dopo morto, lo ricorda non simpaticamente come un “Papa rosso”.
Di conseguenza l’enorme distanza tra le due definizioni fa sorridere; per alcuni è morto un santo, per altri un diavolo. Il che è tragicomico, come dicevamo, perché o si è l’uno o si è l’altro. Un papa con la coda del diavolo che spunta da sotto la tonaca è roba da anticlericalismo ottocentesco, che oggi fa sorridere.
In realtà Francesco va ricordato come il Papa populista per eccellenza: un anticapitalista, erede di certa cultura peronista, da caudillo di successo, quindi statalista di tipo sudamericano, che vede nella libertà, non solo economica, qualcosa di pericoloso. E nel consumismo un sottile e mortifero veleno per il popolo.
Idee difese fino all’ultimo: si pensi a una delle sue ultime apparizioni, spettinato, in maglietta della salute, poncho, commovente quanto si vuole, ma decisamente irrituale. Però, come si dice, lo stile è l’uomo. Anche a cinque minuti dalla fine. E non parliamo di un vecchietto qualsiasi, malato, ospite di qualche scalcinata Rsa pubblica. Ma del Papa. Che usciva da Santa Marta, una specie di hotel a cinque stelle.
Il populismo di Papa Bergoglio ha fatto bene o male alla Chiesa cattolica?
A nostro avviso il populismo di Francesco si è inserito, accentuandolo, in quel processo di trasformazione della Chiesa da ideale custode della Salvezza (ovviamente per il credente) in pragmatica multinazionale della carità. Una Chiesa che si interroga quasi sempre con enorme superficialità sul fondamentale ruolo della ricerca del profitto nella società moderna. Un processo di trasformazione che non risale al Concilio Vaticano II (1962), come spesso si dice, ma alla sfida della modernità economica, che ci riporta direttamente al Vaticano I (1869) e in particolare alla Rerum Novarum (1891)
Di conseguenza Papa Francesco è piaciuto ai populisti di destra e sinistra, ma non ha incontrato i favori dei tradizionalisti, che continuano a scorgere in lui, anche da morto, un nemico del sacro, e neppure dei liberali che non hanno mai apprezzato la sua superficiale critica al liberoscambio.
Va anche detto che Papa Bergoglio ha invece ottenuto i favori di certa sinistra intellettuale che, da protestanti in ritardo di cinque secoli, aspirava ed aspira alla riforma del cattolicesimo in chiave democratica (un controsenso, ma questa è un'altra storia...), e che ha visto in Francesco una via di mezzo tra Lutero ed Erasmo. Un nome per tutti: Eugenio Scalfari.
In realtà il giudizio storico su Papa Francesco dipende dalla valutazione del processo cui abbiamo già accennato. E che verte sulla trasformazione della Chiesa cattolica in macchina che non fabbrica più dei ma poveri.
Come? La ricetta è antica: giocando sul senso di colpa dei ricchi. E conferendo alla povertà uno status sociale privilegiato. Di qui l’anticapitalismo della Chiesa. Che finge di non sapere che il capitalismo,, senza neppure porsi l’obiettivo, ha fatto uscire dalla povertà miliardi di persone. Fatto che trova conferma in qualsiasi manuale di storia economica. Storia, attenzione, non statistiche, spesso manipolate dai nemici del capitalismo, schiacciate sulle difficoltà contingenti del presente. Statistiche “presentiste” che ignorano il grande cammino fatto. E che ancora può fare il capitalismo.
In sintesi: la Chiesa come macchina per fabbricare poveri. Il che, per capirsi, non aiuta le persone a rialzarsi. Crea solo dipendenza, e conseguenza non voluta dalla Chiesa, risentimento sociale. Quindi il nostro giudizio è negativo.
Ovviamente ci si può rispondere che il nostro è solo bieco materialismo sociologico e che la Chiesa è molto più di una struttura sociale: non cura solo i corpi ma soprattutto le anime, eccetera, eccetera.
Il che spiegherebbe, proprio da parte di Francesco, la difesa, peraltro rapsodica, dei grandi principi, a cominciare dalla condanna del diritto all’interruzione di gravidanza e di altri cavalli di battaglia laici e liberali. Tra l’altro scontentando in questo modo anche i tradizionalisti. Dal momento che gli atteggiamenti, in particolare il famigerato possibilismo di Papa Bergoglio (“Chi sono io per giudicare”), non erano, non sono, non saranno mai amati dai sostenitori del Papa-Re.
Per questa ragione riteniamo inutile affrontare le questioni teologiche e dottrinarie. L’unico vero processo in corso è quello sociologico, metapolitico se si vuole, legato alla trasformazione della Chiesa cattolica in macchina per fabbricare poveri. Che, "tecnicamente" parlando, si potrebbe far risalire alla Rerum Novarum (1891) di Leone XIII. Oltre, ovviamente, ai famigerati principi contrivoluzionari, post Rivoluzione francese, culminati nel Sillabo (1864) e nella conferma del Vaticano I (1869). E dal 1891, si badi, di encicliche sociali ne seguirono altre tredici (quattro solo di Francesco) (*): una prolificità più che secolare riguardo al sociale che sembra non avere precedenti nella storia della Chiesa. Un pauperismo in qualche misura recepito e consacrato dal Vaticano II (1962).
Per inciso, a proposito del pauperismo, in termini di storia delle idee, si potrebbe tornare indietro fino ai Vangeli. Ma, sociologicamente parlando, i vangeli sono movimenti, stato nascente, le encicliche invece istituzioni e gerarchie. C’è una bella differenza. Si pensi a quella che correva tra lo stile comunitario, di qualsiasi centro sociale e la sede del Pci, solo giacche e cravatte, di via della Botteghe Oscure. Chi aveva nelle mani il potere? Il Pci. Come oggi la Chiesa. Quindi il populismo cattolico potrebbe non essere genuino. O comunque dedito, visti i tempi, a racimolare fedeli, assistendoli, tra “gli ultimi”. Il pauperismo dei Vangeli è vissuto allo stato nascente, quello della Chiesa è un bisogno istituzionale. E indietro, salvo terremoti sociali, non si torna. Da istituzione non ci si può fare movimento. Delle due l'una.
Papa Bergoglio, come detto, non si è mai discostato dalla linea populista, anzi l’ha favorita per quanto ha potuto. Dodici anni di pontificato non sono tanti ma neppure pochi. Comunque sufficienti per corroborare, suffragare, sostenere strategie populiste.
Quanto al successore, al di là delle dietrologie sulle “promozioni” pre mortem di Bergoglio, sarà difficile invertire una linea di tendenza che ormai ha più di un secolo. La Chiesa per ora continuerà a fabbricare poveri. Il successore di Francesco sarà un altro manager della carità globale.
Carlo Gambescia
(*) Per un rapido giro di orizzonte in materia, si veda qui: https://ucid.it/blog/2014/10/29/dieci-encicliche-sociali-dalla-rerum-novarum-alla-caritas-in-veritate/ ; e qui: https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals.html .
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