sabato 18 maggio 2024

Questione “gender”: lasciar fare, lasciar passare

 


Il lettore che ci segue, saprà già da tempo come la pensiamo sulla questione di “scegliersi il genere”, come la definisce polemicamente la destra. Però magari una rinfrescatina…

Una destra che ieri non ha firmato il patto europeo o dichiarazione sulle politiche europee a favore delle persone lgbtq+.

Diciamo pure che la destra vuole vietare, la sinistra permettere. Che cosa? Non si capisce bene. Semplificando, impropriamente, la sinistra parla di eliminare ogni discriminazione giuridica di tipo sessuale, la destra invece di rispettare l’identità biologica dell’uomo e della donna. Vasti programmi, per dirla con Charles de Gaulle.

Ieri sera sulla rete Tre, la Rai ha trasmesso il film di Gianni Amelio sul caso Braibanti. Un professore marxista che negli Sessanta a causa della sua omosessualità, anzi come allora  si  diceva brutalmente un "invertito", venne perseguitato da una società ipocrita e nevrotica. Giudicato come un malato contagioso. 

Era la stessa Italia, priva di una legge sul divorzio, dove un marito poteva mandare in prigione la moglie “adultera”. Un film duro, molto istruttivo. Ovviamente per chi  tutttora  desideri interrogarsi sulle radici politiche e sociali dell’arretratezza italiana. Oggi fortunatamente non è più così. I costumi sono mutati. Ecco il punto fondamentale.

Infatti il vero nocciolo della questione è rappresentato dal valore che si attribuisce alla capacità delle leggi di cambiare i costumi. Dicevamo che l’atteggiamento degli italiani non è più quello retrivo dei tempi di Braibanti. Questo mutamento può essere collegato al lento cambiamento dei costumi o al potere innovatore delle leggi?

Negli anni in cui Braibanti veniva condannato si preparava in Occidente quella che venne definita, forse impropriamente, la “rivoluzione sessuale”. Una rivoluzione culturale, nella mentalità, indolore ma profonda che in sessant’anni ha sradicato le idee retrive che condussero alla condanna di Braibanti. Oggi un processo del genere sarebbe impossibile.

Ed è questa la ragione perché riteniamo si debba lasciar fare ai costumi. Il che significa legiferare in questo campo ( e non solo) il meno possibile. Proprio per evitare, che sorgano nell’ambito privato, diremmo intimo della persone, inutili e pervasivi conflitti politici in cui – si faccia attenzione – il privato diventa pubblico, il pubblico, politico, e il politico legge, e la legge costrizione in un senso o nell’altro. Per capirsi, nel conflitto inevitabilmente la legge finisce per penalizzare gli uni, premiare gli altri.

Vincitori e vinti, insomma. Una norma per alcuni è fonte di diritto, per altri fonte di discriminazione. La legge, se i costumi non sono maturi, si trasforma nella prosecuzione della politica – nel senso dei vincitori e vinti – con mezzi giuridici.

Si prenda la dichiarazione, di cui parlavamo nell’incipit, per la destra è una dichiarazione di guerra, per la sinistra una bandiera di combattimento. Non è sociologicamente sano. Ciò accade perché una parte di società sostiene la destra, l’altra la sinistra. Il che significa un sola cosa: che nel suo insieme, proprio perché divisa, la società non è culturalmente pronta.

Si faccia un passo indietro. All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, il divorzio era ormai accettato dalla gente comune. Il costume lo riteneva più che giustificato. E il referendum, che si proponeva di abolire la legge in proposito, venne respinto dagli italiani. E lo stesso si verificò anni dopo per la legge sull’interruzione di gravidanza.

Si lasci fare al costume. Ad esempio nell’articolo 29 della Costituzione, si legge che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Nulla dice sulla sua composizione. Quindi nulla vieta che due uomini o due donne contraggano matrimonio.

Questo principio dell’astrattezza e della generalità, sembra fatto apposta per rispettare e recepire in chiave inclusiva non esclusiva il cambiamento dei costumi. Ed è questa la via maestra da seguire. Non quella di legiferare a tutti i costi con fughe in avanti o indietro rispetto alla dinamica dei costumi. Quando non c’è sintonia tra legge e società quasiasi intervento legislativo in materia di costumi viene inevitabilmente vissuto in chiave divisiva, proprio perché i tempi non sono ancora maturi. Ogni corda sociale che si tocca per legge finisce per essere quella sbagliata.

Si dirà, che, “furbamente”, non entriamo nel merito della questione dei generi, eccetera, eccetera. Che non ci schieriamo, e così via. Non è questo il nostro scopo. Il che non significa favorire, da parte da nostra, e in modo preconcetto, l’ingessatura della società

Per dirla brutalmente, riteniamo sia giusto disinteressarsi della società, soprattutto sul piano politico-legislativo. Lasciar fare, lasciar passare: gli esseri umani devono fare da soli, procedendo liberamente per tentativi ed errori (o orrori, purtroppo come nel caso del professor Braibanti), selezionando, spesso senza neppure accorgersene, le istituzioni funzionali a un certo stadio della dinamica sociale.

Non esiste un mondo perfetto. Né lo si può realizzare per decreto. Secondo Montesquieu e Tocqueville, per fare il nome di due pensatori che la sapevano lunga, sono gli uomini a fare le istituzioni, non le istituzioni a fare gli uomini. Quindi riteniamo sia inutile legiferare sul nulla, cioè sulla società come dovrebbe essere e non come è.

Carlo Gambescia

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