domenica 12 maggio 2024

Il Salone di Torino e le magnifiche sorti progressive del libro

 


Esiste una regolarità sociologica che spiega che sul piano comunicativo un fenomeno ( politico, culturale, sociale, economico) tanto più risulta esteso (rispetto al numero di persone che abbraccia) quanto più il suo messaggio deve essere semplice, se non semplicistico, proprio per essere alla portata di tutti.

Sotto questo aspetto il Salone del Libro di Torino, al centro ogni anno di un dibattito, spesso feroce, tra destra e sinistra, su chi debba essere escluso o incluso, è un fenomeno di semplicismo collettivo. Una grande manifestazione, come tante altre simili, che non è altro che il punto di arrivo di una grande semplificazione. Che arriva da lontano, dal momento che non è una teorizzazione dei moderni, come invece sostengono i pensatori reazionari (ma questa è un’altra storia).

Pensiamo infatti all’antica idea socratico-platonica sul nesso imprescindibile tra conoscenza e virtù. Nel senso che il buon filosofo, proprio perché tale, sia anche virtuoso, un buon cittadino, un buon padre di famiglia, eccetera, eccetera. Il buon filosofo è colui che legge, studia, insegna, approfondisce, insomma traffica con i libri. E poi “applica”, quel che scopre, prima che agli altri, a se stesso

La semplificazione di questa idea rimanda invece alla società di massa. Morto dio, morti in filosofi, è rimasto solo soletto l’uomo comune. Che sembra però stare al gioco. In che modo? In forma semplificata. L’ “uomo medio” dei sociologi, che poi è quello reale, che incontriamo al supermercato, in farmacia, alla fiera del libro, ritiene che basti possedere un libro, diciamo sfogliarlo, per diventare migliori.

Si rifletta. La china del semplicismo è scivolosa. Si sprofonda quasi nel mito: circola una credenza. Che basti toccare un libro per rinascere moralmente. Un giorno lo si leggerà, ma il solo tenerlo tra le mani, quasi come una reliquia, gratifica. Fa sentire virtuosi.

In realtà, il principale problema di coloro che si occupano di statistiche sul “consumo” dei libri (oggi si dice così) è quello di capire se il libro acquistato viene poi letto. Sul punto finora non c’è risposta. Le statistiche si occupano delle copie vendute non di quelle lette. E dove ci si occupa della lettura effettiva, entra in gioco l’attendibilità, come nei sondaggi elettorali, delle risposte degli intervistati. Diranno la verità? E chi lo sa.

Il problema purtroppo è irrisolvibile. Come per fare un altro esempio, quello del rapporto tra pratica e fede nella religione cristiana. Per capirsi, il praticante si comporta secondo i  precetti religiosi? O no? Chi lo può dire.

Si noterà che non abbiamo messo in discussione il nesso conoscenza-virtù. E per una semplice ragione: perché la storia personale dei filosofi, degli scienziati, degli artisti, eccetera, non dà prove sicure (né pro né contro), sul fatto che, semplificando a nostra volta, un “pozzo di scienza” sia anche una “bella persona”.

Se le cose stanno così, tutto il dibattito, soprattutto ideologico (quest'anno tocca a coloro che sono pro o contro Israele), intorno al Salone del libro di Torino, risulta insulso. 

Cioè da un lato è giustissimo che ognuno di noi possa comprare un libro in piena libertà. Però dall’altro non è detto che quel libro renda il lettore virtuoso.Perché entra in gioco un altro fattore: ammesso che chi acquista poi legga, la lettura potrà cambiare in meglio il lettore? Difficile rispondere, dal momento, come detto, che non c’è prova certa  sulla “ forza trasformativa” del nesso conoscenza-virtù. Il che, tra l'altro, rende inutili  le polemiche sul basso o alto numero di lettori, sul cosa fare per incrementare  la lettura, eccetera, eccetera. Ovviamente queste polemiche possono avere un fondamento economico, ma non possono, anzi non devono andare oltre.

Al di là di tutto,  sono problemi complicati.  E proprio perché tali non possono essere accolti e compresi dalla maggioranza delle persone.  Quest'ultima osservazione può risultare addirittura sgradita. Perché si  ribadisce,  offendendo i più,  che la mediocrità, aurea o meno, è patrimonio incapacitante  della società di massa. E sentirsi dare dell’uomo massa, non piace.

Il che non significa che leggere sia inutile. Ci mancherebbe. Però, ecco, senza farsi troppe illusioni sulle magnifiche sorti progressive. Del libro.

Carlo Gambescia

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