domenica 5 maggio 2024

La metafisica di Cacciari? Come la Corazzata Potëmkin

 


Ebbene sì, apertura volgarissima. La Metafisica concreta di Massimo Cacciari è una cagata pazzesca, proprio come la famigerata Corazzata Potëmkin del mitico Fantozzi.

Cacciari, classe 1944, che dagli anni Ottanta del secolo scorso, più longevo di Nilla  Pizzi,  imperversa sui palcoscenici radio-televisivi, è la personificazione dell’ intellettuale che pratica l “obscurum per obscurius” (“l’oscuro per mezzo del più oscuro”). 

Un’ espressione come insegnano i vocabolari, a cominciare dal Treccani, che rinvia a “quelle dimostrazioni o spiegazioni scientifiche che, invece di fornire una chiarificazione del loro oggetto, pretendono di lumeggiarne le oscurità con argomentazioni ancora più oscure, così da renderne la comprensione ancora più difficile di quanto già fosse prima”.

Ieri sul “Foglio” Franco Berardinelli ha massacrato l’ultima fatica di Cacciari (ma la fatica, veramente, la fanno i lettori…). E alla sua magnifica recensione rinviamo.

Berardinelli, argomentando acutamente, ha anticipato  in modo elegante il nostro giudizio fantozziano.

Accostammo Cacciari come lettori negli anni Ottanta. E subito sentimmo puzza di bruciato nel suo stile oracolare, a metà strada tra Nietzsche e Heidegger, che rendeva la pagina illeggibile. Lui risponderebbe subito che le “cose ultime”, proprio perché tali  sono per tutti e per nessuno. Un gioco di parole, che rinvia a un filosofo morto pazzo, e, non per colpa sua (ma dimmi con chi vai e ti dirò chi sei), adorato dai nazionalsocialisti.

Per ora abbiamo sfogliato Metafisica concreta… Letto il volume   qui e là. Siamo quindi superficiali nello scrivere questo note, così, di getto? Forse. Però come diceva un altro filosofo del Novecento, Gigi Proietti: “ Tu m’a rott’er ca’”… Insomma, quando è troppo è troppo.

Diciamo infine che poniamo una questione di metodo: qualcosa che torna sempre nei libri più filosofici  di Cacciari. 

Allora che cosa abbiamo notato? Il rifiuto, o in ogni caso la sottovalutazione, di Kant. Un vero gigante invece. Che con i suoi Prolegomeni ad ogni futura metafisica mise dei precisi paletti cognitivi, puntando correttamente sulla necessità di partire sempre da ciò che è noto ( metodo analitico), evitando così i voli pindarici, di chi invece, come Cacciari, continua a partire da ciò che non è noto (metodo sintetico).

Detto altrimenti: se la metafisica  vuole diventare scienza, deve fare un bagno di realismo, nel senso di partire dalle  cose come sono e non come dovrebbero essere. Si chiama anche umiltà cognitiva. Prerogativa del tutto sconosciuta a Cacciari, che invece edifica le sue tesi sulla boria etimologica. E qui il discorso sul metodo rinvia in particolare a opere precedenti, che invece abbiamo letto integralmente, come L’Angelo necessario (1986), Della cosa ultima (2004).

Cacciari come Isidoro di Siviglia, padre di un divertente (se letto con occhi moderni) enciclopedismo medievale, coltiva l’etimo come un plotone di esecuzione linguistico verso chiunque osi alzare il ditino. Insomma, si prende sul serio. E ogni volta, dopo il colpo di grazia, soffia sulla pistola fumante.  Un’ enciclopedia, la sua, che perciò non ha neppure il pregio di essere divertente come quella di Isidoro.

Però il gioco delle tre carte etimologiche dopo Kant non è più possibile. A meno che non si desideri tramutare la metafisica in un pasticcio di parole e concetti, per giunta oscuri. Si immagini una specie di enciclopedia a rate cacciariana che con la Metafisica  concreta giunge al quarantesimo volume.  Però sul piano del pacco, paccotto e contropaccotto. Filosofico.

Ma si pensi anche a un autoreferenziale romanzone degli Hobbit a sfondo pseudofilosofico. Basta sostituire Tolkien con Cacciari e la mappa delle Terra di Mezzo con la Mappa della Metafisica concreta. E il gioco è fatto.

Resta invece molto divertente, la lettura di non pochi recensori, deferenti, che si affannano – come capitava con un altro mago della pioggia etimologica, Lacan – a trovare o dare un senso, addirittura teologico, all’ universo Hobbit, ateologico, di Cacciari.

Il recensore in affanno ricorda il giornalista sportivo, dopo l’acquisto del classico bidone, magari caldeggiato dalla stessa stampa, che scrive che il calciatore pagato milioni comincia a mostrare qualcosa, che deve ambientarsi, eccetera, eccetera.

Altro che ambientarsi. Cacciari, come detto, imperversa, da quasi cinquant’anni, e per dirla con il Principe ignoto della “Turandot”: il suo mistero continua ad essere chiuso in lui. “Il nome suo nessun saprà / E noi dovremo, ahimè, morir!”…

Ma ci sarà poi un mistero?

Carlo Gambescia

 

5 commenti:

  1. Se non l'ha già fatto, si legga il caustico Alfonso Berardinelli sul sito della Fondazione Hume di Ricolfi.Tout se tient. Saluti

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  2. Visto. E' lo stesso pezzo uscito sul Foglio, magnifico. Che mi ha spinto a scrivere del Potëmkin... :-) A completamento diciamo. Grazie ancora Massimo per la costante attenzione.

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  3. in definitiva, la metafisica o è contemplativa e sovrarazionale, trattando dell'ineffabile, o non è.

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  4. Questa è la tesi di Berardinelli. Una mistica. Se ha pazienza e voglia, dia un'occhiata al primo volume del mio Trattato di Metapolitica, dove mi occupo, anche di metafisica e in termini più concreti rispetto a Berardinelli e Cacciari.

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