sabato 21 dicembre 2024

La “difesa dei confini della patria” secondo Salvini (e la destra)

 


Come al solito ci si perde in chiacchiere. Salvini esce da Open Arms, incredibilmente assolto, e sul piano del discorso pubblico il nullismo politico della sinistra si associa, subendo, alla prepotenza della destra.

Perché nullismo politico? Per la semplice ragione, che è vero, come si legge, che le sentenze della magistratura vanno sempre rispettate, ma è altrettanto vero che le ragioni esposte da Salvini, per difendere il suo abietto operato politico (quindi si va al di là delle questioni giudiziarie), meritavano e meritano una attenta riflessione e discussione. Cosa che la sinistra non sembra ancora aver compreso .

Qual è la tesi di fondo di Salvini e della destra dei “patrioti”, termine ormai inflazionato? Che i confini della patria di difendono vietando ai migranti, alla deriva e in pericolo di vita, di sbarcare sul suolo italiano.

Che la “difesa della Patria” sia “sacro dovere del cittadino” è previsto dall’articolo 52 della Costituzione. Però il punto politico discriminante – qui il nullismo politico della sinistra – è rappresentato da una semplicissima domanda. Da chi vuole difendersi il patriota Salvini? Da Putin , esperto in aggressioni militari, mondialmente riconosciuto? No, dai “pericolosi” migranti.

Si parla di uomini, donne, bambini indifesi che cercano solo una vita migliore, impedita loro dalle inique leggi italiane. Cioè Salvini, provando l’assoluta veridicità di un celebre detto ( “Il patriottismo è l’estremo rifugio delle canaglie”), si accanisce contro i deboli. Una cosa ripugnante.

Ecco ciò che intendono Salvini e i suoi sodali politici (a cominciare dal Giorgia Meloni) per difesa dei confini della patria. Prendere a calci i migranti.

Di questo si dovrebbe discutere. Della canagliata di tramutare i migranti in nemici invasori, per avere mani  libere e  trattarli in modo inumano e illiberale.

Sì, illiberale, dal momento che una sinistra liberale, cosa che la sinistra italiana non è, dovrebbe battersi per il principio dell’ ubi bene, ibi patria.

Principio, al fondo liberoscambista, che vale per i migranti come per le multinazionali, per chi viene dai campi come per l’imprenditore con studi alla LSE. Si chiama libertà di circolazione di uomini e beni. I filosofi la chiamano anche libertà…

E il “pericolo islamico”, gli scafisti “mafiosi”? I due famigerati argomenti usati dalle destre per spaventare gli elettori e – ripetiamo – per poter sbattere la porta in faccia ai migranti?

Il primo, sussiste, ma non è legato ai fenomeni migratori in quanto tali, dal momento che a colpire, come ieri in Germania, sono sempre individui “radicalizzatisi” in un secondo momento. Si tratta di questioni legate al processo di secolarizzazione del migrante, che può riuscire o meno.

Una sfida culturale che però l’Europa deve accettare, per favorire, in futuro, una più ricca e interessante selezione dell’élite dirigenti, aperta ad apporti e  intelligenze che solo l’apertura al migrante può favorire.

Fermo restando, che quanto accaduto in Germania, trattandosi di un saudita, probabilmente di credo sunnita, rappresenta il primo “regalino” indiretto jihadista, dopo la consegna russa della Siria allo stato islamico,  rapidissima tipo Amazon.it.

Probabilmente non vi sarà, come detto, un nesso diretto, però era ed è nelle intenzioni di Mosca, che non ha confini con la Siria, aprire un altro pericoloso fronte nemico per l’Occidente. Altro che debolezza. Mosca si è ritirata, solo per alzare per la posta.

Quanto agli “scafisti mafiosi”, come abbiamo già scritto, vanno invece considerati come il barcaiolo dell’Adda, immortalato da Manzoni, che aiutò Renzo a rifugiarsi nella Serenissima. Si pensi a Renzo felice, che grida, perchè in salvo, "Viva San Marco!". E perché, oggi, non udire,  dalle labbra del migrante  un "Viva l'Italia!". Tra l'altro antico grido di battaglia risorgimentale. Retorica, la nostra? Ci siamo lasciati prendere la mano?  Valuti il lettore.

Salvini, Meloni e sodali usano il termine mafia, che evoca nell’immaginario le bombe contro Falcone e Borsellino, per screditare le Ong, che invece svolgono un encomiabile lavoro. Insomma, un’ennesima canagliata della destra dei “patrioti”.

A questo proposito, il “patriota” Salvini, si rifiuta di difendere i confini della patria, una patria europea, estesa all’Italia, dove invece oggi andrebbero difesi, e sul serio: in Ucraina.

Un bel patriota. Guardaspalle politico di Putin. Pronto a vendere Ucraina, Europa, Italia a Mosca.

Carlo Gambescia

venerdì 20 dicembre 2024

Il fascismo come forma mentis

 


Un sondaggio dell’aprile scorso asserisce che solo un italiano su quattro teme il ritorno del fascismo. In genere, si tratta di elettori di sinistra (*).

Il che significa che “il popolo sovrano” può dormire sonni tranquilli? Bah… In realtà il problema, che non riguarda solo i cosiddetti concetti operativi (da usare nei sondaggi), rinvia a cosa si intende per fascismo. L’equivoco è qui.

Se con il termine si intende il regime fascista, è ovvio che quel fascismo legato al combattentismo e alla visione imperialista non può ripetersi.

Ma neppure, se con lo stesso termine,  si intende la ricostituzione del partito fascista vietata dalla legge, cioè di un  movimento legato allo squadrismo e al culto pubblico di un’ideologia nazional-totalitaria e antiegualitaria.

Il fascismo, se proprio si vuole usare questo vocabolo, è una forma mentis. Cioè un modo di considerare la realtà, ben indagato da Tarmo Kunnas, storico finlandese (**). Si pensi a un atteggiamento di rivolta contro la modernità. Una specie di luddismo politico-concettuale, con effetti dirompenti una volta agguantato il potere. Il fascista è antiliberale, anticapitalista, nazionalista e razzista. Ma soprattutto – qui il punto fondamentale – si nutre di una visione anti-individualistica, per la quale lo stato è tutto l’individuo nulla.

Privilegiare lo stato, significa privilegiarne l’autorità a ogni costo, fino al punto di sopprimere la libertà dei cittadini nel nome di una dottrina etica preventiva, sposata dallo stato, nella quale però (il mondo è bello perché vario) non tutti i cittadini si riconoscono. Pertanto una caratteristica di fondo della forma mentis fascista è l’autoritarismo, cioè la tendenza a imporre con intransigente fermezza la propria volontà-autorità nei rapporti umani, quale portatrice di una visione etica monoteistica.

Il fascista non tollera il pluralismo etico, odia il politeismo (per restare in metafora), cioè il sale della libertà individuale. La libertà etica è liquidata come nichilismo relativistico. E qui emerge come un brutto sottomarino atomico tutto l’antiliberalismo fascista, dalle tristi conseguenze per tutte le sfere di libertà, dalle politiche alle economiche.

Qui, come esempio fondamentale, vorremmo richiamare l’attenzione su una misura del governo Meloni, passata inosservata o quasi: quella di perseguire come reato “universale” la maternità surrogata. Il cosiddetto “utero in affitto” (secondo i detrattori). Nel senso di concepire questa pratica come reato non solo in Italia ma anche all’estero.

Il testo, entrato in vigore all’inizio di dicembre, è distinto da un solo articolo, che corregge l’articolo 12 della legge 40, del 2004, opera del governo Berlusconi, che, al comma 6, prevedeva: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro” . A questa disposizione si è aggiunto che “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana” (***).

Ecco, la differenza tra una destra normale (o quasi), conservatrice, ovviamente detestabile e criticabile, e una destra autoritaria, anormale, dalla forma mentis fascista, è tutta nel paragrafo aggiuntivo. Che vieta al singolo cittadino, quindi all’individuo, perfino la libertà, per così dire, di votare con i piedi, andando all’estero, eccetera, eccetera. Gabbia Italia e per tutta la vita…

Come dicevamo, lo stato pseudoetico è tutto,  il cittadino nulla.

Un governo di destra, come poteva essere quello di Berlusconi, è potente, un governo di destra, con potenzialità fasciste, è prepotente: precorre, perseguita e distrugge la libertà individuale.

E non si tratta di una differenza di poco conto. Il che non significa assolvere il Cavaliere, ma soltanto evidenziare la differenza tra un governo conservatore e un governo tentato dal fascismo. E di riflesso  la brutta china presa dalla politica in Italia.

Che poi i nostri concittadini, questi bamboccioni, non credano in larga parte nel ritorno del fascismo come forma mentis è un’altra storia. Di analfabetismo politico. Quindi, per inciso, inutile al momento ripetere il sondaggio.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://sondaggibidimedia.com/sondaggio-noto-25-aprile/#google_vignette .

(**) T. Kunnas, La tentazione fascista, Akropolis, Napoli 1981. Libro lodato da Renzo De Felice. E a dire il vero, anche dagli stessi neofascisti, che si sono riconosciuti, e con impensabile entusiasmo, nella “modellistica” di Kunnas.

(***) Qui: https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/11/19/maternita-surrogata-pubblicata-in-gazzetta-ufficiale-e-in-vigore-dal-3-dicembre-la-legge-4-novembre-2024-n-169/ .

giovedì 19 dicembre 2024

Se Zelensky cedesse, altro che pace…

 


Eppure l’Italia c’è passata. Una certa Italia, ovviamente. Ancora oggi i neofascisti rimpiangono "Fiume e Dalmazia". Nessuna idea di riconquistare questi territori con le armi. Ma nella pubblicistica dell’estrema destra, a ogni anniversario delle Foibe, si approfitta, per ricordare i “torti” subiti nel 1919 e nel 1947. Con Fratelli d’Italia in prima fila a piangere calde lacrime sugli italiani maltrattati da Tito. Senza ovviamente, recitare alcun mea culpa per i crimini fascisti nei Balcani.

E parliamo, dell’Italia, purtroppo una nazione di conigli o comunque di pagliacci. E qui, di nuovo, è d’obbligo il richiamo agli sbruffoni fascisti che volevano spezzare le reni alle Grecia.

Per contro nell’Est Europeo, come prova la dissoluzione della Jugoslavia, un frammento di territorio e di popolazione resta un frammento di territorio e di popolazione. Sono “all’antica” diciamo.

Solo per dirne una, Orbán fa regolarmente campagna elettorale, lanciando proclami nazionalisti, in Transilviania, dove si parla rumeno, ungherese e tedesco. Altro esempio: Bulgaria e Romania non hanno mai del tutto accettato la divisione della Dobrugia. Ma contenziosi sono aperti oltre che in Kosovo con la Serbia (il più famoso, diciamo), tra Russia e Romania per la Bessarabia. In realtà sono vivi un poco ovunque. Si pensi anche ai complicati rapporti tra Polonia, Repubbliche baltiche e Russia: basterebbe un nonnulla per far riesplodere antiche controversie territoriali. Per non parlare delle rivendicazioni reciproche sul piano territoriale tra Macedonia, Albania, Grecia e Turchia.

Lungo incipit. Il lettore si chiederà dove andiamo a parare. Presto detto. Oggi i giornali cinguettano la parola pace a proposito della dichiarazione di Zelensky: non ha forze sufficienti, così asserisce, per riconquistare Crimea e Donbass, ormai nelle mani dei russi. Di qui, la possibilità, si legge nei festosi commenti, di sedersi al tavolo della pace, cedendo così alla prepotenza russa.

Ora, ammesso e non concesso, che Zelensky abbia intenzione di cedere, non possiamo non porre una domanda: alla luce di almeno un secolo di conflitti, mai del tutto sopiti, a cominciare dalle guerre balcaniche del 1912-1913 (che furono l’antipasto della “grande guerra”), basterà un trattato strappato con la prepotenza delle armi, dopo una guerra russa di aggressione, a risolvere il contenzioso storico tra Ucraina e Russia?

Lo chiediamo ai neofascisti di Fratelli d’Italia che ancora rimpiangono “Fiume e Dalmazia”. No, non basterà. Tra l’altro si parla anche di forze di interposizione, in particolare europee, ai confini contestati. Anche l’Italia non potrà non partecipare.

In ogni caso pace armata. Una ferita aperta. Brace sotto la cenere.

Se le cose stanno così, perché, umiliare l’Ucraina? E rafforzare la Russia? Perché “tifare” per una pace che coprirebbe di vergogna l’Europa?  Una pace che  sarebbe controproducente perché, come detto, potrebbe accrescere soltanto la credibilità russa. E ovviamente l’appetito.

Quanto a Trump e Musk, il duo diabolico è sicuramente dietro l’arretramento di Zelensky, conseguito, probabilmente, puntando alla gola il coltello della sospensione degli aiuti. Una vigliaccata da bottegai, incapaci  di  vedere più in là del proprio naso. Una cecità, sia detto per inciso, che rischia addirittura – notizia di ieri – di compromettere i rapporti con il Canada… Il capitalismo, il vero capitalismo, pensa in grande. Trump e Musk sono due puffi. Cattivi però.

E qui si apre una questione generale, che va oltre l’Ucraina. Anche negli anni Venti e Trenta del Novecento gli Stati Uniti si chiusero in se stessi. Lasciando che Hitler e Mussolini divorassero l’Europa. Fino Pearl Harbour. Allora fu il Giappone ad attaccare. Al bombardamento seguì l’11 dicembre 1941 la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti di Germania e Italia. Oggi potrebbe essere la Cina a sparare il primo colpo, frutto di un semplicissimo ragionamento: se la Russia si è presa mezza Ucraina, perché noi, eredi del Celeste Impero, non possiamo riprenderci Taiwan?

La Russia resterebbe a guardare? Potendo, a sua volta,  derubare  un’Europa indifesa delle sue ricchezze?

Cosa vogliano dire? Che in questo contesto, da noi delineato, che al lettore potrà apparire catastrofico, ma che in realtà  è frutto  di  realistica  “immaginazione del disastro”, un trattato di pace a senso unico tra Russia e Ucraina potrebbe costituire solo un altro passo verso la guerra mondiale.

Carlo Gambescia

mercoledì 18 dicembre 2024

Luigi Mascheroni e la Resistenza

 


Sul “Giornale” Luigi Mascheroni ironizza sui 700mila euro in finanziaria, stanziati per la celebrazione dell’ Anniversario della Resistenza. Ma come non era un governo fascista?

In primo luogo, cominciamo col dire che il prossimo anno non si celebra un anniversario qualsiasi ma gli ottant’anni: 25 aprile 1945- 25 aprile 2025. Una data storica, mai digerita dalla destra missina, e di riflesso dai suoi cloni pseudodemocratici, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia. Reflusso gastro-politico

In secondo luogo, rispetto al milione e cinquecento euro annui per il biennio 2014-2015, stanziati nel 2013 dal governo Letta appoggiato anche dal PdL, per celebrare i settant’anni, l’assegnazione si è ridotta a meno di un terzo (*). Elemosina.

In terzo luogo, in un paese normale, liberal-democratico, il 25 aprile dovrebbe essere una specie di pre-assunto ideale che unisce tutti. Una festa della libertà, da celebrare senza badare a spese. E invece in Italia non è così. Perché c’ è chi la libertà non l’ha mai amata. E se proprio deve celebrarla, lo fa di malavoglia, a dispetto. Citofonare Giorgia Meloni.

Detto altrimenti: i fascisti sono rimasti fascisti, quantomeno come forma mentis. Perciò, altro che celebrare una Liberazione vissuta tuttora come una sconfitta. Per dirla con Annalisa: “Eravamo bellissimi” (in camicia nera).

Esageriamo? Si pensi al disegno di legge “sicurezza”, attualmente in esame al Senato (**), che introduce una trentina di nuovi reati (***). Roba che non si vedeva dai tempi della “Legge Reale” (1975), alla quale però i missini si opposero. Per la cronaca, all’epoca erano loro a menare nelle piazze. Ergo…

Concludendo, perché Luigi Mascheroni, classe 1967, un intellettuale, in fondo non banale, che come si legge su Wikipedia, possiede una biblioteca di ventimila volumi, deve arrampicarsi sugli specchi per difendere chi non ha mai letto Cesare Beccaria? Per capirsi quelli del “Buca”, “sasso”, “buca con acqua”, “buca con fango”…

Delle due l’una. O non li ha  neppure annusati, o, come diceva Totò, “che s’adda fa’ pe’ campa’ “.

Che malinconia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://presidenza.governo.it/AmministrazioneTrasparente/Sovvenzioni/CriteriModalita/70ann_resistenza_liberazione/Avviso_selezione_iniziative_70Anniversario_resistenza_guerra_liberazione.pdf .

(*) Qui: https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/58519.htm .

(***) Qui: https://pagellapolitica.it/articoli/tutti-reati-disegno-legge-sicurezza . Qui per una critica circostanziata, tra le tante: https://www.questionegiustizia.it/articolo/note-ddl-sicurezza .

martedì 17 dicembre 2024

Georgia e Romania, la lezione di Raymond Aron

 


Questa mattina segnaliamo due articoli interessanti, all’insegna dell’autolesionismo democratico: il primo sull’ “Unità” di Michele Prospero, il secondo sul “Fatto Quotidiano” di Salvatore Cannavò.

Prospero, filosofo, solleva forti dubbi sull’intervento della Corte costituzionale rumena, che ha annullato elezioni che avrebbero potuto portare alla vittoria di un candidato filorusso. Insomma non crede nelle maniere forti contro i nemici della democrazia.

Cannavò, giornalista, critica l’Unione europea che vuole sanzionare la Georgia, dove il partito filorusso, che ha vinto le elezioni, perseguita gli oppositori. Insomma, anche in questo caso, guai alle maniere forti.

In sintesi, la tesi di Prospero e Cannavò è che il voto del popolo è sacro. E che né la magistratura né l’Europa devono permettersi di andare contro il volere del popolo.

Il dilemma esiste. Se in ultima istanza la sovranità risiede nel voto popolare, ogni intervento in senso contrario è illegittimo. Pertanto in linea di principio, diciamo pure in teoria, Prospero e Cannavò hanno ragione. E in pratica? No. Perché la Russia, nemica dell’Occidente e della liberal-democrazia, usa il voto per ricondurre sotto la propria ala i paesi dell’Europa orientale.

Si può accettare che vinca con il libero voto, chi intende usare il libero voto per sopprimere il libero voto? La liberal-democrazia deve difendersi o no dall’antidemocrazia? Usando tutti i mezzi, anche antidemocratici?

Il problema è tutto qui.

Quel che stupisce è che Prospero e Cannavò non capiscano che una volta implementata l’etica dei principi (Fiat iustitia et pereat mundus), il moralismo che ne discende può causare solo distruzione e rovine. Mentre l’etica della responsabilità (Est modus in rebus) può evitare l’autodistruzione.

Possibile che si sia dimenticato come il libero voto fu strumentalizzato da fascisti, nazionalsocialisti e comunisti?

Di regola la risposta dei moralisti politici della sovranità è che il rischio di favorire i nemici della liberal-democrazia va accettato, perché una volta abbandonata la strada maestra della sovranità popolare si rischia di subire la stessa mutazione autoritaria che caratterizza il nemico che si vuole combattere.

Resta gli “atti”, per così dire, la celebre discussione tra Raymond Aron e Jacques Maritain, ben ricostruita da Jerónimo Molina, in un recente studio sul grande sociologo liberale (*). Sull'accecante sfondo della Seconda guerra mondiale, Aron, in linea  con quel che era accaduto nella Germania degli anni Trenta, vicende alle quali aveva assistito personalmente, riteneva più che giustificato l’uso delle maniere forti. Anche preventive. Maritain, uno dei maestri della filosofia cattolica novecentesca, sosteneva invece la tesi contraria, cioè, che nonostante la guerra in corso, il bene avrebbe comunque vinto. In che modo però non era dato sapere…

Come detto, etica della responsabilità (Aron) contro etica dei principi (Maritain).

La storia, fortunatamente, si schierò con Aron. Senza una guerra mondiale, combattuta spesso in modo spietato, soprattutto per le popolazioni civili, Hitler e alleati avrebbero vinto. Imponendo, in primis in Europa, una delirante dittatura.

Oggi, purtroppo, si ripropone lo stesso dilemma.

Carlo Gambescia

(*) Si veda J. Molina, L’immaginazione del disastro. Raymond Aron realista politico, postfazione di C. Gambescia, Edizioni Il Foglio, 2024.

lunedì 16 dicembre 2024

Atreju. Colle Oppio è tornato

 


Ieri Giorgia Meloni nel suo discorso di chiusura ha parlato di un milione di posti di lavoro creati in due anni (*). Ora, un economista, Melvin Arthur Okun, individuò una regolarità tra crescita del Pil e aumento dell’occupazione, stabilendo che ogni punto di Pil in più equivale allo 0.6 per cento di occupati (**).

Però il problema è che il Pil italiano nel 2023 e nel 2024, non ha superato il singolo punto percentuale, quindi non c’è rispondenza tra il milione di posti di lavoro vantato da Giorgia Meloni e la crescita ridotta del Pil. Di conseguenza, l’aumento vantato si aggira  intorno al mezzo milione o probabilmente anche di meno.

Pertanto delle due l’una: o Giorgia Meloni mente o i dati Istat non rispondono alla realtà.

Ma non è il solo aspetto ambiguo del suo discorso ai militanti di Atreju. Si legga qui:

Grazie di essere qui anche quest’anno come da 26 anni a questa parte, è un tempo che per noi è lungo ma è praticamente un’era geologica per la politica italiana: era il 1998, era il parco del Colle Oppio e Atreju era la sfida di una generazione che spendeva tutta se stessa nel tentativo di superare pregiudizi e steccati ideologici (…) È un altro mondo visto da qui, da oggi, però è il nostro mondo, ce lo dobbiamo ricordare perché nessuno che non sappia guardarsi alle spalle, guardare indietro, può avere la pretesa di andare avanti“.

A parte la facile battuta sul “c’è un grande futuro nel nostro passato” cavallo di battaglia del generale mezzo rimbambito di “Vogliamo i colonnelli”, la sezione del Movimento Sociale del Colle Oppio non era un collegio gestito dalle Orsoline (nella foto, la sezione nel marzo del 2020). 

Purtroppo questa sezione poteva vantare (si fa per dire) un passato di violenza non comune, ovviamente vissuta dai militanti missini come forma di autodifesa dal mondo brutto e cattivo (***). Ora, celebrare il “simbolo” Colle Oppio nel 1998 come nel 2024,  resta un preciso atto identitario: significa rivendicare ancora una volta – certo come sottotesto per i militanti – l’identità missina, cioè la  matrice neofascista di Fratelli d’Italia (****). Sotto questo aspetto l’evocazione a “superare pregiudizi e steccati ideologici” indica la volontà di perseverare nel non voler fare i conti con il fascismo.



Ma esiste un terzo aspetto riprovevole  del discorso di Giorgia Meloni. Si legga qui:

‘I centri per migranti’ in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano. Perché io voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato italiano, alle persone perbene, di aiutarmi a combattere la mafia. Non sono io il nemico, io sono una persona perbene “.

Si noti la truffa ideologica che si cela dietro il termine mafia, usato per equiparare in modo fraudolento le bombe omicide contro Falcone e Borsellino all’attività degli scafisti. Un ruolo, certo non meritorio in assoluto, che però, per chi abbia letto Manzoni, ricorda l’attività del traghettatore dell’Adda che aiuta Renzo a rifugiarsi in terra veneta, 

Del resto come per il contrabbando, che è indice primario  del cattivo funzionamento di un mercato, prigioniero del protezionismo, lo scafista, nel bene o nel male, è funzionale alle politiche autarchiche in fatto di immigrazione delle destre, giunte al punto di proibire, violando le leggi internazionali persino il soccorso in mare dei migranti.

Infine  l’aspetto realmente  ripugnante del discorso meloniano  è quello  della rivendicazione perentoria della costruzione dei “centri” all’estero.  Che indica una sola cosa: il razzismo addirittura visuale della destra, che riduce la questione dei migranti al fattore invisibilità. Non si vedono? Non esistono. Il principio è quello nazista dell' "incenerimento", come rifiuti,  dei corpi. Per ora, in Italia, si sparisce dallo sguardo. Poi si vedrà.

Gente pericolosa.  Colle Oppio è tornato.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/12/15/meloni-ad-atreju-maggioranza-compatta-e-stabile-grande-discontinuita_56ea25f4-499d-4bcc-be95-89c715ec4284.html .

(**) Qui, per una rapida sintesi della “legge”: https://www.aeeeitalia.it/wp/wp-content/uploads/2019/07/La-legge-di-Okun.pdf . .

(***) Sul punto si legga G. Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Minimum Fax, 2024, con una prefazione di Sergio Luzzatto e una nota di Simona Salierno. Il testo, opera di un neofascista, proprio del Colle Oppio, finito in carcere, poi pentitosi e divenuto ricercatore di sociologia, rinvia agli Cinquanta del Novecento, ma descrive bene, la forma mentis del neofascista “tipo”, emarginato, rancoroso, violento, quel risentimento che ritroviamo tuttora nei discorsi di Giorgia Meloni e nelle "folle" adoranti e plaudenti di Atreju.

(****) Non mollano, si legga qui ("La voce del Patriota", pubblicazione digitale vicina a Fratelli d’Italia): https://www.lavocedelpatriota.it/riapre-la-storica-sede-politica-di-colle-oppio-dal-ricovero-degli-esuli-istriani-passando-per-lesproprio-e-la-restituzione/ .

domenica 15 dicembre 2024

Giorgia Meloni liberale? Aritanga …

 


Il punto non è secondario, come dicevamo ieri. Di che parliamo? Di un deficit di liberalismo che riguarda la destra, ma anche la sinistra. Partiamo proprio da quest’ultima.

Si dia un’occhiata alla prima pagina de “ La Stampa”, giornale importante, dalle tradizioni liberali, che Mussolini, appena arraffato il potere , azzerò. Oggi fa parte del gruppo Repubblica-Espresso (semplifichiamo). E si vede: si parla addirittura di sanità repubblicana.

Cioè, pubblico è bello a prescindere. Altro che libero mercato e iniziativa privata. In Italia, a parte forse quattro professori che però litigano tra loro, il liberalismo è ormai ridotto a una specie di liberal-socialismo, non quello pluralista dei fratelli Rosselli, ma quello di matrice repubblicana alla Ugo La Malfa, in affidamento permanente allo stato. Una tragedia semicollettivista. Che si riduce alla celebrazione della “sanità repubblicana”:  sì, quella dei ticket salati e delle liste di attesa a babbo morto.

Ma si veda anche il titolo riservato a Milei, ospite di Giorgia Meloni: “Tango liberista”. Ora che il Premier argentino sia liberale con forti inflessioni anarco-libertarie è un dato di fatto. Ma che lo sia anche Giorgia Meloni è un’invenzione della sinistra, la stessa sinistra della sanità repubblicana. Di qui l’accusa di liberismo. Che, a sinistra, è una parolaccia. Salvo poi sintonizzare il liberalismo tout court sulle onde corte dello statalismo.

Ci dicono, che ieri sera, come altre, volte la Meloni, non ha mai pronunciato la parola liberalismo. Figurarsi il termine liberismo. Che però, se si va a pescare nei suoi discorsi degli anni Dieci, precedenti alla presa del potere, qualche volta si trova, accompagnato dall’aggettivo “selvaggio”, in perfetta osmosi semantica con la sinistra comunista.

Ma si legga questo passaggio saliente, riportato dall’Ansa:

Javier Milei ‘sta portando una vera e propria rivoluzione culturale in una nazione che è sorella dell’Italia, e che come noi condivide l’idea che la politica fatta solo di sussidi porta i Paesi verso il baratro’. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato il presidente argentino Javier Milei sul palco di Atreju, la kermesse del suo partito, FdI. ‘Come noi, Milei sa che il lavoro è l’unico antidoto vero per la povertà’, ha aggiunto Meloni, chiedendo alla platea ‘un grande applauso per il presidente dell’Argentina’ “ (*).

Il lavorismo non è sinonimo di liberalismo. L’etica protestante del lavoro, celebrata da Weber, può essere una componente della concezione liberale, che ne include molte altre: la libertà di impresa , di pensiero e parola, di voto e rappresentanza, di divisione dei poteri, di tolleranza, di uguaglianza dinanzi alla legge, di mitezza penale, diritti civili, eccetera, eccetera. Valori ignoti a Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

Il che spiega la reinvenzione meloniana, riduttiva e ridicola, del liberalismo come lotta contro i  sussidi.

Riduttiva, abbiamo già detto. Ridicola, perché non può non far sorridere la guerra ai sussidi di una Giorgia Meloni che fino pochi giorni fa continuava a insultare Elsa Fornero per la sua riforma pensionistica, rivolta invece a contrastare l’idea stessa di pensione-sussidio, non basata sui reali contributi versati (**).

Di liberale e liberista Giorgia Meloni non ha nulla. Resta inchiodata alla cultura statalista che ha sempre caratterizzato le posizioni dei fascisti dopo Mussolini, a cominciare dal Movimento Sociale. Partito nel quale la Meloni ha militato, da lei  oggi celebrato come esempio di purissima democrazia.

Come ci si può fidare di chi non osa neppure pronunciare la parola liberalismo? Insomma di affermare alla luce del sole: “ Sì, io sono liberale”. Certo poi devono sempre seguire i fatti… Ma questa è un’altra storia.

Invece la Meloni glissa, regolarmente, come ieri sera, evocando il lavoro, che tra l’altro è un cavallo di battaglia dei socialisti, dei comunisti, dei cattolici dei sinistra. Che, all’articolo 1 della Costituzione, pretesero la dicitura “Repubblica democratica fondata sul lavoro” e non sulla libertà come invece imponeva e impone la tradizione liberale.

Nonostante ciò per la sinistra Giorgia Meloni balla con Javier Milei il “tango liberista”…

Che dire? Continuiamo a farci del male.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/12/14/meloni-presenta-mikati-a-atreju-iinsieme-lavoriamo-molto_f4f685b5-6af2-4652-88fe-e97897a4acbf.html .

(**) Qui: https://www.youtube.com/watch?v=1z1e9V63Zzc .

sabato 14 dicembre 2024

Governo Meloni liberista? Una pagliacciata

 


Talvolta basta un dettaglio per cogliere il senso delle cose. Detta così però la frase è criptica.

In realtà ci riferiamo a una notiziola, che in sé sembra priva di importanza, ma che la dice lunga sul reale tasso di liberismo di Salvini, Meloni e compagnia cantante. Una allegra brigata, diciamo così, che, oggi per bocca del ministro Giorgetti ( intervistato dal "Corriere della Sera"), confessa il colpo di fulmine per  il  “liberismo” di Milei. Tra l’altro, giunto ieri Roma, per ricevere da una cinguettante Giorgia Meloni, lui di origine italiana, la cittadinanza del Belpaese ( rigorosamente, come sottolinea la destra, sulla base dello ius sanguinis, non sia mai…). 

Inutile ricordare, il discorso di Milei  tenuto nella sede del "Tempo" (dove ha ritirato il premio Milton Friedman):  tutto  fuoco e fiamme contro lo statalismo. Il premier argentino è liberale vero. O comunque “ci prova” seriamente.

Torniamo sulla Terra. Qual è la notizia? Che il Tar del Lazio, ha sospeso la norma, introdotta da Salvini, potente Ministro delle infrastrutture, che obbligava i “noleggiatori” a un fermo di venti minuti fra un servizio e l’altro. Si legga qui.

“I giudici amministrativi hanno rinviato alla camera di consiglio del 13 gennaio la trattazione della materia ma nel frattempo hanno parzialmente sospeso gli effetti della norma obiettando che ‘appare discendere un pregiudizio grave ed irreparabile per i titolari dell’attività di noleggio con conducente per effetto delle imposizioni introdotte in ordine alle modalità del relativo espletamento’. E cioè che ‘la prenotazione possa essere registrata come bozza di servizio fino a venti minuti prima dell’inizio del relativo servizio’ e che ‘la partenza coincida con l’arrivo del servizio precedente al quale è collegato, che deve essere svolto nella stessa data del servizio di riferimento, fatti salvi i servizi notturni svolti nelle prime 4 ore del mattino’ “ (*).

Il lettore dirà, e allora? 

Innanzitutto, siamo al paradosso che un tribunale amministrativo, diciamo, semplificando, lo stato, dà lezioni di liberismo a un altro pezzo di stato: il governo. Insomma,  una gabbia di matti.

 Inoltre il vero  punto è che un governo e un ministro che si dichiarano grandi ammiratori di Milei, introducono norme che devastano la libertà economica a ogni livello. Anche micro, come quello dell’autonoleggio. E per giunta ai tempi di Uber… Che nel campo del trasporto passeggeri rappresenta una rivoluzione liberale e liberista, degna del prima e dopo Uber, alla stregua della datazione del prima e dopo Cristo.

Cioè Salvini pretende di regolare , fin nei minimi dettagli (orari e “bozze” di servizio, addirittura elettroniche), una micro-attività economica privata. Roba da paese socialista, altro che liberismo alla Milei.

Ciò che dà più fastidio, nel silenzio della stampa non solo amica, è la patente neoliberista che l’intero governo rivendica. Perché, in realtà, parliamo di un governo che si è inventato la tassazione dei “sovraprofitti” delle banche, una misura che non ha precedenti nella storia della Repubblica, quantomeno per la dicitura.

Un governo che vuole processare John Elkann in Parlamento.

Un governo che vuole finanziare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina.

Un governo, che con il taglio del cuneo fiscale, ha di fatto rilanciato le politiche economiche alla Prodi.

E potremmo continuare con una serie di misure assistenzialistiche, che sarebbero piaciute al duce, per la famiglia, il lavoro, il Sud, addirittura per l’Africa con il Piano Mattei. Nel quale Giorgia Meloni scorge probabilmente la mussoliniana “rinascita dell’impero sui colli fatali di Roma” (**).

Dicevamo del silenzio della sinistra, che, in difesa dello statalismo, cioè di uno statalismo indecoroso, da gioco al rialzo, lascia che circoli la storia del liberismo del governo. Che invece, come detto, non è assolutamente liberista.

Insomma così è (se vi pare). Inutile però scomodare l’arte di Pirandello. Guitti solo guitti.

Siamo infatti davanti al conflitto tra due statalismi di destra e sinistra. Clowns che ripetono a pappagallo, nel bene e nel male, il nome di Milei, usandolo come una specie di foglia di fico. La destra pro, la sinistra contro.

Una pagliacciata.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ilsole24ore.com/art/ncc-tar-lazio-sospende-20-minuti-pausa-un-servizio-e-altro-AGUWkVjB .

(**) Qui un notevole articolo sulla politica economica del governo Meloni “tra dati e narrativa”: https://lavoce.info/archives/106203/due-anni-di-governo-meloni-tra-dati-e-narrativa/ .

venerdì 13 dicembre 2024

I cercatori di autenticità. Ancora su Luigi Mangione

 


Ieri abbiamo scritto di Luigi Mangione, un ventiseienne che si crede onnipotente al punto di sparare e uccidere. Decide lui, sa lui, ciò che è bene o male per tutti. Come separare il falso dall’autentico. Su un marciapiede di Manhattan.

La rovinosa volontà di separare il falso dall’autentico. Ecco il vero problema dell’Occidente. Ciò che oggi non va. Il desiderio di autenticità. L’idea dell’assoluta corrispondenza dei nostri atti a una verità, giudicata anch’essa assoluta, al punto di escludere ogni possibilità di smentita. Fino al punto di uccidere in suo nome.

In realtà la verità è come una medaglia. Ha due facce. Esiste un’altra faccia. Quale? Quella della relatività della verità, che è caratteristica della modernità occidentale. Un’ idea che sul piano della condotta si fonda e rimanda al rispetto delle opinioni altrui. E in più in generale al profondo e consapevole rispetto delle imperfezioni umane. Di qui il conflitto tra assolutismo e relativismo. Tra mondo delle perfezione e dell’imperfezione. Diciamo tra le due facce della medaglia.

Un passo indietro. L’Occidente euro-americano ha trovato sostegno, almeno dalla fine delle guerre di religione (nelle quali ogni attore politico reputava il suo credo religioso più  autentico di quello degli altri), nella relatività della verità. E fino a oggi l’ Occidente ha prosperato grazie a un sistema istituzionale spesso accusato di ipocrisia dai puristi dell’autenticità, che invece proprio grazie al recepimento di procedure istituzionalizzate, in qualche misura astratte e generali, che vanno oltre il caso singolo, in politica ed economia (ad esempio parlamento, mercato, stato di diritto), ha permesso la civile ( o quasi) convivenza umana.

Ovviamente, si tratta di un sistema imperfetto, perché gli uomini sono quel che sono, e quando possono approfittano delle regole, anche le più astratte. Ma il principio, come tale, creando una zona franca di regole politiche, giuridiche, economiche, ha consentito all’Occidente di progredire, isolando i cercatori di autenticità. Senza però mai sconfiggerli del tutto. E qui si pensi ai passati edificatori di verità assolute e di società organiche o perfette, quindi ritenute autentiche: socialisti, comunisti, fascisti, nazionalsocialisti.

Oggi l’Occidente vede di nuovo tornare a galla i cercatori di autenticità. Si pensi agli ecologisti, ai fondamentalisti religiosi, agli statalisti, ai giustizialisti di vario colore politico, tra i quali Mangione, che spara a un assicuratore in nome, per così dire, dell’autenticità sanitaria.

La ricerca dell’autenticità, rinvia al perfettismo, e il perfettismo a sua volta rimanda all’assolutismo di una sola idea: la politica perfetta, la società perfetta, l’economia perfetta, la sanità perfetta.

Di qui l’enfatizzazione dei casi singoli e il rifiuto delle regole “collettive”. Attenzione collettive non collettiviste. In pratica si tratta della zona franca, libera da verità assolute, aperta a tutti (ecco il lato collettivo), nella quale l’individuo può muoversi a suo piacimento, quindi scegliere, grazie un collaudato sistema di istituzioni e procedure istituzionali che garantisce tutti. Come detto, parlamento, mercato, stato di diritto,

Ad esempio nel caso della sanità, il problema non è quello dello schierarsi di qua o di là. Cioè dell’ istituzione di una sanità pubblica o privata, ma di introdurre la libera scelta tra l’una o l’altra. Negli Stati Uniti ad esempio è privata e gestita dalle assicurazioni. Invece in Italia è pubblica. I “consumatori”, chiamiamoli così, nell’uno e nell’altro caso, non possono scegliere. Sicché negli Stati Uniti, dinanzi  alle inevitabili disfunzioni, tipiche della condizione umana (quindi non imputabili ad alcun sistema specifico), si spara agli assicuratori privati, in Italia ai medici pubblici.

Per capirsi: istituire una zona franca significa mettere le persone in condizione di poter scegliere un partito, un bene, un servizio. Si pensi al mercato. Per contro privilegiare l’ideologia dell’ autenticità significa invece istituzionalizzare un solo partito, un solo bene, un solo servizio. Di conseguenza negli Stati Uniti si dovrebbe aprire al pubblico, in Italia al privato. E soprattutto metterli in concorrenza.

Concludendo, bisogna guardarsi dai cercatori di autenticità. Dai cosiddetti perfettisti. Più in Occidente si darà a spazio ai profeti della ricerca di un mondo perfetto, più la libertà individuale sarà in pericolo. E soprattutto rischieremo tutti di finire imprigionati negli artigli di improvvisati e pericolosi giustizieri dell’ “autentico” come Luigi Mangione.

Carlo Gambescia

giovedì 12 dicembre 2024

Per i social Luigi Mangione è un eroe. Perché?

 


Luigi Mangione, il ventiseienne che ha ucciso a sangue freddo un alto papavero delle assicurazioni, è diventato in Italia un specie di eroe. Insomma l’ omicidio è addirittura visto come un atto di giustizia o comunque un’ occasione per parlare male degli Stati Uniti.

I soliti esercizi di antiamericanismo. Soprattutto sui social si è infierito. Perché, qui in Italia ( e non solo) la gente odia, e così tanto, gli Stati Uniti?

Si può intuire l’odio politico di fascisti e comunisti. Sono stati battuti e non possono perdonare. Ma come si spiega l’odio della gente comune che di storia e politica non sa niente e si nutre di film,  serie e musica americane ?

Il vero problema è che la società americana è una società aperta. Ammette, anzi favorisce la critica sociale, anche la più spietata. Sotto questo aspetto Hollywood e i giganti delle grandi serie televisive continuano a veicolare, a far tempo dagli anni Sessanta, cioè dagli anni della controcultura, l ’immagine distorta degli Stati Uniti come società chiusa, crudele, addirittura barbara.

Il che non è vero. Mangione, il killer, è figlio di italo-americani che hanno fatto fortuna. E sono tanti. Certo, altri sono tornati in Italia più poveri di prima. Però, ecco il punto, gli Stati Uniti hanno sempre offerto un’opportunità a tutti. Se poi non si è capaci di coglierla, per incapacità o sfortuna, la colpa non è della società americana.

Eppure, l’immagine veicolata, basta andare al cinema, è quella di una società chiusa. Se lo fosse veramente il cinema americano non avrebbe diritto di parola. Inoltre un personaggio folcloristico, un parvenu politico, come Trump, dai nonni che nacquero in Europa, non avrebbe mai vinto mai le elezioni.

Certo, gli Stati Uniti – e basta andare in Canada per capire la differenza – non sono una società di welfare, nel senso spiccato dell’assistenzialismo europeo. Però, questa assenza di burocrazie, come già notò Tocqueville, favorisce l’iniziativa privata: ognuno resta libero di fare della sua vita ciò che vuole. Fare affari e diventare ricco, ritirarsi isolato in montagna, o vivere in un borghese suburbio, oppure ubriacarsi e fare a pugni, ma anche comprarsi un’arma o fabbricarsela da solo per regolare i conti con il mondo. Come Mangione.

Piaccia o meno è il prezzo della libertà. Di conseguenza, una cultura, anche di base, cioè diffusa tra i cittadini, come quella europea, pronta a evocare l’intervento dello stato anche per la più piccola questione privata, non potrà mai capire l’anima americana. Che ancora prima che liberale è libertaria. Crede, come recita la Costituzione, nel diritto alla felicità. Si badi,  da  edificare con le proprie mani, non con quelle  dello stato.

Pertanto cosa rimane mettendo da parte i leoni da tastiera e le frange lunatiche? Oppure personaggi come Unabomber, Mangione, e altri irriducibili ma contati nemici del "sistema"? Resta l’atteggiamento dell’americano medio, misurato statisticamente, di non volere un centesimo dallo stato, anche dal punto di vista della prestazioni sanitarie  Perché, come si sente ripetere, solo grazie alla libertà dallo stato, federale o meno, ci si può arricchire e tutelare: il famoso sogno americano. 

Un grande ideale che però, grosso modo, dalla guerra del Vietnam, Hollywood ha messo in discussione. Di qui un cinema piagnone, mezzo socialista, in un paese, come dimostrò Sombart a suo tempo, che è nemico del socialismo. Pellicole che fanno danni in mezzo mondo (quindi non solo in America). Che però, come detto, vanno accettate come il giusto prezzo della libertà.

Dicevamo di Mangione, addirittura promosso a eroe. In Europa, e in Italia in particolare, cultura welfarista e immagine distorta “via” Hollywood, fanno degli Stati Uniti una specie di drago  dalle sette teste. Come non ammirare il novello San Giorgio che ne ha tagliata una?

Carlo Gambescia

mercoledì 11 dicembre 2024

San Netanyahu da Gerusalemme

 


Per fortuna che c’è Netanyahu. Che su quel che si sta preparando in Siria ha le idee chiare. Anzi, diremmo addiritttura  provvidenziali.  Nel senso di un grande realismo politico capace di cogliere il momento giusto. Infatti il Primo ministro israeliano per evitare il disastro futuro ha colpito senza alcun indugio. E colpirà. Non dimentichiamo che la Siria di Assad, ora nelle mani di un terrorista islamico, disponeva di armi chimiche. Che, se non lo sono ancora, dovranno essere distrutte.

San Netanyahu da Gerusalemme, se ci si passa la battuta. Un santo molto particolare, perché sa che gli stati non si reggono con i paternostri. Averne, in Europa e in Occidente, di statisti così. Dormiremmo sonni più tranquilli. Come riferisce Ansa:

Israele teme che la Siria si trasformi in un’ennesima minaccia e ha giocato d’anticipo. Con una maxi operazione aerea, denominata Fionda di Bashan, ha distrutto “l’80% delle capacità militari siriane”, navi, aerei e missili. Con l’obiettivo, ha rivendicato il premier Benyamin Netanyahu, che “non finiscano nelle mani dei jihadisti”, saliti al potere a Damasco dopo la fuga di Bashar al Assad. E con l’intenzione di creare una zona cuscinetto demilitarizzata, oltre la Linea Alpha di confine, ma “senza una presenza israeliana permanente”, ha assicurato il ministro degli Esteri Israel Katz” (*).

Si noti in particolare la distruzione della flotta siriana. Molti osservatori, fin troppo benevoli verso quel che sta accadendo in Siria, hanno dimenticato l’ “affaccio” sul Mediterraneo e i conseguenti pericoli di una forza islamista che disponga di flotta militare, seppure non di grandi dimensioni. Tuttavia, anche un “barchino”, per un terrorista islamico, può essere tramutato in potente arma stragista.

Si rifletta sulla diversità di condotta tra Stati Uniti ed Europa da una parte, e Israele dall’altra. In Occidente si chiacchiera viscidamente, Giorgia Meloni per prima, di “transizione siriana” rispettosa delle “minoranze”, confidando nel senso di responsabilità di un terrorista islamico. Dall’altro Netanyahu, che non perde tempo e bombarda l’arsenale siriano. Da una parte codardia e debolezza, dall’altra coraggio e forza.

I lettori ricorderanno un brutto film di Giuseppe Bertolucci, interpretato da un delirante (anche come recitazione) Roberto Benigni: “Berlinguer ti voglio bene”. Si butti la pellicola, si lasci il titolo, però cambiandolo così: “Netanyahu ti voglio bene”. Perché è quel che proviamo verso il leader israeliano bistrattato dai nemici dell’Occidente, manifesti e nascosti. E che invece è il solo che ha capito tutto. E che si batte, anche per noi che vigliaccamente ignoriamo il nemico per giocare alla “transizione ecologica”.

Certo, i metodi sbrigativi di Netanyahu non favoriscono la pace nel mondo. Però qui il problema è che la pace si deve volere in due. Il premier israeliano sa che quando un nemico ti indica come tale, puoi anche essere della stessa natura di San Francesco, ma se non ti difendi la tua sorte è segnata.

L’Occidente euro-americano, tirato però quasi per i capelli, sta dando una mano all’Ucraina aggredita dai russi. In realtà l’Europa scalcia, vuole la pace, non importa a che prezzo. Soprattutto se sarà Kiev a pagarlo. Gli Stati Uniti di Trump non promettono nulla di buono. Se ci si perdona la caduta di stile, che può pensare l’orso russo di un giraffone americano che vuole mandare in pensione la Nato? Ponti d’oro al nemico che fugge…

Probabilmente, a differenza degli aiuti inviati a Kiev che subiranno una invitabile contrazione, gli Stati Uniti continueranno a soccorrere Israele. Però, e qui crediamo di interpretare il pensiero di Netanyahu (il che spiega l’uso del "probabilmente"), del “giraffone” non ci si può fidare fino in fondo. Di conseguenza, nell’incertezza, il premier israeliano ha ordinato di bombardare l’arsenale siriano, caduto nelle mani nel nemico islamista.

Così si fa.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2024/12/10/centinaia-di-raid-di-israele-smilitarizzata-la-siria_c6f73911-5584-42f7-803a-18d04653cc56.html .

martedì 10 dicembre 2024

La rassicurante barba di Al-Jolani...

 


Non è solo un problema di fake news russe, e più in generale di disinformazione sistematica manovrata da Mosca. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: esiste, abbastanza diffuso, un atteggiamento nei riguardi della Russia, non diremmo di benevolenza ma di sicuro pilatesco.

Si prenda la caduta di Bashar Hafiz al-Assad. Gli osservatori europei, anche politici – non pensiamo solo ai grandi organi di stampa – non pongono alcun accento sull’ambigua condotta russa. 

Si ignora (  o si finge di ignorare)  il fatto che Mosca non può non vedere di buon occhio, in chiave antioccidentale, la nascita di uno stato islamico in Siria, paese, mai dimenticarlo che non confina la Russia. Anzi è bene ricordarli i confini, perché la disposizione geografica parla da sola: la Siria confina a nord con la Turchia, a est con l’Iraq, a sud con la Giordania, a sud-ovest con Israele e il Libano, mentre a ovest è bagnata dal Mar Mediterraneo.

Confini da dinamite pura. Soprattutto per la Turchia, alla quale la Russia sembra aver demandato il lavoro sporco. E invece che succede? Cosa dicono politici e mass media?

Prima si parla della debolezza russa che avrebbe rinunciato a farsi valere perché impegnata in Ucraina. Dopo di che si pone l’accento sulla natura dittatoriale e feroce del regime caduto. Infine si celebra con spensieratezza il ritorno della libertà. 

La Siria del Baath, partito al potere nel 1961 con un colpo di stato, prima della caduta  era  almeno in linea di pricipio  uno stato laico, anche se non proprio in senso occidentale, comunque   fondato su una specie di socialismo nazionale, inevitabilmente degenerato per ragioni di dispersione delle qualità “dinastiche”. 

La Siria è tuttora paese a maggioranza  sunnita. Quindi non proprio in sintonia  con l’Iran, alleato russo, ma di tradizione sciita.  

Tuttavia l'Iran   ha di nuovo obbedito, forse di buon grado, agli ordini partiti da Mosca, questa volta di non intervento. Tutto si tiene. Mosca ragiona da grande potenza. Altro che poveri russi. Infine come da copione Bashar Hafiz al-Assad è in salvo a Mosca.

Devastante infine l’immobilismo statunitense. Sopratttutto in prospettiva. Washington, che da tempo ha bollato Al-Jolani, ora insediatosi a Damasco, “terrorista globale”, non ha alzato un dito. Sebbene fonti ufficiali abbiano indicato le cifre di un certo numero di bombardamenti, che però, evidentemente, non hanno avuto alcun effetto sull’ avanzata dei cosiddetti “ribelli”. Definita dalla stampa europea “travolgente”. Bah… Diciamo pure linea Afghanistan.

Come abbiamo scritto (*), la Russia ha scelto di non intervenire solo per creare ulteriori divisioni in Occidente e magari anche per mettere in imbarazzo Israele, che potrebbe vedere, e con dispiacere, il reincarnarsi ai confini lo Stato islamico. Non proprio il massimo diciamo.

Come si può intuire la situazione in Medio Oriente, con la caduta del regime siriano – dittatoriale, per carità – rischia di complicarsi ulteriormente. E questo, ripetiamo, accade grazie alla scelta russa di lasciare mano libera agli islamisti, forza maggioritaria e organizzata tra i “ribelli”.  Come anticipato, il loro capo, Al-Jolani, sunnita salafita (pare) , che ha subito inneggiato alla Repubblica islamica (aridanga…), poco più che quarantenne, è un terrorista islamico, che però – il lettore ha facoltà di sorridere – viene dipinto, ad esempio dall’Ansa, come portatore “di una forma più pragmatica di jihadismo”, anche perché mostrerebbe  “un taglio di barba meno minaccioso della sua precedente tradizione qaidista (**). Capito? La barba di Al-Jolani è rassicurante. Perciò dobbiamo stare tranquilli.

Per giunta in Occidente, c’è chi interpreta la scelta di Mosca addirittura come un gesto di magnanimità verso il popolo siriano. Quanto alla tesi della presunta debolezza russa in Siria, la si usa, per mettere in cattiva luce il regime  "imperialista" di Kiev, liquidato dalla propaganda russa e filorussa, come  guerrafondaio. L'Ucraina "nazista" potrebbe addirittura invadere e vincere. Insomma siamo alle comiche finali. 


 

Purtroppo in Europa, come in Italia, dove giovedì, qui a Roma, si celebra Khamenei (poi diremo), si riconosce alla Russia, una specie di presunzione di innocenza. Il colpevole sarebbe Zelensky. In realtà, a Parigi, tra Macron e Trump, il leader ucraino ha dato l’idea di un uomo solo, coraggioso, costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Anche le dichiarazioni finali nulla hanno aggiunto o tolto.

Alla tesi della debolezza russa si è affiancata in queste ultime ore, quella di un Trump grande statista, pronto a fare il viso dell’arme, come diceva Manzoni, non solo nei riguardi di Zelensky ma anche di Putin. Una specie di giustiziere della notte, che però vuole smobilitare a Nato. Quindi i conti non tornano. Perché per Mosca, il ritiro americano dall’ Europa sarebbe oro puro.

Dicevamo che in Italia si celebra Khamenei. Giovedì prossimo a Roma verrà presentata la sua autobiografia, tra i relatori i soliti ferrivecchi antioccidentalisti e fascisti (***). Contro questa “odiosa propaganda delle Repubblica islamica di Iran in Italia”, l’amico Alessandro Litta Modigliani, fondatore del Ponte Atlantico Difesa Libertà Democrazia, ha organizzato un presidio: giovedì 16 dicembre, ore 16.00, nei pressi di via Cavour 50. Si deve andare.

Certo, qualcuno penserà, ma allora dov’è la libertà? Tanto decantata in Occidente, di manifestare il proprio pensiero? Un momento,  un civile presidio, non è un “ukase” del Ministro dell'interno.

In realtà, in questa Italia, che vede in Putin e negli stati canaglia suoi alleati, a cominciare dall’Iran, dei tranquilli cultori del birdwatching, che se ne stanno per i fatti loro, di presidi ne servirebbero un milione.

E invece tutto tace. Grazie Alessandro.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/12/russia-brigante-brigante-e-mezzo.html .

(**) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/12/09/chi-e-al-jolani-capo-dei-ribelli-in-siria-_c93d955b-e3b2-445c-a15e-f9679233e578.html .

(***) Qui: https://www.labottegadelbarbieri.org/un-convegno-a-roma-sullautobiografia-di-khamenei/?fbclid=IwY2xjawHDjXlleHRuA2FlbQIxMAABHWjeCXI_PbARLUqCXUB0hdfAJnZ-J53UZME33CcWuHNPcYCreuSb9DmOLg_aem_6lzav8_6MSYS3yU6_LmxYw

lunedì 9 dicembre 2024

Grandezze e miserie del nazionalismo (Giorgia Meloni a Parigi)

 


Il grave limite del nazionalismo è che soli si muore, per parafrasare il titolo di una canzone di Patrick Samson, cantante libanese, noto nell’Italia fine anni Sessanta, quando si parlava con orgoglio del Libano come della “piccola Svizzera” medio-orientale.

Soli si muore, dicevamo. E infatti la “patriota” Giorgia Meloni , per non morire geo-politicamente, si è intrufolata in casa Macron, correndo a Parigi per omaggiare Donald Trump. Sembra sia stata comunque ricevuta, sebbene senza appuntamento. Forse grazie ai buoni uffici di Musk, l’incombente. Nella rinata Notre-Dame, la si scorge in terza fila, un volto nella folla. Malinconia da parente povero.

Non si sa cosa si siano detti. Secondo fonti giornalistiche Giorgia Meloni progetta di far diventare il suo governo il principale interlocutore di Trump in Europa. Cioè, di mangiarsi in un solo boccone, Francia, Germania, Ue. Che la Meloni non sia priva di grandi ambizioni è noto. Del resto sembra ritenga che tra conservatori (si legga però reazionari) ci si intende alla perfezione. Di qui forse la speranza che la sardina Italia ipnotizzi il pescecane Stati Uniti. Diciamo pure l'America di Trump, che piace alla destra che non piace.

In realtà il vero punto è proprio quest’ultimo. Che si può essere nazionalisti al cubo, ma se poi non si è una grande potenza, come nel caso dell’Italia, si deve venire a patti con i più forti, per non finire come Pinocchio e Geppetto (quella però era un balena). Insomma sono i pescecani a mangiare le sardine, non il contrario.

Se si studia la storia del Novecento, si può scoprire che il nazionalismo ha un lato debole. Innanzitutto perché Il Novecento? Per la semplice ragione che il nazionalismo è fenomeno moderno, dal momento che in termini cronologici discende direttamente dagli eserciti di popolo dei rivoluzionari francesi. La cosiddetta nazione armata. Concetto, quest’ultimo, che deriva da quell’idea di sovranità popolare che nel Novecento è andata a innervare il militarismo dei regimi totalitari.

Si pensi alle decolonizzazioni. I vari fronti di liberazione  nazionale  in Africa e in Asia non riuscirono a  non dividersi tra russi e americani, nonostante la loro superbia nazionalistica. La stessa Cina di Mao, fino all’inizio degli anni Sessanta, fu una dependence sovietica. Come del resto il Vietnam del Nord lo fu di cinesi e russi. E quello del Sud di francesi e americani.

Inoltre il Novecento ci fornisce in materia due esempi eclatanti.

Il primo riguarda la vergognosa fine del nazionalismo francese, che a Vichy finì nelle braccia di Hitler. Il secondo, rinvia al declino del fascismo, umiliato fino all’ultimo dall’alleato nazionalsocialista.

Questo per dire due cose: uno, che esistono dinamiche scalari di potenza, anche nell’epoca del nazionalismi e che perciò nell’oceano della politica mondiale i pesci piccoli, se non vogliono essere divorati, devono venire a patti, come dicevamo, con i pesci più grossi e voraci; due, che non esiste un nazionalismo autosufficiente, come prova magnificamente Giorgia Meloni che vola a Parigi per omaggiare Donald Trump.

Allora, se le cose stanno così, non sarebbe meglio ragionare pacatamente, evitando di tessere le lodi di una autosufficienza che non esiste?

Il principale danno del combinato disposto tra populismo e sovranismo è rappresentato, per un verso, dal predicare una specie di isolazionismo generalizzato, che finisce per avvelenare in nome dei sogni di gloria l’atmosfera politica internazionale, e per altro, dalla inevitabile riconferma di rapporti di potenza.

Rapporti che costringono i più deboli, nonostante le chiacchiere nazionaliste, a prostrarsi ai piedi dei più forti. Sotto questo profilo, come detto, il viaggio di Giorgia Meloni a Parigi è da manuale del nazionalista che non può permettersi di essere tale fino in fondo.

Perché delle due l’una: o si è una grande potenza, e allora il nazionalismo può pagare, oppure, se non lo si è né lo si potrà ma diventare, gli obiettivi vanno commisurati ai mezzi. L’ incomprensione di questa contraddizione del nazionalismo ne spiega grandezze e miserie.

Andrebbe perciò fatto un passo indietro. Cosa che per Giorgia Meloni, formatasi in un partito dalle radici fasciste, quindi nazionaliste, è praticamente impossibile.

Non essere nazionalisti ma distinti e tranquilli signori liberali significa apprezzare il libero scambio, il potere del dialogo, l’ubi beni, ibi patria, insomma le regole di tolleranza reciproca, pur in presenza di inevitabili rapporti di forza scalari e diversificati. 

Se la Russia si fosse comportata da distinto gentleman liberale, l'Ucraina se ne sarebbe andata per la sua strada. In tutta traquillità.  Nessun problema. Ubi bene, ibi patria.  Per poi, magari, in un secondo momento,  tornare a fare buoni affari con Mosca.   E tutti vissero felici e contenti. E invece no: la  "Grande Russia" bla, bla, bla, bla...

Pensiamo  a rapporti di forza  mitigati, se si vuole addolciti, dall’assenza delle pericolose chiacchiere nazionaliste. Un pericoloso diluvio retorico che quando prende piede finisce sempre per avvelenare le relazioni sociali e politiche.

Resta perciò fondamentale comprendere che soli si muore, e che quei morti appestano l’aria e ne portano altri. E poi, per provare che cosa? Nulla. Perché – ripetiamo – i rapporti di forza, una volta liberati dalle regole di tolleranza, si impongono in tutta la loro brutalità. Ed espongono a figuracce, come quella di una Giorgia Meloni, che sgomita per farsi ricevere a Palazzo.

Carlo Gambescia

domenica 8 dicembre 2024

Russia. A brigante, brigante e mezzo

 

La Russia e i nemici dell’Occidente hanno idee chiarissime. Si prenda il caso Siria, è evidente che Mosca, al fiacco Assad, da tempo politicamente impotente, preferisce lo stato islamico, duro, per rendere la vita più difficile al mondo occidentale. Praticamente, gli islamisti, ora da un paio di giorni promossi allo status ribelli (si legga l’autolesionistica stampa europea…), avanzano su Damasco senza trovare particolari ostacoli.

La Russia, a differenza dell’Occidente, crede e pratica la ferrea regola che il nemico del mio nemico è mio amico. In Europa invece si preferisce giocare a medici senza frontiere, con tanto di birignao pacifista. In qualche misura, soprattutto a livello politico, si fa di necessità virtù. Si copre la fifa socialista con l’etica della convinzione.

Questa scelta vista dall’esterno e da lontano (in senso storico), ricorda gli ultimi settant’anni dell’Impero Romano, quando la parte occidentale, impotente, assisteva alla sua rovina. Si continuava a discutere di questioni trinitarie, nelle more del concilio di Nicea, tenutosi nel 325. Una diatriba dottrinaria che avrebbe trovato la sua composizione nel concilio di Calcedonia, anno di grazia 451. Poco più di vent’anni dopo sarebbe caduto, ci dicono gli storici, l’Impero romano d’Occidente, senza che nessuno se ne accorgesse. Ormai, da decenni, era una specie di cadavere ambulante.

Quasi come l’Europa, che oggi discute di teologia delle pensioni e che spera che Trump tolga all’Ue le castagne dal fuoco. Trump probabilmente si comporterà, come gli imperatori della parte orientale dell’Impero, che pur di salvare Costantinopoli, indicavano alle tribù gote, oggi russe, le ricchezze di Roma, sulle quali gettarsi.

La Russia mette insieme le principali canaglie del pianeta con il placet cinese (Corea del Nord, Iran, Stato islamico), e Stati Uniti, Ue ( e se continua così anche la Nato) si presentano divisi all’appuntamento. Anzi, Washington, sembra addirittura voler gettare la spugna, abbandonando l’ Europa e Kiev a un destino rovinoso. E noi europei che facciamo? Discutiamo, come detto,  di teologia delle pensioni, credo ecologico e dottrina trinitaria del diritto costituzionale.

Sotto quest’ultimo aspetto è significativo il caso rumeno, dove la Corte Costituzionale ha saggiamente impedito a un candidato filorusso di vincere  le elezioni.   Bravissimi rumeni. Perché non hanno dimenticato il tallone di ferro della dittatura. E la paura di ricadervi fa  novanta. Si dirà cavilli. Certo, ma cavilli che salvano la faccia e soprattutto la libertà.

La Russia gioca su due piani: quello militare, con le bombe su Kiev, e quello pseudo-legalitario delle elezioni, creando divisioni in campo nemico, foraggiando, brigando eccetera, come in Romania e altrove (si pensi ad esempio anche alla Georgia).

Purtroppo, in queste ore, resta ancora più significativo l’atteggiamento europeo di non prendere alcuna posizione sulla decisione della Corte costituzionale rumena. Anzi in alcune capitali si è inarcato il sopracciglio. Si chiama liberalismo suicida. Il silenzio e il (quasi) disappunto si spiegano con il culto del feticismo legalista. Un’etica della convinzione controproducente. In realtà  un'etica della fifa, perché premia solo i russi. La separazione dei poteri, quando il nemico è alle porte, va riposta nel cassetto. Primum vivere. Semplificando: il liberalismo ha l’obbligo morale e politico di difendersi dai nemici del liberalismo. E con ogni mezzo.

Del resto la questione elettorale dei partiti teleguidati da Mosca, si riproporrà a breve in altri paesi. E l’uso politico, antirusso, del diritto delle Corti costituzionali potrebbe essere un’ottima arma per impedire a Mosca di far vincere i partiti amici. Basterà trovare il cavillo giusto.

Per dirla fuori dai denti, se si vuole salvare l’Europa dagli artigli di Mosca, al brigante russo si deve opporre brigante e mezzo. Come? Provocando le stesse divisioni in campo nemico e favorendo, appena si presenta l’occasione, i nemici della Russia.

Trump non ci aiuterà. L’Europa rischia perciò di restare sola. Servono armi, unità, e spregiudicatezza. Altro che le pappine pacifiste.

Altrimenti la parte occidentale dell’Impero soccomberà un’altra volta.

Carlo Gambescia

sabato 7 dicembre 2024

Sallusti e la difesa della razza

 


L’editoriale di Alessandro Sallusti, come si faceva un tempo, andrebbe ritagliato, piegato e conservato. Diciamo a futura memoria. Di cosa? Dei brutti tempi sovranisti.

Ovviamente per il direttore de “il Giornale” si tratta di una buona giornata. Perché il Rapporto Censis, di quest’anno, usato da Sallusti nell’editoriale per difendere le tesi delle destre sull’immigrazione, purtroppo “certifica” che almeno un sessanta per cento degli italiani è finito nella rete del razzismo, anzi, per essere corretti, nel rete del pre-razzismo. Si pensi a quell’atteggiamento che vede nell’altro diverso da noi, per colore di pelle, costumi, religione, solo un pericolo. 

Di qui uno stato ansiogeno che si traduce in condotta politica, cioè in voti per gente come Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Per dirla fuori da denti: in difesa della razza. E visto che si tratta del sessanta per certo, per la destra può aprirsi la stagione di caccia al voto razzista senza confini.

Attenzione, chi scrive sa benissimo che i processi di inclusione del migrante non sono facili. Possono nascere conflitti identitari. Insomma, serve tempo. Talvolta non possono bastare le canoniche due generazioni. Quindi come si dice tra i giocatori di biliardo, servono calma e gesso. E non la ricerca del capro espiatorio.

Detto altrimenti: una cosa è accettare con mente aperta i problemi che inevitabilmente possono nascere, un’altra rifiutare l’idea stessa di migrante, alimentando tra la gente, come appunto fa Sallusti da anni, l’ansia da teoria della sostituzione.

Nel primo caso si aiuta la gente a capire, nel secondo a odiare.

Comunque sia, a proposito di buone giornate, ora, il direttore de “Il Giornale” raccoglie i frutti del suo lavoro di onesto impiegato all’ufficio pizze di fango contro i migranti.
 

Infatti, ciò che dieci, venti anni fa, era patrimonio di sconosciuti micro-gruppi politici razzisti, oggi è sentimento collettivo diffuso. Questo, purtroppo, ci dice il Censis.

C’è un passo tremendo nell’editoriale di Sallusti, roba da “Völkischer Beobachter”. A un certo punto, enfatizzando, quella che a suo avviso è la sana reazione degli italiani, quindi la “realtà”, scrive che le politiche di accoglienza, l’utopia imposta dalla sinistra “buonista”, tra due tartine al caviale, “sono gli effetti dell’ubriacatura globalista che ha infettato i primi decenni del nuovo secolo, una riedizione del comunismo che, come il comunismo, si è dimostrata non solo fallimentare ma pure pericolosa”. Quindi Utopia 0, Realtà 2.

Troppo facile. Perché si mettono sullo stesso piano la libera circolazione di uomini e beni e l’internazionalismo armato sovietico. In pratica, liberalismo e comunismo. Cioè siamo tornati alle tesi classiche del pensiero controrivoluzionario di Maistre, Bonald, e soprattutto Donoso Cortés. Tra l’altro, il termine “infezione” è usato anche da Hitler. A tale proposito basta solo sfogliare il Mein Kampf. Oppure, se si ha lo stomaco forte, la pubblicistica di estrema destra.

Ma quale realtà! Ritorna l’ideologia culturale del peggiore nazionalismo di stampo razzista, che consiste nel rifiuto totale dell’altro, solo perché diverso. Una chiusura mentale che sotto l’effetto della propaganda delle destre prima si è trasformata, come detto, nell’atmosfera di pre-razzismo da angoscia. Dopo di che nelle urne si è tradotta in voti per i partiti razzisti.  Con bella vista sulla Park Avenue di un elettorato di sinistra in caduta libera sull'immigrazione.

La realtà tanto evocata da Sallusti non è altro che il mondo artefatto, angosciato e impaurito, edificato, passo dopo passo, dalle destre, grazie anche all’opera di giornalisti come il direttore de “il Giornale”.

E ovviamente Sallusti gongola. Il sogno fascista – ma sarebbe meglio parlare di incubo – della difesa della razza è tornato in auge. È realtà.

Carlo Gambescia