Oggi vorremo che il lettore capisse che al di là delle interpretazioni pro o contro la sentenza della Corte di Cassazione sui “paesi sicuri” resta un problema di fondo, non di tipo giuridico, ma di natura antropologica. Per essere precisi di antropologia politica. Altro che i “giudici hanno dato ragione al Governo”, come proclama Giorgia Meloni.
An-tro-po-lo-gia po-li-ti-ca. Parliamo in modo difficile? Addirittura più dei giudici? Con i loro, “in parte qua”, “ex nunc”, eccetera?
Che cos’è l’antropologia politica? In parole povere l’ antropologo politico studia le concezioni politiche dell’essere umano che sono dietro le scelte politiche concrete, quindi che innervano i comportamenti politici. Cioè l’antropologo politico studia il modo di concepire, intendere, interpretare il fenomeno umano. In pratica risponde alla domanda che cos’è l’uomo per Tizio, Caio, Sempronio?
Passiamo all’applicazione. Qual è l’antropologia politica di questa destra politica, che ormai ci governa da più di due anni? Che cos’è l’uomo-migrante per il governo Meloni? Presto detto. Siamo davanti a un’antropologia della rimozione.
Si pensi alla questione della costruzione dei centri per i migranti all’estero, che poi sono delle prigioni. Sergio Endrigo, cantante oggi quasi dimenticato, cogliendo il punto, canterebbe “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”…
Ed è proprio così. In genere, cosa si rimuove o si disloca? Un oggetto. Ad esempio una macchina in sosta vietata, i rifiuti, un cadavere, un corpo inerte quindi. Oppure, in via chirurgica, un’escrescenza, un tumore.
Insomma la rimozione rinvia a qualcosa di estraneo, che non si vuole più vedere (ecco il “lontano dagli occhi, eccetera”). Qualcosa che deve diventare invisibile. Si pensi al terribile esempio storico dell’ “incenerimento” degli ebrei soppressi con i gas. Quindi dell’invisibilità postuma dei loro corpi.
I cosiddetti centri per migranti – i famigerati hotspot – sono il simbolo di un’ antropologia della rimozione dei corpi umani, viventi però. Considerati alla stregua di rifiuti maleodoranti.
A tale proposito c’è chi parla di biopolitica. In realtà, parleremmo di ideopolitica che trasmette i suoi ordini alla biopolitica,
Il migrante come invisibile. Una concezione che ovviamente è alla base, diciamo procedurale, della compilazione delle liste di paesi sicuri e delle questioni interpretative legate alla composizione delle stesse liste, come pure delle questioni organizzative che ricadono nell’ambito della biopolitica. Che come detto prende ordini dall’ideopolitica, cioè dall’antropologia politica di riferimento.
Però, ecco il punto, discutere di paesi sicuri, in quanto problema “ulteriore”, significa già aver accettato l’antropologia della rimozione della destra.
Pertanto, ripetiamo, il problema non è giuridico, o se si preferisce, legale, di procedure, eccetera. O comunque non solo. Ma rinvia alla legittimità antropologica: della conformità del principio di rimozione ai valori della civiltà liberale.
Sotto questo profilo la destra può perciò aggrapparsi alla legalità di una sentenza della Corte di Cassazione, ipotizzando, come accade, che i giudici hanno stabilito che delle liste deve decidere il governo, eccetera, eccetera. E che pertanto avrebbero dato ragione a Giorgia Meloni.
In realtà, ripetiamo, discutere di queste cose significa dare per scontato che il migrante va “rimosso”. Cioè, se ci si passa lo svarione lessicale, che il migrante deve essere “invisibilizzato”.
Insomma, torniamo alla grande questione del grave deficit di liberalismo che anima il governo Meloni. E usiamo un eufemismo. Perché questa gente, per dirla fuori dai denti, è indegna di governare sotto il profilo della legittimità liberale.
Si dirà che il popolo ha votato eccetera, eccetera. Certamente. Ma quando mai gli italiani sono stati liberali? Non dimentichiamo che l’Italia è il paese che ha inventato il fascismo.
E si vede.
Carlo Gambescia
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