venerdì 27 dicembre 2024

Papa Francesco e il concetto di pena

 


Il gesto del papa argentino di aprire una seconda Porta Santa a Rebibbia ha indubbio valore simbolico. Però, però, però…

Francesco ha parlato di speranza, gran panacea per l’impotente. E di conseguenza dei primi che saranno gli ultimi, insieme a coloro che non hanno mai visitato i detenuti, girandosi dall’altra parte. Con i giornalisti si è lanciato nelle consuete esternazioni populiste dei pesci piccoli che, a differenza dei pesci grandi, non finiscono mai in carcere.

Però il suo invito, sostanzialmente, sembra rivolto all’umanizzazione delle istituzioni esistenti. In sintesi: il carcere rieduchi, e una volta tornati liberi, lo stato aiuti i detenuti e reinserirsi.

Insomma, l’accento viene posto sulla funzione della pena, e non sul valore ( e senso)  della  pena in quando tale. Del resto il cristianesimo, e la chiesa cattolica in particolare, sul senso di colpa (partendo dalla teologia del peccato originale) hanno edificato la loro fortuna.

In realtà è proprio l’ idea di pena che andrebbe messa in discussione. Cioè per i reati, non di sangue diciamo, alla pena dovrebbe sostituirsi, da subito, l’esperienza di lavoro o di studio. Attenzione: all’esterno, in società, non all’interno di strutture “protette” per così dire. Si pensi qui alle restrizioni per i minori.

In carcere si può diventare soltanto peggiori, fuori dal carcere, con un lavoro o studio, come attività proiettate verso finalità concrete, si può migliorare o almeno provare, e seriamente, a diventare migliori. Può scoccare la scintilla della gioia di vivere con un lavoro onesto. Si apra perciò al senso di responsabilità dell’individuo. Ecco la vera rivoluzione.

Per esprimersi in modo paradossale, un reato minore, come un piccolo furto, può diventare – il lettore sorrida pure – “occasione” per trovare un posto di lavoro. Diciamo “condannati” a lavorare e studiare. Ma “all’aperto”, nel vivere sociale, non in strutture punitive, sorrette dal concetto di espiazione della pena.

Ovviamente sono percorsi che potrebbero  riguardare soprattutto i giovani, diciamo tra i 18 e i 35 anni (e a maggior ragione i minori), secondo le statistiche più plasmabili. Ma anche qualsiasi altro soggetto che provi di essere animato da una forte motivazione. Resterebbe qui essenziale un’opera di tutoraggio, però non di tipo poliziesco.

Un altro punto non secondario, collegato all’idea di pena in quanto tale, è quello della depenalizzazione delle vendità e del consumo delle droghe, a sua volta legato alla liberalizzazione totale.

In Italia quasi un terzo dei detenuti è “dentro” per reati commessi in questo ambito (*). La liberalizzazione (e il conseguente “azzeramento” dei reati) metterebbe fine a tutto ciò. Una misura, liberale e rivoluzionaria al tempo stesso, che però papa Francesco, “il papa delle periferie”, come si fa chiamare, non accetterebbe, perché proibizionista, come tutta la chiesa.

Concludendo, da un parte un papa conservatore, che, nonostante tutto, sembra restare fedele al concetto di pena, dall’altra una visione liberale che vede nella pena come valore espiativo (ma anche rideucativo in carcere) un concetto superato, ovviamente per i reati non di sangue.

La vera Porta Santa da aprire è quella del lavoro o dello studio senza passare per il carcere o altre stutture restrittive. Tutto qui.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui:

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?facetNode_1=1_5_2&facetNode_2=3_1_6&contentId=SST613925&previsiousPage=mg_1_14# 

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