martedì 21 febbraio 2017

Gli scissionisti del Pd
Arsenico e vecchi merletti


Al di là delle questioni personali, se  non  personalistiche, che sembrano avvelenare la scissione, per ora solo annunciata, all’interno Pd, consigliamo al lettore, che voglia capire qualcosa,  di guardare innanzitutto alle  differenze sui contenuti programmatici.
I renziani (o comunque la maggioranza che appoggia Renzi), sono per l’ambientalismo ma non in chiave decrescista come un Emiliano (si ricordi la posizione di quest’ultimo sul referendum antitrivelle). I renziani  sono per la riforma del lavoro e  non per la paralisi giuslavorista al servizio dei sindacati e del posto fisso,  come gli  Speranza, i  Rossi, i  Bersani.  I renziani  sono per lo snellimento istituzionale e non per il bicameralismo ottuso, come  i D’Alema e i Bersani. E si potrebbe continuare.
Pertanto, tirare in ballo,  come si legge,  le due sinistre: una buona, dalla parte dei lavoratori e dei cittadini,  l’altra cattiva, che vuole demolire tutto, significa, dare per buone le ragioni degli scissionisti.  Che invece, ecco la differenza fondamentale, vagheggiano di vincere  emulando  il noismo  dei Cinque stelle.  Ragionamento,  che  è sposato, in modo altrettanto suicida, sul fronte opposto dalla destra salvinian-meloniana, e forse pure dal tentennante  Berlusconi.
Ma perché l’elettore pentastellato dovrebbe votare il moscio e poco credibile  Bersani invece di Grillo e dei suoi ruspanti post-nerd? Perché il M5S, astro in ascesa della politica italiana, dovrebbe infilarsi nei buco nero Pd, targato Emiliano, Rossi, Speranza? Un Pd, in versione minoritaria, condannato all'estinzione, perché, come provano sondaggi e ricerche più accurate, il bacino elettorale populista, per ora, è appannaggio di Grillo & Co? E i pentastellati lo sanno perfettamente.  E qui, la foto storica di una politica  inevitabilmente destinata al fallimento,  è  quella raffigurante  Letta e Bersani mentre   tentano disperatamente,  aggrappati al tavolino come due spiritisti, di  strappare  un qualche appoggio  agli irridenti Crimi e Lombardi. Anno di Grazia 2013.
Anche Renzi, ma più che altro,  per tacitare  l’opposizione della sinistra interna, incontrò una delegazione pentastellata. Il summit  si chiuse, sempre  con un vaffa.  Ma di Renzi. Il lettore (antigrillino e moderato), si appunti la cosa.
Insomma,  il progetto renziano che potremmo definire del Sì, all’Europa,  alle riforme, al mercato e  in qualche  misura alla modernità liberale, è  antitetico  a quello del fronte del No,   che invece  guarda al  nazionalismo, al protezionismo, al razzismo, sublimato o  meno ( di classe o di pelle), a tutti quei brutti demoni che in passato hanno causato solo danni:  fronte  che va dalla destra ai cinque stelle, politicamente, inseguiti dalla sinistra scissionista del Pd.  Che, rischiando il ridicolo, si propone come l’anziano professor Aschenbach, mettiamo un Bersani con parrucca e  trucco pesante, di sedurre il giovane Tadzio grillino,  un Diba in moto diretto ad Alghero in compagnia di uno straniero. 
Battute a parte ( e scusandoci con Thomas Mann),  questi sono  i termini della questione.Non si scappa. Dietro i  quali però, altra cosa importante, si stagliano due letture opposte della storia dell'Italia repubblicana.: da un lato quella della maggioranza renziana, che scorge apprezza  il filo rosso del progresso  e delle trasformazioni economiche di un paese, dove solo due generazioni fa,  i nonni andavano in giro scalzi. Dall’altro, la lettura  della minoranza Pd, legata allo schema politico che tanto male ha fatto l’Italia  e che risale alla più che giustificata  scelta  degasperiana di escludere i  comunisti dal governo. Anno di grazia 1947.  
Nacque allora un vero e proprio topos culturale e politico, ad uso e consumo dei comunisti. Quale?  Che dietro  ogni maggioranza politica, priva del Pci, si celava  la perversa volontà  di  tenere fuori una “grande forza popolare”, auto-rappresentata da Togliatti (e successori) come il nerbo dell’antifascismo e della democrazia. Di qui, la demonizzazione di ogni forma di anticomunismo, anche democratico e socialista.  E quel bipartismo imperfetto, dal quale non ci siamo mai  ripresi. Per non parlare di  un anticapitalismo a ciclo integrale,  dalle celebrazioni da  comitato centrale al culto  complottistico delle lucciole pasoliniane. Anticapitalismo,   mai andato in pensione, 
Un “giochino”, quello "della grande forza popolare" con il monopolio dell'antifascismo,  roba da arsenico e vecchi merletti,   che però ha  funzionato contro Saragat (dalla scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini),   Nenni (il Nenni del centrosinistra riformista), contro Craxi, contro Berlusconi. E ora rispolverato contro Renzi.   Si pensi solo alla canea antireferendaria,  che  ha visto  in prima fila i vecchi babbioni (pardon) del comunismo.  Ecco qui, come dire, la cattiva notizia.  Renzi però sembra non arrendersi  tanto facilmente. Anzi, contrattacca.  E questa,  è la buona notizia. 
Carlo Gambescia