venerdì 3 febbraio 2017

Virginia Raggi interrogata per otto ore dai giudici
 Le irrisolvibili contraddizioni del Movimento Cinque Stelle


Meno male, anche Virgina Raggi, come  Claudio Scajola, ex Ministro,  ha la fortuna di avere benefattori che si preoccupano del suo futuro.  Battutaccia?  Diciamo che chi, come  la "Sindaca", ora pericolante,   ha flagellato tutto e tutti in nome  dei più alti valori morali, si meriterebbe anche di peggio. Ma preferiamo comportarci da gentiluomini. E del resto, come si dice, fino a sentenza definitiva eccetera, eccetera,  Però, che almeno le serva di lezione.
Tuttavia, non c’è di che essere allegri. La Raggi, in qualche misura, rappresenta l’area politicamente più duttile del movimento pentastellato.  Quella “entrista”,  per usare il linguaggio trotzkista della sinistra dei "gruppetti" di una volta.  Di conseguenza, la sua caduta (se caduta ci sarà) rafforzerà i duri e puri.  Ad esempio a Roma, tornerà sulla cresta dell'onda la fazione  della Lombardi, teorica della profilassi anti-regime e, come spesso si legge, “nemica giurata” della post-avvocatessa Raggi (del resto se c’è la post-verità…), che, da “civile”, di fatto,  si occupava di recupero crediti e incidenti stradali. E, con tale prestigioso curriculum  è arrivata  in Campidoglio. Tradotto: la "Sindaca" non sapendo leggere i bilanci, volente o nolente,  ha dovuto rivolgersi a consulenti esterni, pescati tra i soliti noti, anche considerato, come vedremo, il vistoso analfabetismo economico dei pentastellati. Di qui,  però le  relazioni pericolose. Perché non ci si può accompagnare al Gatto e la Volpe, sperando di farla franca.
Le questioni della  purezza giacobina e dei curricoli zoppicanti rinviano a una riflessione più generale sul M5S. Quale? Che i pentastellati rischiano di gravitare, e quindi impastoiarsi,  tra la stupidità e l’impreparazione (nella migliore delle ipotesi) degli entristi, come mostra il caso Raggi e l’ottusa rigidità dei cosiddetti anti-sistemici, altrettanto impreparati come i primi, rappresentati dalla Lombardi. Impreparazione e paura di mostrarla, due fattori   che spiegano (anche) quel bigotto disprezzo  che  accomuna tutti i cinquestelle nei riguardi del libero mercato e del mondo delle imprese: dallo sdegnoso  rifiuto delle  Olimpiadi alla  bizzarra pseudo-teoria del “non consumo del territorio”.
Pertanto si potrebbe parlare di un circolo vizioso che si autoalimenta: 1) non si formano quadri adatti, riformisti, né si instaura un dialogo con la società economica, perché si ritiene inutile cambiare dall’interno un sistema che va abbattuto; 2) però, non avendo al tempo stesso sviluppato (al di là di un impianto gerarchico che ricorda quello di un’impresa privata gestita da due soci) le caratteristiche del partito bolscevico dei professionisti della rivoluzione (del resto l'Italia non è la Russia zarista né il grillismo può essere ideologicamente paragonato al marxismo), Cinque Stelle  finisce per lasciare l'iniziativa, soprattutto sul piano locale, ai singoli,  i quali  si arrabattano  in base all’indole ( frutto del caso), alla cultura politica (di regola infima) e alla preparazione professionale (quasi sempre scarsa, soprattutto di relazioni sociali); 3) di conseguenza, i fallimenti, non possono non  generare, il ritorno dei duri e puri, portatori  vittoriosi del  principio di  separatezza,  principio, che non essendo Cinque Stelle, come detto, un partito leninista,  impedisce la formazione dei quadri e di  tutto quel che occorre per una metapolitica dell'azione sociale; 4) E così via,  in vista di quel miracoloso 51  per cento, che però non arriverà mai,  perché gli elettori, prima o poi capiranno il vicolo cieco,  in cui si sono cacciati, frutto avvelenato di un mito incapacitante ma pericoloso  in politica: quella della purezza morale assoluta.  Dicesi anche perfettismo.
Il che non si significa auspicare che i pentastellati,  mettendosi tutti fila, vadano  a scuola da Lenin. Perché, se  ciò accadesse, per la democrazia liberale italiana potrebbero  essere guai seri.  Ma che, dal punto di visto sociologico ( e metapolitico) , non si può essere al tempo stesso rivoluzionari e riformisti, o se si preferisce partito di massa e partito rivoluzionario. Semplificando, di lotta e di governo.  
Si tratta, insomma, di una contraddizione insolubile. Anche perché se non  c' è riuscito Togliatti, figurarsi Grillo e Casaleggio jr.

Carlo Gambescia