lunedì 21 aprile 2008

Interpretazione di Tremonti



Non è nostra intenzione scrivere un saggio su Tremonti. Anche se il “personaggio”, soprattutto lo studioso, meriterebbe un approfondimento. Principalmente alla luce del suo ultimo e molto discusso libro, La paura e la speranza, ma di cui qui non parleremo, dando per scontato che i lettori ne conoscano le tesi anti-mercatiste.
Ma veniamo all’argomento del post. A prima vista resta piuttosto difficile capire dove Tremonti vada a parare. Laureato in giurisprudenza, professore di diritto tributario, ha ricevuto una formazione italiana: non è passato per il Mit, come altri economisti organici ( o quasi) alla sinistra post-comunista. Politicamente è stato prima vicino a De Michelis (socialista), poi a “Mariotto” Segni (ex democristiano), infine ministro dell’economia nel Secondo Governo Berlusconi. E sicuramente lo sarà anche nel Terzo.
Nonostante i trascorsi socialisti e post-democristiani Tremonti si è sempre autodefinito, probabilmente anche per civetteria, un liberale con una spiccata propensione verso il federalismo (fiscale). E sulla base di questa ultima opzione ha giustificato le sue simpatie per Bossi, fino a diventare il punto di raccordo politico tra la Lega e Forza Italia. Infine, Tremonti è presidente dell’Aspen Institute Italia.
Ora, il futuro Ministro dell'Economia polemizzando con Mario Draghi (un tecnocrate passato per il Mit), è tornato a parlare un linguaggio demichelisiano, primi anni Ottanta: di sostegno non al mercato, in termini della solita retorica sulla trasparenza, ma alle imprese e in chiave - ecco i termini desueti - di “aiuti diretti” e addirittura di “nazionalizzazioni”.
Per quale ragione rispolveriamo De Michelis? Perché come Ministro delle Partecipazioni Statali, tra il 1980 e il 1983 (anni crisi anche quelli), tentò di rilanciare l’economia mista italiana, modernizzandola, ma rivendicando il ruolo direttivo dello stato rispetto alla grande impresa privata. Crediamo, perciò, che per capire certe propensioni anti-mercatiste di Tremonti, che tra l’altro in quegli anni, collaborò con Reviglio e Formica, non sia necessario rispolverare Colbert, ma riandare al socialismo pragmatico di Gianni De Michelis. Ma anche rileggersi alcune pagine di Francesco Forte (altro liberalsocialista). Nonché di seguire, con attenzione, il gioco di sponda (liberismo buono, liberismo cattivo, eccetera) fra Tremonti e uno dei più importanti editorialisti economici italiani, passato da circa un anno dal Corriere della Sera al Giornale di Paolo Berlusconi.
Riteniamo, forse maliziosamente, che l’interventismo di Tremonti sia del tutto "congiunturale". Che, insomma, egli punti a normalizzare i rapporti fra il Terzo Governo Berlusconi e i poteri forti dell’economia italiana, ricorrendo a quella politica del bastone e della carota, usata dal partito socialista negli anni Ottanta.
Un pragmatismo, di stampo demichelisiano, o craxiano, votato a ricomporre, alla luce della crisi internazionale in atto, l’ordito dei rapporti tra politica ed economia, bypassando, la mediazione di tecnocrati come Mario Draghi. Mettendo così in imbarazzo, e per la seconda volta, una sinistra riformista, che continua a mostrarsi, anche dopo la sconfitta elettorale, neoliberista ad oltranza.

Carlo Gambescia

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