martedì 24 gennaio 2017

Tito Boeri, le pensioni e il “debito implicito”
 La voce del padrone 




Ci mancava pure il concetto di pensione legata  al calcolo “debito implicito”.   Di che cosa si parla? Lasciamo  la parola a Tito Boeri, presidente  dell’Inps, economista e  tecnocrate di sinistra: “Il debito implicito (…) è l'insieme delle impegni presi dallo Stato nei confronti degli attuali contribuenti, pensionati e contribuenti futuri. E se si dice che il debito implicito è qualcosa che non ha valore si sta implicitamente dicendo che in futuro si taglieranno le pensioni" (*). 
“Impegni” e sulla base di che cosa? Di previsioni macroeconomiche: una specie di lotteria, dove basta un  più o un meno  accanto al Pil,  magari  lo scostamento dello  0,01%,   per scombinare  tutto.  Perciò di quali previsioni parliamo?   Resta già difficile prevedere il debito esplicito, figurarsi quello implicito... Giochini da costruttivisti. Il che, ovviamente, può solo accadere   in un contesto,  come quello italiano -  ecco il lato più grave della cosa -   dove lo stato, culturalmente, se non addirittura filosoficamente (lo “stato etico” che piaceva tanto a fascisti, comunisti, democristiani e socialisti), viene ritenuto il pagatore in ultima istanza delle pensioni,  provocando, secondo alcuni osservatori, danni cerebrali collettivi irreversibili:  la pericolosa sindrome da individualismo protetto.     
Pensioni che, evidentemente,  -  per quale ragione  non dire la verità ?  - sono uno strumento di consenso sociale e politico, come dire, di natura  interpartitica.  Pertanto sorvolando, sulla diatriba pseudostorica tra “contributivisti” e “retributivisti”, che impone comunque un potere centrale redistributivo ( tradotto: Inps), va chiarito che fino a quando lo stato continuerà a occuparsi di pensioni, e non importa se all’Inps comanderà  un sindacalista o un tecnocrate, si continuerà discutere di nulla, praticamente.  Inciso, per Boeri:  noi non  paghiamo le colpe delle “baby pensioni” democristiane. Ma di un sistema semi-collettivista  che ha permesso tutto questo. Uno statalismo inveterato,  di cui oggi,  il professor Boeri,  è la longa manus.  O se si preferisce: la voce del padrone.  Parla, parla, parla,  ma resta sempre dalla parte dello stato.    
Il vero nodo  è che le pensioni, se ci si passa l’espressione, andrebbero strappate dalle grinfie dei governi per restituirle al libero arbitrio dei singoli cittadini. Insomma, dovrebbero uscire dall’agenda politica,  lasciando alla periferia,  al cittadino insomma,  il potere individuale di scelta, al limite anche di non cautelarsi direttamente attraverso polizze private assicurative,   puntando su fonti indirette di reddito, alternative alla classica pensione welfarista. Che, mai dimenticarlo, si basa invece su un centro che gestisce  male (e spesso tirannicamente)  i risparmi dei cittadini,  tramutati - se e quando - in pensioni,  trasformate a loro volta,  in strumenti di elemosina politica, da accrescere o diminuire ( i tagli di Boeri)  in base  alle esigenze del centro e non della periferia.
E che ne sarà di quelli che non ce la fanno? Peggio per loro.  O comunque, potrà provvedere la carità privata. La Chiesa di Papa Francesco, ad esempio, così attenta ai poveri.  Del resto gli stessi privati che oggi finanziano a fondo perduto "Medici senza Frontiere", potrebbero finanziare "Pensioni senza Frontiere".  L'importante è che lo stato, ridotto alle sue funzioni fondamentali (quelle smithiane) ne resti fuori.  Inoltre,  il rischio di non farcela può essere un incentivo per porsi scopi nella vita, anche nei semplici termini di  riuscire a  garantirsi orgogliosamente, con le proprie forze,  una vecchiaia serena. Pensiamo a  una vigorosa mentalità individualistica, frutto di un individualismo vero, non protetto e vittimistico, che se moltiplicata collettivamente,  può costituire, attraverso la mano invisibile del sociale, un fattore di crescita  e di  eliminazione o riduzione  di ogni forma di parassitismo economico e politico. E di questo cambio  di marcia beneficerebbero le generazione presenti e future, soprattutto queste ultime,  così  al centro delle preoccupazioni di  Boeri.
Il principio da sconfiggere è quello dello "Stato Padrone"  che eroga pensioni e che  di conseguenza può stabilirne l’ammontare decidendo delle fortune o sfortune fiscali dei contribuenti, millantando un potere previsionale che non esiste:  pari a quello dell’Oracolo di Delfi.  Ecco un esempio - sia detto per inciso -   di quella  biopolitica (come potere di vita e di morte sul singolo cittadino)  che piace tanto alla cultura di sinistra, quella  delle parole magiche,  che però continua a credere, anche la più radicale,  nel ruolo redistributivo dello stato. E quindi dell’Oracolo di Delfi.  
Si dirà, ma le pensioni attuali, sono frutto di una concertazione  tra stato, sindacati, imprenditori, gruppi di pressione.  Peggio che mai:  il conflitto sociale (la "concertazione"...),  come ogni conflitto determina vinti e vincitori, quindi finché  prevarrà la logica delle coalizioni redistributive (tra l'altro più interessate alla spartizione che alla produzione del bottino), esisteranno gruppi rappresentati e sotto-rappresentati.  Logica dell'assalto alla diligenza  che non può non incidere sulla spesa pubblica. Infatti, dal momento che lo stato viene considerato, “da tutti” i contendenti ( i diversi gruppi),  il pagatore in ultima istanza delle pensioni,  i poteri pubblici, da chiunque rappresentati, non possono non sostenere, per ragioni di consenso ( di pace sociale, come si dice), anche i gruppi perdenti.  Con costi contributivi e fiscali,  prodotti dalle  "guerre" redistributive  tra i gruppi, che però vengono "spalmati" su  tutti i singoli cittadini:  meritevoli e immeritevoli. E la chiamano "equità"...
Si dirà, che quanto fin qui sostenuto,  è  pura utopia.  Forse.  Ma non è altrettanto utopico, continuare a credere nel potere previsionale dell’ Inps e dello "Stato Padrone"? 

Carlo Gambescia                            


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