mercoledì 11 gennaio 2017

Spiavano i politici, arrestati Maria e Giulio Occhionero
Verità sì, ma con juicio



Non sappiamo come andrà a finire l' inchiesta sul cyberspionaggio esplosa ieri sera e oggi abbondantemente commentata dai mass media.  Però tre  riflessioni, di tipo sociologico, capaci di andare oltre la cronaca di queste ultime due ore, non possiamo non farle.
La prima, riguarda la neutralità della tecnica.  Che cosa vogliamo dire? Una banalità (non sempre però accettata a scatola chiusa, si pensi ai tecnofobici).  Che la  tecnica è a disposizione di tutti.  Dai fratelli Occhionero, in odore di massoneria, e quindi poco amati già in partenza dai media “democratici”,  a Julian  Assange, personaggio  celebratissimo dalla  romantica dietrologia del rivoluzionario digitale.  Pertanto  prima c’è lo strumento inerte, poi  il suo  uso, e infine l’interpretazione sociale, quasi sempre ideologica (di parte) di quell’uso. La tecnica è la classica pistola carica, messa lì, a disposizione di tutti, dal benefattore al furbo e al cretino.
Il che ci porta alla seconda osservazione. Lo spionaggio, cyber o meno, in democrazia o meno,  non ha mai smesso di essere una risorsa politica: uno strumento per  ricattare, controllare, influenzare e dominare l'avversario (il nemico, schmittianamente).  Con una variante però. Che riguarda i regimi democratici, dove, caso unico nella storia, la verità ha assunto, retoricamente si intende,  un valore assoluto, in base al  collegamento tra virtù e conoscenza, già affrontato dai i filosofi pre-moderni, ma in chiave  squisitamente teorica, se non del tutto astratta. I moderni (non tutti fortunatamente) invece ci credono. Quindi per i creduloni, soprattutto quelli di massa (chiamiamoli così), il cittadino informato non può non essere anche moralmente buono. Più si è informati, a prescindere dal discernimento, più si è cittadini perfetti. Insomma,  quantità, uguale qualità.  
Di qui - e giungiamo alla terza osservazione -  la sua trasformazione in risorsa politica. Da alcuni  infatti,  la verità è ritenuta  addirittura rivoluzionaria. Sicché, andrebbe  usata per  favorire la rivoluzione, giudicata ingenuamente (quando in buona fede) come il trionfo finale della verità. Di conseguenza, il passo dalla ricerca della verità al fondamentalismo veritativo può essere brevissimo. Inoltre, la verità-risorsa politica, come tutte le risorse, può essere manipolata. Tuttavia,  quanto più la si politicizza tanto più ci si allontana dalla verità, perché la si piega, inevitabilmente, agli interessi di parte.  Però,  quanto più una società è complessa, sul piano degli interessi, dei valori, dei conflitti distributivi,  tanto più diventa necessaria una qualche forma di manipolazione, come dire, fisiologica. 
Di che cosa parliamo? Di una zona franca,  dove la classe dirigente  mostri di essere a conoscenza del fatto che  la rispondenza tra conoscenza e virtù  non esiste a livello individuale e (a maggior ragione) a livello di massa. Ma anche di un altro fatto importante:  della necessità di  fingere che invece esista, evitando però  accuratamente di cadere nel fondamentalismo. Si tratta di un equilibrio molto difficile da perseguire, perché  richiede politici e comunicatori sociali dotati di grande senso di responsabilità, capaci di imporre una doppia verità, per se stessi (quella vera)  e per il popolo (quella formulata nella zona franca). Infatti, per una classe dirigente   mentire due volte ( a se stessi e al popolo), è molto pericoloso, quasi come dire sempre la verità. Ed è  un segno  di decadimento.
La zona franca, come insieme di verità parziali a livello conoscitivo e sociologico,  rappresenta  la reintegrazione ( il necessario omaggio che l’ipocrisia paga alla virtù) di una verità, che si sa  parziale, pura convenzione,  in una società relativistica, ma di massa,  dalle molteplici e altrettanto parziali verità.  E che deve convivere, se vuole durare nel tempo, con le mezze verità.  Anche perché, alla verità unica (o intera) non può non corrispondere l’assolutismo politico, con tutte le conseguenze negative del caso.  Certo,  per il credente, può esistere  la verità che libera. Ma in un altro mondo...
Sintetizzando,  la doppia verità sta alla società complessa e libera, come la verità unica sta alla società totalitaria e chiusa.  Ciò  non significa che il cyberspionaggio, nel caso di violazioni, non debba essere punito. Tuttavia, mai aspettarsi troppo. Verità sì, ma con juicio.


Carlo Gambescia               

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