martedì 21 dicembre 2010

Milano e il "nodo alla gola" dell’usura



A Roma da sempre li chiamano “cravattari”. Perché stringono il “nodo della cravatta” dei tassi usurari intorno alla gola del commerciante “incravattato”. Spesso l’usura è preceduta da richieste di “pizzo: il prestito viene estorto con la scusa di fornire protezione. Dopo di che, di dilazione in dilazione, ci si impossessa, a prezzi stracciati, dell’intero patrimonio della vittima.
Però il malcapitato esercente , come ha riferito il procuratore Ilda Boccassini a proposito della maxi-inchiesta milanese su usura e ‘ndrangheta, pare preferire il silenzio.
Purtroppo, secondo il magistrato, si tratta di «un dato sintomatico» di cui prendere atto: « Ritengo che il fenomeno criminale che riguarda l’usura e l’estorsione sul territorio di Milano sia esteso. Anche a Milano però non abbiamo dietro la porta commercianti, imprenditori, ambulanti pronti a denunciare all’autorità giudiziaria un’usura, un danneggiamento ai fini estorsivi».
Di conseguenza, come ha osservato anche Bruti Liberati, «per contrastare il silenzio della società civile, ci sono idee e progetti per coinvolgere le associazioni di categoria. In particolare coinvolgeremo Assolombarda»
Vedremo.
Intanto, va ricordato che già nella seconda metà degli anni Novanta una ricerca dell’Osservatorio sull’Usura e la Criminalità Economica, promosso dalla Camera di Commercio, aveva osservato una cosa importante. Che « il fenomeno dell'usura, nella realtà milanese, non è connesso esclusivamente con la criminalità organizzata. Occorre infatti ricordare - si legge - che solo una parte delle attività di usura è gestita dalle organizzazioni mafiose. I dati hanno rivelato l’esistenza di differenti tipologie di usura e di usurai. L’offerta di usura si caratterizza per la presenza di diversi soggetti: i gruppi di tipo mafioso convivono con altri operatori illegali che vanno dall'usuraio singolo, scarsamente professionalizzato, alle organizzazioni di tipo familiare che svolgono la loro attività artigianalmente a livello di quartiere, all’usuraio professionista che spesso opera sotto una parvenza di rispettabilità e di legalità» . E a tutt’oggi la situazione non sembra essere cambiata.
Il che significa, per buttarla sul sociologico, che l’usura si incunea negli interstizi del legame sociale. Ci spieghiamo meglio: il silenzio della vittima potrebbe essere dettato non solo dalla paura delle ritorsioni fisiche, ma dell’isolamento “culturale” (“quello che non paga”) all’interno della cornice sociale in cui vive. Può sembrare paradossale ma è proprio la componente “legame” ad essere storicamente alle origini di fenomeni come Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta.
Diciamo perciò che l’ individuo ricattato rimane in apnea tra fedeltà allo Stato e al gruppo sociale di appartenenza. E che spesso però è quest’ultima a prevalere. Come uscirne? Processi e condanne a tappeto vanno benissimo. Ma non bastano. Occorre una maggiore presenza sul territorio di operatori sociali, non tanto catapultati dall’alto grazie agli accordi tra “generali” come sembra proporre Bruti Liberati, ma già ben inseriti nella comunità di quartiere, magari tra gli stessi commercianti. Capaci di valorizzare con la forza dell’esempio i comportamenti corretti (e di denuncia) e perciò di incidere sulla formazione del legame sociale. Impresa non facile. Anche se è quello che fanno attualmente, e bene, molti parroci di frontiera. Che “commercianti” non sono…

Carlo Gambescia 

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