Il
libro della settimana: Giulio Sapelli, Modernizzazione senza sviluppo. Il
capitalismo secondo Pasolini, Bruno Mondadori 2005, pp.258, Euro 13,50 .
http://www.ibs.it/code/9788842492818/sapelli-giulio/modernizzazione-senza-sviluppo.html |
Nelle Lettere. 1940- 1975 (Einaudi,
Torino 1988), ce n'è una a Gianni Scalia, del 3 ottobre 1975, sociologo e amico
di Pasolini, dove lo scrittore si congratula con lo studioso per una
"bellissima idea" . Scrive Pasolini: "la tua idea di 'tradurre'
in termini di economia politica ciò che io dico giornalisticamente mi sembra
non solo bellissima, ma da attuarsi subito" ( vol. II, p.748).
Non è dato sapere se il progetto sia stato portato a
termine da Scalia, dopo la morte dello scrittore, ma la lettera illumina quello
che è un aspetto fondamentale dell'opera di Pasolini.
La sua estrema creatività, ma anche "invasività"
: come capacità di cimentarsi con le forme artistiche, espressive, e di
comunicazione più varie, "colonizzandole" e piegandole alla propria
poetica e ai propri valori culturali. Sicuramente la traduzione
"economica" dei suoi scritti giornalistici avrebbe suscitato in lui
nuovi interessi verso la "scienza triste". E chissà forse nuove
sollecitazioni, letture, e scoperte.
Va però segnalato anche il rovescio della medaglia.
Essere estremamente creativi, come Pasolini (o persino volerlo essere a ogni
costo, come notano gli osservatori meno benevoli), e perciò passare da un campo
all'altro (dal romanzo al cinema e alla critica sociale, sociologica ed
economica), ha un suo costo: quello di seminare di perle (romanzi, poesie,
film, documentari, testi teatrali) il proprio cammino ma anche di intuizioni,
magari brucianti, ma proprio perché tali, poco organiche e di difficile se non
di impossibile interpretazione "postuma".
Sotto questo aspetto Giulio Sapelli, professore di storia
economica, ha scritto un volume utilissimo per due ragioni: in primo luogo
perché consente di fare il punto sulle analisi economiche e sociologiche di
Pasolini( e, in questo senso, riprende e sviluppa il progetto di Scalia). In
secondo luogo, perché, grazie al taglio problematico (o aporetico) il testo
mette bene in luce la difficoltà, per ogni studioso, di riuscire a decifrare un
pensiero intuitivo, prensile e febbrile come quello di Pasolini.
Prendiamo ad esempio la famosa tesi pasoliniana sulla
modernizzazione senza sviluppo. Una volta letto e chiuso il libro, si scopre
che sul problema della modernizzazione capitalistica Pasolini non aveva una
posizione precisa: per un verso, seguendo l'ottima ricostruzione di Sapelli,
sembra essere contrario (si veda la sua critica dei processi di massificazione
e omologazione, pp. 27-36, 107-137 ) per l'altro però, e Sapelli ne fornisce le
prove, Pasolini continuerebbe a sostenere, condividendo addirittura,
l'ottimismo evoluzionistico engelsiano (p. 31), lo sviluppo delle forze
produttive, come meccanismo fondamentale per il passaggio dalla
"preistoria" (il capitalismo) alla storia (il socialismo). Perciò per
Pasolini il punto chiave, dal punto di vista della politica, sembra essere
quello di come far collimare, all'interno di una modernità, a questo punto
necessariamente (e razionalmente) capitalistica, soprattutto se l'obiettivo
finale è quello obbligato del socialismo, sviluppo morale e sviluppo delle
forze produttive (p.165), crescita economica e crescita intellettuale e
culturale (p.155).
Il che suggerisce una domanda, che Sapelli non si è
posto, e alla quale, proprio dopo aver letto il suo libro è ancora più
complicato rispondere. Ma non si sa mai.
Un Pasolini redivivo si batterebbe per la crescita o per
la decrescita?
Carlo Gambescia
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