domenica 19 febbraio 2006


L'editoriale di Ernesto Galli della Loggia
Le parole come pietre?



Desideriamo proporre una  riflessione sull' editoriale di Ernesto Galli della Loggia, apparso ieri sul "Corriere della Sera"(19.2.06). Prima però una premessa.
Per gli studiosi di scienza dei conflitti, il segnale che una "situazione competitiva", rischia di trasformarsi in "confitto totale", è costituito dall'uso crescente di stereotipi verbali da parte degli attori sociali.
Una"situazione competitiva",per continuare a usare il freddo linguaggio polemologico, può implicare anche attività di tipo bellico. Tuttavia quando alle armi si unisce la forza crescente della parola (di un lessico sempre più ideologizzato), ciò significa che il punto di non ritorno è molto vicino. Dopo di che gli eventi precipitano e diventano incontrollabili: si aprono le porte della guerra totale.
Sotto questo aspetto quel che è accaduto a Bengasi (reazioni comprese) è molto significativo.
Da un lato un ministro, Calderoli, che attenzione non rappresenta solo se stesso ma un pericoloso e diffuso senso di insofferenza verso il mondo islamico, che inizia a nutrirsi di stereotipi, e che non andrebbe assolutamente incoraggiato. Dall'altro le folle musulmane di Bengasi, che proprio perché tali, sono più manovrabili e sensibili ai richiami di parole d'ordine anti-occidentali. E al centro una classe politica, quella italiana ma anche libica (e in genere di fede islamica, e comunque non occidentale ), che non riesce, a capire la gravità della situazione, se non in termini di eventuali effetti di ricaduta elettorali o di conservazione potere. O addirittura di puro e semplice reperimento di risorse economiche.
Ma ecco finalmente il punto. E i grandi opinionisti liberali? I "signori del lessico politico" che ruolo giocano? E qui entra in scena, come "caso esemplare", il pezzo scritto da Ernesto Galli della Loggia.
Nel suo editoriale intitolato Tolleranza serve un limite, si guarda bene dall'usare qualsiasi seria categoria di tipo storico e sociologico, come invece sarebbe dovere di ogni studioso. Ormai, per Galli della Loggia il problema non è più capire se il punto di non ritorno sia stato raggiunto o meno, e se, eventualmente, ci sia ancora qualche possibilità di evitare che le cose precipitino (studiando oggettivamente, dal punto d vista della polemologia, la dinamica del conflitto nel tentativo di fornire una soluzione che non sia quella della guerra totale). Per lo studioso si deve invece contrattaccare, e subito, cominciando proprio dalle "parole", dal lessico politico: "Noi europei ci stiamo rapidamente abituando a tutto ciò (...). Timoroso dell'accusa di leso multiculturalismo il nostro discorso pubblico non osa più esprimere giudizi che non siano di comprensione, di più o meno tacita 'tolleranza', verso qualunque intollerabile violenza o malefatta commessa nelle contrade dell'Islam. Ad una folla polacca o irlandese non perdoneremmo neppure un centesimo di quello che siamo disposti a perdonare a una folla libica o afghana".
E infatti l'intero editoriale è punteggiato di espressioni come "virus culturale religioso e politico", "estrema violenza e rabbia cieca", "propensione al fanatismo religioso" tutte rivolte a stigmatizzare la "via pericolosa" che avrebbe preso l' Islam, come recita l'occhiello.
Galli della Loggia sembra purtroppo aver  fatto la sua scelta di campo. E all'interno di un processo conflittuale che si sta pericolosamente avvitando su se stesso. Altro che  "parte osservante e critica", come invece imporrebbe una visione liberale della politica e della scienza...  Pertanto tutto quel che scrive rischia di essere  privo di qualsiasi oggettività e in prospettiva pericoloso. Il professore sembra  preferire al ragionamento la  scomunica. Alle parole le pietre. 

Proprio come certi Iman estremisti che pretende di combattere. 

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