venerdì 10 febbraio 2006


Le  tesi di Guido Rossi sul Diritto "interstiziale"
Capitalismo e regole


Il capitalismo può essere "imbrigliato" giuridicamente?
In Italia si è acceso un vivace dibattito in argomento grazie ai libri di Guido Rossi (nella foto),  professore di diritto commerciale (si veda per tutti, Capitalismo opaco, a cura di Federico Rampini, Editori Laterza 2005). Il quale sostiene, per farla breve, che il capitalismo per funzionare correttamente ha soprattutto necessità di "regole". E che uno dei limiti del capitalismo italiano, sarebbe proprio quello di essere insofferente alle "buone leggi". Di qui la necessità di intervenire sul piano legislativo.
Ovviamente, il professor Rossi, non è così ingenuo, da ignorare il fatto che le buoni leggi hanno bisogno di un ambiente morale e culturale, da cui trarre sostentamento psicologico e comportamentale ( e su questo punto si veda anche il suo Conflitto epidemico, Adelphi 2003). Insomma, anche per Rossi, come per il grande barone di Montesquieu, i buoni costumi fanno le buoni leggi.
Due, però, sono i punti discutibili delle sue tesi.
Il primo punto è che per fare i buoni costumi ci vogliono i secoli, mentre per formulare e approvare le leggi bastano pochi giorni o mesi. C'è , come dire, una frattura di tipo conoscitivo e sociologico tra tempo sociale e tempo giuridico. Ciò però non significa che non si debba "tentare" di modificare giuridicamente la realtà. Si deve. Ma da quel che tutto sommato scrive, si ricava l'impressione, che Rossi sopravvaluti "illuministicamente" il ruolo del diritto e del legislatore. Non sempre considera che il diritto, in realtà, opera negli spazi interstiziali, tra i due tempi (quello sociale e quello giuridico). Il diritto perciò è sempre ambiguo, e lo è "costitutivamente". Dal momento che si sviluppa nello spazio minimo del "già e non ancora": stretto tra necessità presenti e comportamenti e sensibilità ereditate . E che spesso per questo motivo si risolve in pura decisione: politica. E mai giuridica
Il secondo punto, che discende dal primo, è che la visione del capitalismo di Rossi è esclusivamente giuridica. Nel senso che giudica il capitalismo dal punto di vista delle regole di un idealizzato diritto commerciale. E' un po' come pretendere di studiare, e soprattutto giudicare, il comportamento umano, esclusivamente in base al rispetto dei Dieci Comandamenti. Il che è nobilissimo sotto il profilo morale, ma fuorviante sotto quello analitico e conoscitivo. Rossi "crede" nel capitalismo eroico, austero, rispettoso delle regole, civile e umanistico, e dunque "giuridicizzabile". Purtroppo per lui, si tratta di un capitalismo che rappresenta, come la storia mostra, piuttosto l'eccezione che la regola. E nonostante ciò, sulle basi di questo capitalismo "idealizzato" da "Dieci Comandamenti", Rossi giudica quello reale, pretendendo, per giunta che il diritto "interstiziale", di cui sopra, sia capace di imbrigliarlo.

Il che, e va riconosciuto, prova una grande fede nei miracoli.

Carlo Gambescia

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