venerdì 7 aprile 2023

Occidente in piedi!

 


Purtroppo la storia non si studia più, a cominciare dai professoroni della geopolitica. È finita in soffitta.

Nessuno sì è ricordato di un precedente interessante sul piano della mentalità. Il viaggio franco-europeo (semplificando) in Cina rinvia a un’atmosfera da patto di Monaco (1938). Macron-Daladier e Von der Leyen-Chamberlain confidano nella volontà di pace di Mussolini-Xi. E soprattutto nel fatto che il leader cinese riesca a convincere Putin-Hitler, per mantenere il parallelo storico, a fare un passo indietro.

Purtroppo, il mondo occidentale, oggi come allora, sembra non capire la necessità di fermare “per tempo”, e sul terreno, Putin-Hitler. E di conseguenza si vuole costringere la “piccola” Ucraina-Cecoslovacchia a cedere, facendo pressione su Beneš -Zelenzky

Però a differenza del 1938, gli Stati Uniti sono parte in causa, anche se l’isolazionismo resta sempre in agguato. Ecco perché certo pacifismo di Washington rimanda a quello della coppia politica Macron-Daladier/ Von der Leyen-Chamberlain.

Biden, anche se non sempre lo dà a vedere, crede in fondo come Daladier e Chamberlain nella volontà di pace di Putin-Hitler.  Diciamo pure che tutti e tre (Biden, Macron, Von der Leyen)  lo “vogliono” credere. Si chiama anche mentalità pacifista: un misto di presunzione, debolezza, paura. La stessa che animò Daladier e Chamberlain.

Però esiste una notevole differenza con il 1938: che l’Occidente, volente o nolente, sta vincendo: il solo fatto che l’Ucraina, a differenza della disgraziata Cecoslovacchia, rapidamente invasa e smembrata in pochi giorni, resista e contrattacchi da più di un anno, indica che se nel 1938 la vittoria era dalla parte di Hitler, nel 2023 non è da quella di Putin. Nonostante i tentennamenti occidentali, che per mentalità, come dicevamo, ricordano quelli di  Monaco. Certo,  non ne è ancora seguito  un patto  e c'è una guerra in corso. Però l'idea del viaggio in  Cina, riporta, quantomeno come pericolo di gravissimo disarmo morale, a quei malinconici giorni. 

Insomma, la notizia buona è che l’Occidente sta vincendo, quella cattiva che non crede in se stesso. Sicché si abbarbica all’idea di pace, commettendo lo stesso errore di Chamberlain e Daladier. Ieri a Monaco, oggi a Pechino.

Se fin dall’inizio Europa e Stati Uniti avessero mantenuto l’iniziativa, soprattutto sul campo, armando adeguatamente l’Ucraina e invece di cavillare,  riservarsi di intervenire come Nato,  la Russia sarebbe già arretrata oltre i confini dell’Ucraina. Così non è stato. Però, malgrado l’approccio pacifista, l’Occidente sta vincendo. Lo si intuisce dal rifiuto russo di qualsiasi idea di trattativa. Di regola non vogliono (o non possono) trattare coloro che stanno vincendo o perdendo. E dal momento che la grande potenza in serio stallo è la Russia, Mosca sta perdendo.

L’Occidente deve tornare a credere in se stesso. E questa è la cosa più difficile. Perché è un problema di mentalità, come dicevamo all’inizio: la mentalità pacifista aiuta solo la mentalità bellicista. Si pensi solo al continuo accenno, da ultimo cinese, ma gradito a europei e americani, a proposito della necessità di evitare l’escalation nucleare. Non sia mai… Che paura…

Si rifletta. Se c’è uno strumento impolitico, quindi di puro valore retorico, è quello della guerra nucleare. Impolitico, perché una guerra nucleare non vedrebbe né vincitori né vinti, né amici né nemici. E qual è lo scopo della guerra, che è continuazione della politica con altri mezzi? Vincere.

 Alla guerra vittoriosa segue la pace. Che sarà articolata sulle base della gestione politica della “pax”: armata, disarmata, pacifica, eccetera. Ovviamente si tratta sempre di pace temporanea (in senso storico: può anche durare a lungo), perché gli uomini sono quel che sono. Su questa terra non esiste alcun Eden, con la maiuscola. Si può convivere, anche per lungo tempo e bene, favorendo tolleranza, libertà e commerci. Ma non per sempre. Cosa che i pacifisti non riescono a capire.

Pertanto, si può immaginare una pace post-guerra nucleare? No.

Il che vuol dire che la minaccia nucleare non è un fine in se stesso, nel senso dell’uso reale dell’ arma atomica, perché non condurrebbe a nessuna vittoria e correlativa pace. In realtà siamo dinanzi a un semplice mezzo retorico (quindi non un fine, ripetiamo), per avere le mani libere sul campo, dove invece si usano le armi convenzionali diciamo meno “pericolose”. Proprio il terreno sul quale la Russia sta perdendo. Di qui, ripetiamo, il ricorso retorico  alla minaccia atomica, che il bellicista russo utilizza  per indebolire ulteriormente sul piano della coesione morale il pacifista occidentale.

Ecco perché l’Occidente deve cambiare mentalità. Né pacifismo, né bellicismo, ma realismo militare.

Come? Chiarendo un fatto (cosa che si doveva fare subito, affiancando sul campo l’Ucraina): che non userà armi nucleari, non convenzionali, senza per questo rinunciare a battersi fino alla morte con le armi convenzionali. Non servono a nulla le dichiarazioni di voler evitare l’escalation non convenzionale, quando non accompagnate dalla decisa manifestazione dell’idea, soprattuttto con i fatti, di essere perfettamente capaci di puntare sull’escalation convenzionale.

In questo modo si favorisce la Russia. E probabilmente anche la Cina. Che infatti ha ribadito, agli spauriti occidentali, come l’Italia di Mussolini a Monaco, di voler evitare l’escalation atomica. Favorendo così, oggi come allora, con gli argomenti pacifisti gli appetiti del bellicismo russo.

Si dirà  che  il rischio dell’escalation atomica non può essere escluso in una  logica finale  da bunker hitleriano: "Guai a   mettere  all'angolo Putin!", ripetono i pacifisti, come se tra l'angolo e la guerra atomica  non ci fosse spazio per la guerra convenzionale, articolata a vari livelli.   

A dire il vero, e per essere onesti,  l'escalation atomica  non  si può escludere del tutto:  esiste il pericolo del  famigerato "errore",  altro cavallo di battaglia dei pacifisti di tutti i colori politici.  
   

Purtroppo, gli errori, proprio perché tali, non sono prevedibili. Si chiama, piaccia o meno, accettazione del rischio.  E il ciclo politico del conflitto si fonda a ogni livello sulla dinamica minaccia-decisione-rischio. Ciò significa, con buona pace delle anime belle, che non è mai possibile escludere uno dei tre fattori.

Quanto al riferimento a Monaco, il parallelo ha un suo preciso significato: siamo ancora nel 1938, non nell’aprile del 1945: il rischio atomica da bunker. Quindi saremmo ancora in tempo per evitare una guerra mondiale. Come però? Non cedendo e impegnandosi sul campo della guerra convenzionale in Ucraina. Si chiama realismo militare.

E in questa difficile missione, oggi come allora, il pacifismo non aiuta. Anzi rischia di peggiorare le cose.

L’Occidente non deve avere paura della guerra. In piedi!

Carlo Gambescia

Nessun commento: