venerdì 14 aprile 2023

La minigonna non fu una rivoluzione

 


La morte di Mary Quant, colei che ha “inventato” la minigonna negli anni Sessanta, invita a fare alcune riflessioni sulla lunghezza degli abiti femminili nell’Occidente degli ultimi duecento anni.

Alfred Kroeber, il grande antropologo statunitense, studiò la lunghezza del gonne per l’arco di centocinquant’anni: dal 1789 al 1935.

Kroeber individuò un rapporto tra periodi di irrequietezza politico-sociale e lunghezza delle gonne. In età rivoluzionaria e napoleonica, si ridussero . La lunghezza fu stabile per tutto l’Ottocento, diminuì di nuovo tra le due guerre mondiali. Dopo di che, per andare oltre indagini di Krober, la lunghezza si stabilizzò fino agli anni Sessanta periodo non proprio quieto, che vide l’ascesa della minigonna di Mary Quant. Che per misure raggiunse e superò il livello delle gonne, già abbastanza corte, dei “ruggenti” anni Venti.

Pertanto Mary Quant va a collocarsi in una precisa fase, finale, del processo di riduzione della lunghezza delle gonne iniziato con la Rivoluzione francese.

Oggi macrogonne e microgonne sembrano convivere, intersecandosi con l’uso del pantalone, non preso in considerazione dallo studio di Kroeber. Resta comunque il fatto che la sua ipotesi, resta molto interessante, soprattutto per un’altra ragione.

Va detto che Kroeber, che scriveva negli anni Trenta parla pure di un modello “base” di abito femminile negli ultimi due secoli. Un modello permanente legato alla centralità dell’ampiezza verso il basso (nell’abito da sera o matrimoniale ad esempio) e alla snellezza verso l’alto, a prescindere dalla lunghezza della gonna. Un fattore quest’ultimo che rispetto al modello "base"  (che, semplificando, evidenzia il seno), diviene poco più di un dettaglio.

Ovviamente, non stiamo sminuendo l’ “invenzione” di Mary Quant. Cerchiamo semplicemente di collocarla all’interno di un ciclo antropologico-sociologico che vede in Occidente alti e bassi nella lunghezza delle gonne legati all’ irrequietezza politica e sociale: al successo facile diciamo. E per contro, se ci si  passa l’espressione corriva, rinvia, al di là del ciclo stesso, a una decisiva “centralità del seno”, immune dal mutamento degli umori politici e sociali.

In sintesi: 1) Mary Quant e gli stilisti suoi epigoni rappresentano il punto finale della traiettoria. Un specie di limite oltre il quale non si poteva e può andare, pena la sparizione della gonna stessa; 2) Quanto al modello “base” legato alla snellezza verso l’alto, “sovente maliziosa”, come osservava Kroeber, va riconosciuto che ha mantenuto la sua centralità, totalmente sganciata dalle inquietudini dei cicli storici e sociali, seppure mostrando una superficie crescente di epidermide femminile, quale concessione umorale ai tempi inquieti.

Dalle ricerche di Kroeber, che, come detto, si fermano al 1935, rimane fuori il pantalone, che per alcuni studiosi rappresenta un segno di maschilizzazione, quindi un simbolo vivente dell’avanzata femminista, mentre per altri solo un nuovo efficace strumento al servizio delle attività di corteggiamento. Perciò per il momento è ancora presto per un giudizio consuntivo.

Ricapitolando Mary Quant si colloca nelle parte terminale di un ciclo storico-sociale. Dopo la sua “invenzione”, che se vissuta in fondo avrebbe condotto alla sparizione della gonna, la sua lunghezza non poteva non risalire per evidenti ragioni “tecniche”.

Pertanto se proprio di rivoluzione si vuole parlare, la vera rivoluzione resta quella delle “caviglie” in bella mostra: anno di grazia 1813.

Carlo Gambescia

(*) Si veda Alfred L. Kroeber, Antropologia. Razza lingua cultura psicologia preistoria, ed. it. a cura di Gualtiero Harrison, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 309-312, fig. 19, p. 311 (per l’illustrazione a corredo del nostro articolo).

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