giovedì 13 aprile 2023

Luciano Canfora e Giorgia Meloni: “chi si somiglia si piglia”

 


È in corso una micro-polemica a sinistra che verte su due questioni: 1) il fascismo in economia fu liberista o statalista? 2) Giorgia Meloni sta seguendo le tracce del Mussolini che nel 1922 volle al governo dell’economia un economista liberista come Alberto de’ Stefani? O quelle del Mussolini della Carta del lavoro, dell’Iri, dello stato corporativo?

All’ esortazione sul “Corriere della Sera” di Luciano Canfora che invita Giorgia Meloni a seguire le idee del Mussolini socialista e non quella dei compagni di partito “iperliberisti”, fa da contraltare quella sul “Riformista” di Michele Prospero, che invece ritiene Giorgia Meloni non avere affatto problemi di scelta perché il fascismo non fu socialista né antiliberista.

Cosa dire?

Che certi studiosi di sinistra, come Prospero, continuano a restare appesi all’idea antiquata che il liberismo sia contro le “fasce a basso reddito”, mentre l’antiliberismo no. Sicché il fascismo, come nemico delle classi meno abbienti, non fu antiliberista.

La realtà è un’altra. E ben triste. Che cultura di sinistra, nonostante i proclami, ha sempre rifiutato di studiare seriamente il liberalismo. E soprattutto di approfondire il concetto di costruttivismo, cioè la pretesa di voler costruire il mondo, ripartendo da zero, o comunque di poter cambiare le persone obbligandole ad essere libere, secondo una certa visione politica: sogno che fu, a prescindere dalle diversità ideologiche, del fascismo, del nazionalsocialismo, del comunismo.

Parliamo del potentissimo e disgraziatissimo sogno di costruire un italiano, un tedesco, un russo, totalmente nuovi, forgiati attraverso il ferro e il fuoco della società totalitaria che aveva e ha nell’opera dello stato il suo potente motore. Una cosa tremenda.

Ora, se c’è un tipo di pensiero che ha distinto il liberalismo – si badi il liberalismo, che è “anche” libero scambio economico, quindi liberismo – questo è l’anticostruttivismo, ossia l’antistatalismo.

Per un liberale il problema non è se liberalismo sia o meno dalla parte del popolo o comunque dei “ceti meno abbienti”, ma se sia dalla parte del costruttivismo o dell’ anticostruttivismo. Il liberale nel popolo, non scorge un’ entità astratta (l’incarnazione della nazione ad esempio), ma vede solo singoli individui che desiderano perseguire i propri interessi e passioni, secondo una visione del bene, che non rinvia a uno stato che vede e provvede, ma all’individuo stesso che interagendo con altri, attraverso la mano invisibile delle interazioni stesse, edifica la vita sociale.

Semplificando il concetto: il bene dei “ceti meno abbienti” è un fenomeno di ricaduta culturale, sociale ed economica. Come fu la crescita dei salari operai nella secondo metà dell’Ottocento del Novecento. Dietro le “lotte operaie”, magnificate dagli storici marxisti, c’era un secolo di interazioni tra privati individui, indirette come nel caso del mercato, non un fenomeno di trasformazione diretta via stato. Si è costruito il capitalismo, senza sapere che lo si stava costruendo. Altro che costruttivismo socialista, fascista, eccetera, eccetera.
Sotto questo aspetto le forme di liberalismo venute a patti con il socialismo – ad esempio il liberalsocialismo – hanno tradito l’idea liberale, perché hanno ceduto al costruttivismo welfarista.

Giorgia Meloni, in quanto nazionalista, pardon sovranista, resta costruttivista: scorge nello stato un potente motore di trasformazione, come nel caso dei fascisti, dei nazisti, dei comunisti e del liberalsocialisti. Ovviamente questi ultimi si muovono nell’ambito del welfare state, una forma più educata di statalismo, che quindi non è lo stato fascista, nazista o comunista, ma che però condivide, in linea di principio l’idea costruttivista, dello stato che sa ciò che sia bene per ogni individuo e che quindi vede e provvede.

Giorgia Meloni però non stima il liberalsocialismo perché non ne condivide l’approccio sui diritti civili che contrasta con l’ideologia del “dio, patria e famiglia”. Ma questa è un’altra storia.

Pertanto sembra avere ragione Canfora: il fascismo non fu liberista. Il liberismo di Mussolini fu di breve durata. Alberto de’ Stefani restò in carica come ministro delle finanze e del tesoro, tra 1922 e il 1925, seguito da Volpi e via via diluendo. Prevalse insomma l’idea costruttivista che poteva e può essere, ripetiamo, fascista, nazista, comunista. Ma non liberale. Non si dimentichi mai questo aspetto fondamentale.

Insomma il vero punto non è la posizione dello stato verso le “fasce a basso reddito”, come ritiene Prosperi, che se soffrirono, soffrirono a causa delle guerre fasciste, che non furono che un altro aspetto del costruttivismo fascista che si imponeva e imponeva di costruire l’ “Italiano nuovo”. Come però? Invadendo l’Etiopia, appoggiando Franco e alleandosi con Hitler. Una tragedia della stupidità militare. Altro che libero mercato e scambi pacifici.

Qual è il vero punto allora? Che mancò soprattutto il liberalismo, cioè l’idea anticostruttivista per eccellenza. Tesi che può essere estesa a Giorgia Meloni, che tutto è, eccetto che liberale.

Sicché l’invito di Canfora a recuperare il socialismo di Mussolini, provocatorio o meno, rinvia alle simpatie dello storico, radicalmente antiliberale come la Meloni, per il costruttivismo.

Canfora, come noto, è un grande ammiratore di Stalin. E probabilmente anche di Mussolini. E chissà che non riesca a  esserlo anche della Meloni.

Certo, è vero che Canfora qualche tempo fa ha accusato Giorgia Meloni di essere “neonazista nell’anima”. Ma come fa quel proverbio? “ Chi  si somiglia si piglia”…

Carlo Gambescia

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