domenica 26 marzo 2023

Il suicidio dell’Occidente

 


Uno storico del XXIV secolo con che occhi guarderà al mondo di oggi? Molti dipenderà dal tipo di istituzioni politiche e valori che saranno preminenti fra tre secoli.

Però, comunque sia, se storico autentico,  non potrà  ignorare quel che sta accadendo. L’Occidente ha abbandonato quei principi liberali del XIX secolo che lo hanno fatto grande. Siamo davanti a una specie di suicidio collettivo.

La crisi si è aperta con la Prima guerra mondiale che ha dato il via a un interventismo statale, sconosciuto nel secolo precedente. Il ruolo dello stato si è incredibilmente ampliato dopo il Secondo conflitto mondiale, per crescere, in modo quasi inarrestabile in quella che è stata, di fatto, la Terza guerra mondiale: la “Guerra fredda” con l’Unione Sovietica, conclusasi con la dissoluzione di quest’ultima nel 1991.

Le guerre da che cosa sono caratterizzate? Dalla conservazione del consenso interno, per resistere e vincere il nemico.

Il che però ha un costo in termini di libertà. Le due guerre “calde” hanno militarizzato l’economia, la guerra fredda ha welfarizzato la società. Il tutto, ripetiamo, per conservare il consenso dei cittadini. Un processo che ha devastato l’economia libera, estesosi non solo all’Europa ma all’intero Occidente.

Purtroppo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso è andato perduto sul piano politico il treno di un recupero delle idee liberali: una grande occasione storica. Se il ciclo politico di un esasperato interventismo statale sarà confermato, Ronald Reagan e Margaret Thatcher, unitamente ad altri leader minori, saranno giudicati in futuro, dai pochi storici dissidenti all’interno di una società che si preannuncia orwelliana, come gli ultimi difensori della libertà.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica si sono aperti altri cinque fronti: quello della nuova “guerra santa”, quello delle grandi migrazioni, quello ecologico, quello epidemico, quello della aggressiva rinascita bellicista russa e come sembra cinese. Si potrebbe parlare, nell’insieme, di una specie di Quarta guerra mondiale, “caldo-fredda” , che rischia di potenziare il ruolo dello stato, in una misura senza precedenti, e sempre per ragioni di consenso.

Ci spieghiamo meglio.

Delle cinque componenti conflittuali  della “Quarta guerra mondiale, due sono reali, come la nuova guerra santa e l’aggressiva rinascita bellicista russa e cinese, le altre invece meno. Cioè sono fenomeni reali ma percepiti in chiave catastrofista: pensiamo alle componenti migratoria, ecologica, epidemica, pardon pandemica.

Il punto sociologico è che ogni istanza sociale una volta recepita nell’agenda politica, reale o irreale che sia, si tramuta in reale, nei termini di decisioni politiche effettive che provocano conseguenze reali.

Ciò significa che la “Quarta guerra mondiale”, nel quadro di un spiccato interventismo statale condiviso da tutte le forze politiche per ragioni di consenso, inevitabilmente si tradurrà, come dicevamo, in ulteriori “tagli” alle nostre libertà.

Oggi in cambio della libertà si promette ai cittadini una sicurezza, funzionale alla conservazione del consenso, come si proclama, per vincere la “guerra”: o contro il “terrorismo” islamico-sovietico e (prossimo venturo) cinese, come pure contro le “migrazioni selvagge” (destra); o contro le grandi epidemie, pardon “pandemie” e la “crisi climatica” (sinistra).

Talvolta le posizioni di destra e sinistra convergono, come sulla “transizione ecologica”, talaltra divergono, in modo ancora più accentuato, come sui migranti, ma la propensione verso l’ inaudita crescita dei poteri dello stato resta la stessa.

Qui però – il lettore faccia attenzione – le cose si complicano, perché lo statalismo implica inevitabilmente il fiscalismo. Che, a sua volta, provoca: o una politica del denaro facile (sinistra), che però favorisce inflazione, speculazione e persecuzione fiscale, o una politica di tagli che riduce l’inflazione, la speculazione, la persecuzione ma non la pressione fiscale (destra).

Nel primo caso, l’inflazione si mangia tutto (risparmi, consumi, investimenti), nel secondo la recessione paralizza tutto (risparmi, consumi, investimenti). E non può escludersi neppure un terzo caso: che un mix delle due politiche (destra e sinistra insieme) produca stagflazione.

Siamo davanti al paradosso delle società welfariste, che di liberale non hanno più nulla: società che segano il ramo della crescita economica sul quale sono sedute. Perché inflazione e stagnazione causano la distruzione delle classi medie, provocano sommovimenti sociali che novantanove  volte su cento  rischiano di  sfociare nelle dittature: nelle famigerate risposte semplici a problemi complessi. 

Detto altrimenti, nel suicidio dell’Occidente.

E di questo, probabilmente, scriveranno gli storici del XXIV secolo. Ovviamente, gli storici dissidenti,  quelli veri.

Carlo Gambescia

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