lunedì 20 marzo 2023

Ernest Renan tra destra, sinistra e cosiddetti professori

 


Buttarla sempre in politica, e qui pensiamo a certi cosiddetti professori, non è cosa buona e giusta, perché cultura e politica non vanno mai insieme. E spieghiamo perché.

Si pensi al putiferio scatenato dalla citazione meloniana di Ernest Renan (1823-1892): per la sinistra, lo storico francese è un antenato di Hitler, per la destra di Fratelli d’Italia, nuova versione patriottica (non nazionalista), un padre nobile.

Di Renan, di formazione storico delle religioni, in particolare del cristianesimo e dell’ebraismo, in Italia, a parte  qualche illustre francesista, si è sempre saputo e capito poco. Si cita ogni tanto e a sproposito il suo Che cos’è una nazione?, ignorando il resto del produzione, soprattutto l’ultima: quella di natura pedagogico-politica.

Allora, a proposito di Renan, che deve fare un professore? Per metterla sulla deontologia, chi sa, proprio perché deve insegnare a chi non sa, non deve mai buttarla in politica. Ciò significa non sposare alcuna causa: né di destra né di sinistra. Ogni professore autentico deve spiegare le cose come sono. Oppure, dopo aver inarcato il sopracciglio, tacere, al riparo della sua torre eburnea, eccetera, eccetera.

Diciamo subito che Renan non fu un precursore di Hitler, però fu un grande ammiratore dell’ unificazione prussiana della Germania. La sua ammirazione, che proveniva da un autentico culto per le discipline storiche e filologiche tedesche, fu tale fino al punto di indicare, se non addirittura ordinare alla Francia del tempo, duramente sconfitta nella Guerra franco-prussiana (1870-1871), di mettersi subito al passo (ferrato) con la Germania di Bismarck.

Questa sua ammirazione, stando a uno storico italiano, oggi quasi dimenticato, Federico Chabod, tra l’altro profondo studioso dell’idea di nazione e di Europa, sfociò addirittura nel razzismo. Leggiamo insieme questa pagina, tratta dall’ importante e incompiuta, Storia della politica estera italiana:

“ Eppure, eppure parecchio rimaneva in lui [Renan], se non dell’antico ideale europeo, almeno dell’antico germanesimo: questo anzi, usciva involontariamente ancor rafforzato dalla terribile prova, intendiamo, come potenza suggestiva di dottrine e forme germaniche sul brettone dal mite sguardo [Renan]: e n’ era prova ‘La réforme intellectuelle et morale de la France’, che finiva con l’additare, per modello ancora e sempre lo spirito germanico, ed esaltava lo spirito militare, di germanica origine, di cui la Francia, di cui la Francia s’era malauguratamente privata con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, sostituendovi una concezione filosofica e ugualitaria della società, n’era prova il già accentuato razzismo che precisava ancora più atteggiamenti degli anni precedenti e conduceva Renan completamente fuori dall’orbita della grande tradizione liberale francese del Tocqueville; n’ era prova l’ammirare, sempre, direttamente o meno, la stessa organizzazione politica, sociale e militare prussiana” (*).

La réforme è del 1871, Qu’est-ce qu’une nation? del 1882 (**). Pertanto quest’ultimo libro va culturalmente inquadrato all’interno della metamorfosi prussiana di Renan. Infatti, se lo si legge con attenzione, l’accento è posto sul concetto di volontà politica. Il clima spirituale, che rimanda al luogo comune  della nazione come “plebiscito quotidiano”,  passo di Renan fin troppo citato, in realtà rinvia, a sua volta, a una sovrumana volontà politica: o meglio ancora a quel volontarismo che sarà alla base di un rabbioso nazionalismo antiliberale che successivamente sfocerà inevitabilmente nel razzismo.

Scivolamento però non ancora del tutto presente nel Renan “prussiano” (non saremmo così tassativi come Chabod). Ma certamente racchiuso, ripetiamo, in un cieco volontarismo, più che adombrato da Renan, che prescinde categoricamente da ogni forma di umanesimo liberale.

La stessa idea di “plebiscito quotidiano”, spesso citata a vanvera, rimanda a un individuo che non può, anzi non deve trascurare la sua appartenenza nazionale neppure per un attimo. Siamo perciò davanti a una opprimente visione panpolitica dalle conseguenze assai pericolose. Come la storia del Ventesimo secolo, avvelenata dai nazionalismi, ha tristemente provato.

E a dire il vero anche del Ventunesimo.

In conclusione, e non solo a proposito di Renan, certi cosiddetti professori dovrebbero o tacere o dire la verità, storica ovviamente. Però come si ottengono certi incarichi se non ci si mette al servizio di una parte politica?

Mai contraddire il Principe. Nuovo o vecchio che sia…

Carlo Gambescia

(*) Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Editori Laterza 1971 (1951), 2 voll., I., pp. 82-83.

(**) Gli inserti tra parentesi quadre sono nostri. I due testi Nation e Réforme sono scaricabili qui: https://archive.wikiwix.com/cache/index2.php?url=http%3A%2F%2Fclassiques.uqac.ca%2Fclassiques%2Frenan_ernest%2Frenan_ernest.html .

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