mercoledì 25 dicembre 2019

Una destra priva di prospettive
Il Natale di Gianfranco Fini

Che Natale trascorrerà oggi Gianfranco Fini?  La gloria è passata, anzi sepolta, i giudici incombono, i servitori politici di un tempo sono spariti. Se si clicca sul sito dell’Associazione Liberadestra, da lui fondata e presieduta, ci si ritrova in Indonesia.  Evidentemente il dominio ha cambiato amministratore e localizzazione geografica… Sic transit gloria mundi.
Certo, c’è  sempre  la  famiglia.  Che si diranno oggi Fini, moglie, eccetera,  in salotto? Sotto  le lucine intermittenti dell' albero,  davanti alla tv accesa?
In effetti - il “più bravo del bar sport” come lo chiamava un caro amico -   ebbe  il suo momento  di gloria nel 2010, dopo il  conflitto finale con il Cavaliere.
Corteggiato dalla sinistra, da Presidente della Camera, una volta sfiduciato da Berlusconi,  Fini  ispirò e favorì  la fuoriuscita  dal Popolo della Libertà di un gruppo di deputati e senatori. E tutti insieme diedero vita  a “Futuro e Libertà”.   Le cose poi andarono male.  Anzi malissimo. Porte politiche chiuse e inchieste giudiziarie a gogò. Sedotti e bidonati.  
Oggi la destra neofascista considera  Fini una specie di Badoglio: un traditore, non tanto di Berlusconi, ma dei famosi ideali, sui quali però i neofascisti poi usano dividersi in varie correnti. Fermo restando, certo cinico pragmatismo dei dirigenti, che pur di agguantare il potere, se Fini avesse tuttora forza politica, lo sdoganerebbero  seduta stante. Diciamo che l’odio verso l'ex Presidente della Camera  è funzionale (e scalare)  al grado di estremismo.  Il che però  la dice lunga sulla decantata purezza ideologica degli aennini dopo Fini.
Che cosa resta di quel progetto? Che all'epoca criticammo da posizioni liberali e riformiste in un libro scritto a quattro mani con Nicola Vacca? Nulla, perché oggi la destra post-finiana si è completamente appiattita sulle posizioni leghiste.  Pertanto, “populisteggia” più che mai. È anche vero che la destra libertaria, teorizzata dai  consiglieri finiani del tempo, era un prodotto di serra:  un puro gioco  da tavolo  di storia delle idee.  
Però -  ecco il punto storico -  allora esistevano  prospettive politiche.   Sbagliate o meno che  fossero, non si giocava  al richiamo della foresta: democrazia parlamentare ed economia di mercato erano fuori discussione. Ci si muoveva in chiave sistemica.
L' esatto  contrario del cesarismo criptofascista, antisistemico che oggi  caratterizza la destra meloniana e salviniana.  Probabilmente,  Gianfranco Fini non aveva la stoffa del vero leader, perciò, tutto sommato,  merita la sorte che gli è toccata.
Però, ripetiamo, quella era una destra  che pur tra le contraddizioni e i Lego intellettuali  aveva  delle  potenzialità.  E in ogni caso non puntava a fare politica giocando sulle paure della gente. 
Quanto all’onestà intellettuale di coloro che incoraggiarono e seguirono Fini nell’avventura, la si può misurare seguendone il percorso successivo.  
Da un parte, quelli  che sono tornati  sui propri passi,  rientrando nella destra meloniana o fuggendo  verso i nuovi vincitori della destra salviniana: i molti, insomma, che confermano di aver seguito Fini solo per volgare interesse.  Dall'altra, i puri che credevano nell'impresa: quei  pochi che invece destano tutta la nostra ammirazione. Quasi come un tramonto sull’oceano. 
Che è cosa diversa dal triste tramonto di Fini, in salotto davanti alla tv.              

Carlo Gambescia