giovedì 6 aprile 2017

L’attacco nella provincia di Idlib
Mosca difende Assad. L’ira di Trump
La chimica della politica internazionale


Se si sfoglia un buon manuale di storia delle guerre, si scopre che l’uso di gas e  armi chimiche è più argomento propagandistico  che fenomeno reale.  E per tre ragioni. 
Uno,  non funzionano tecnicamente, come si scoprì subito per i gas, durante la Prima guerra mondiale ( e infatti nella Seconda  vennero centellinati, se non del tutto messi in soffitta). Due, se usati (raramente come detto),  attirano subito le critiche, piuttosto pesanti, della comunità internazionale, perché fuori legge. Tre,  scatenano i  riflessi umanitari dei mass  media, che, comunque sia, un qualche ruolo di orientamento della pubblica opinione mondiale lo conservano e difendono egregiamente.
Sicché ogni dibattito pubblico  in argomento finisce per  assumere esclusivamente una veste umanitaria.  Come ora sta avvenendo per il presunto (o meno)  uso di armi chimiche da parte di Assad:  però, ecco il punto, il dibattito umanitario, per carità nobilissimo,  rischia di causare  specifici contraccolpi di tipo geopolitico.  Dei quali la politica, soprattutto la grande politica, dovrebbe tenere conto.
Cosa vogliamo dire? Che gas e armi chimiche, alla fin fine  non sono importanti in quanto tali, visto l’uso limitatissimo, ma come risorsa propagandistica.   A che scopo? Per interferire sulla chimica della politica internazionale.  Si prenda ad esempio, il caso Assad,  dove possiamo distinguere due posizioni:
a) quella di  tutti coloro che politicamente sono contro il tiranno siriano e che  non possono non cogliere la ghiotta occasione per addebitargli l’attacco chimico  e  chiederne la definitiva deposizione, anche con le armi.  E qui pensiamo - semplificando -    a i suoi oppositori in Siria e  Medio Oriente,  sunniti e non,  agli obamiani Usa,  alla sinistra pacifista europea, nonché  a  tutti gli avversari di un riavvicinamento tra Usa e Russia,  rivolto a tenere a galla l’alleato siriano di Putin,  e non solo come vedremo più avanti.
b) quella di   tutti  coloro che sono a favore di Assad. Solo per fare qualche nome:   in primo luogo Putin, poi la Cina  più discosta,  ma attenta all’evoluzione degli eventi e della presidenza Trump. Infine, la destra filoputiniana europea ( e non),  misteriosamente  affascinata, forse all'insegna del paghi uno compri due,  dal  volto nazionalista e  populista  del miliardario newyorkese. 
Questa, la chimica reale, geopolitica.  Ora, il primo contraccolpo della chimica propagandistica (senza nulla togliere alla gravità del fatto reale e specifico) sulla chimica reale è rappresentato dal veto di Putin e dal passo indietro di Trump, che sembra, da un giorno all’altro,  aver mutato  giudizio sul tiranno siriano, fino a ieri considerato  un fattore, pur a suo modo, di stabilità.
Cosa significa tutto ciò?  Che quanto più si insiste, sul piano propagandistico,  sulla gravità dell’attacco chimico,  tanto più le possibilità  di  una soluzione concordata, in chiave anti-jihadista della crisi mediorientale,  anche di tipo militare,  tra Stati Uniti e Russia,  rischiano  di ridursi. Tradotto: qui si rischia di  rinviare sine die la fine della guerra civile, favorendo il moltiplicatore dell'instabilità  in un'area geopolitica delicatissima.    
Il vero nemico è costituito  dal fenomeno  jihadista  e dallo sviluppo politico del califfato:  due fenomeni  politici e  polemologici che rappresentano il disordine, mentre  la loro  eliminazione il ritorno dell’ordine,  almeno in Medio Oriente. 
Tuttavia, per imporre l’ordine,  serve un’idea di ordine. E qui, purtroppo, sia Putin sia Trump, al di là dei proclami e di qualche sciabolata dell'Orso russo,  non sembrano molto preparati in materia. Altrimenti il primo avrebbe impedito il bombardamento, anche solo a livello olfattivo. Mentre il secondo, sempre così polemico con la stampa,   una volta avvenuto, invece di obameggiare (o quasi), avrebbe dovuto  retrocedere la propaganda mediatica a  fake news, imbrogliando le acque (è la politica, bellezza...). Come ha fatto Putin,  ma solo  dopo l' attacco. Attacco che  il leader russo,  ripetiamo, avrebbe invece dovuto impedire prima. E per ragioni strategiche dettate dall’idea di un ordine condiviso russo-americano, antijihadista, in Medio Oriente.    
Ovviamente, i nostri sono gli  argomenti del  puro realismo politico che collidono con le ragioni  dei pacifisti,  delle anime belle dell'umanitarismo,  dei democratici tutti d’un pezzo che sognano di esportare la Camera dei Comuni dove comanda la  Sharia,   i quali   scorgono  nella tirannia di Assad la radice  di tutti  mali.  Che una volta eliminata, come per incanto...   Ne dubitiamo.       

Carlo Gambescia