sabato 29 aprile 2017

La polemica sulle  Ong e lo stato (pessimo) del discorso pubblico
“Signora mia, è tutto un  magna magna…”


Osservazione sociologica diciamo di base, molto terra terra. I lettori desiderano sapere quale può essere la reazione delle gente comune all’ultima polemica  tra  magistratura e partiti sulle Ong?  Presto detto. Qualunquismo a ruota libera: “Signora mia, è tutto un magna magna…” , “Sono tutti uguali!”,  “Troppi partiti!”. Oppure radicalizzazione: “  Magistrati irresponsabili complici della destra…”,  “Sinistra e Ong contro l’Italia”. E così via. 
Ecco lo stato attuale del discorso o dibattito pubblico in Italia: lanciare e  rilanciarsi  palle di merda (pardon), di regola imbottite di mezze verità e/o falsità, che finiscono per sporcare tutto e tutti, nonché  ignorare i problemi fondamentali, per farsi belli agli occhi del popolo e captarne la volubile benevolenza. Come, ad esempio, nel caso della polemica sulle Ong: dove invece di recuperare il controllo militare della Libia, per impedire che continuino a partire  dalle  sue  coste i famigerati  barconi dei disperati, si discute sul chi o sul come recuperarli in mare.          
È sempre stato così? Qui l'argomentazione non può non farsi teorica, più affilata. Quindi attenzione.
Il discorso pubblico è  il farmaco  della democrazia liberale che però può trasformarsi  nel  veleno delle democrazia di massa. Per usare una metafora, l’idea di sovranità del popolo, è un dono dei moderni, che come per l’uso di certe miracolose medicine,  può uccidere o salvare il paziente in ragione del dosaggio.
Quanto più le democrazie, in termini di suffragio,  da censitarie, chiuse, si sono trasformate in universali,  aperte,  tanto più è diventato difficile filtrare non tanto i contenuti, come tali, quanto le reazioni ai contenuti, via via sempre più di natura  emozionale  a causa della diffusione  di un  linguaggio politico, sempre più semplificato,  che si imponeva (e impone) di conquistare il voto di strati di popolazione sempre più larghi ed emotivamente labili.  E qui la psicologia delle folle di Tarde e Le Bon  aveva visto lungo.
Pertanto, per venire all' oggi,  i  Social  facilitano, ma solo  tecnicamente, dall'esterno,  il suicidio della democrazia liberale, perché contribuiscono  alla inevitabile  banalizzazione del discorso pubblico. Ciò significa, tra l’altro,   che divieti e regolamentazioni  non servirebbero a nulla, perché la logica dissolutiva è interna al processo di semplificazione del messaggio,  racchiuso nella logica sociologicamente espansiva della democrazia di massa. 
Ciò non implica da parte nostra l’ idealizzazione dei sistemi politici pre-democratici, dove, la logica espansiva di cui sopra, riguardava,  al contrario,  l’intensificazione dell’oscurità del linguaggio politico,  appannaggio di élites  separate dal resto della società,  che grazie alla auto-sacralizzazione, fortemente simbolica del potere, anche sul piano linguistico,  imponevano una crescente divisione  sociale tra dibattito pubblico, praticamente inesistente, se non in termini di  splendore e pompa dei poteri reale e aristocratico,  e il dibattito privato interno alle élites  dirigenti, politiche e religiose, quindi doverosamente criptico, secondo la sistematica degli arcana imperii. 
Pertanto, quando oggi, polemicamente,  si discute  della crescente  separazione   tra élites e popolo, si parla veramente a sproposito oppure con  finalità  demagogiche  per instaurare un potere assoluto, ovviamente di pochi,  ma  in nome, retoricamente, anzi religiosamente, del popolo.   Dal momento che  il vero processo in atto, come prova la pessima qualità  del dibattito pubblico  (che non riguarda solo l’Italia: in Francia potrebbe vincere il linguaggio intestinale della Le Pen), non concerne la separazione, ma l’accomunamento,  diremmo confuso,  tra le élites e il popolo, per le ragioni, già ricordate, legate alla  dinamica interna della democrazia. 
Altro punto interessante. All’inizio dell’allargamento del suffragio, le classi dirigenti democratiche (piuttosto che liberali in senso stretto, o almeno non tutte) confidavano nell’istruzione e nella possibilità, attraverso  il ciclo scolastico e l’educazione civica,  di formare cittadini se non perfetti, migliori.  In realtà, in una società di massa,  il messaggio “scolastico” e civico  non può  che essere  semplificato, proprio per raggiungere tutti, come avviene per l’informazione politica.  E la mezza cultura, frammista alla labilità psicologica  delle folle emozionali,  può provocare più danni della totale incultura:  cosa oggi  sotto gli occhi di tutti,  o comunque di chiunque non abbia paura di osservare e giudicare la realtà senza paraocchi.   
Purtroppo, siamo messi male. Occorrerebbe senso di responsabilità. Dote che può essere di pochi, frutto di studi, educazione elitaria,  spirito di corpo. L’esatto contrario dell’ educazione democratica. Sicché, più il linguaggio si  semplifica, più le élites si involgariscono, credendo di cavarsela a buon mercato, più il popolo si convince di essere onnipotente, più diviene ghiotta preda di demagoghi altrettanto volgari.  E così  il cerchio si chiude. Altro che la separazione tra  élites  e popolo...
Come spezzarlo? Come uscirne?  Servirebbe una società democratica ma con un cuore aristocratico. Dove trovarla? Una parola.     

Carlo Gambescia