martedì 25 aprile 2017

Presidenziali francesi 2017
 Ogni nazione  ha il  piccolo borghese che si merita
 
Il famoso dipinto di  Eugène Delcroix,  "La libertà che guida il popolo" (La Liberté guidant le peuple), 1830.

Chissà,  e ci costa dirlo,   una rivoluzione vera, come quella francese,  avrebbe messo al riparo l’ Italia da personaggi come Mussolini e Grillo… Ecco quel  che  pensavo ieri a proposito dei risultati del primo turno delle presidenziali francesi.
Perché al di là di tutte le chiacchiere sulla fine della sinistra, della destra, del post-industriale, della post-globalizzazione, eccetera, in Francia  il dato di fondo è rappresentato dallo zoccolo duro, politico-sociale, di un cultura repubblicana diffusa, che diffida  del movimentismo controrivoluzionario, antitetico ai valori della rivoluzione francese  (Liberté, Egalité, Fraternité) e al principio fondamentale del capitalismo di  mercato, sociale o meno:  produrre per redistribuire.  
Gramsci, fervente ammiratore della Rivoluzione francese - pensatore  che qualche volta “ci prendeva” -   fu il primo a parlare del ciclico  sovversivismo delle classi borghesi.  Nel senso però di un periodico passo indietro, verso i valori gerarchici pre-rivoluzionari,  magari nascosti sotto la bandiera della modernità (si pensi al "modernismo reazionario" tra le due guerre mondiali). 
Gramsci però  restringeva meccanicamente, sul piano decisionale (del comando), il concetto di sovversivismo alle classi alto-borghesi, in realtà,  meno interessate al passato che al futuro e perciò più favorevoli al cambiamento sociale e alla modernità che al passo indietro. Un cammino del gambero, al quale invece sembra essere sempre stata  interessata quella piccola borghesia reazionaria,  predominante nella società di massa, fin dai suoi inizi novecenteschi (ruolo negativo individuato anche da Gramsci, ma ricondotto magicamente nell'alveo salvifico della pedagogia del populismo comunista).
Parliamo degli strati più bassi dei ceti medi, ignoranti o semi-istruiti (anche peggio),  affamati di status sociale, ma soprattutto fomentati dalla paura di   perdere il proprio (così "faticosamente" guadagnato):  una fascia di popolazione che ieri costituì  nerbo del  fascismi novecenteschi, oggi la prima linea del populismo.   E che in Francia, domenica,  ha dovuto però confrontarsi, come altre volte, con lo zoccolo duro repubblicano, interclassista, moderno che continua a  vedere nella Rivoluzione Francese e nel repubblicanesimo quei valori imprescindibili,  dal quale tutti i ceti, a cominciare da quella medi,  hanno qualcosa da guadagnare. E che quindi, anche questa volta potrebbe vincere.   Sotto questo aspetto, qualsiasi paragone, tra la modernità repubblicana di un De Gaulle e lo spirito controrivoluzionario della  Le Pen, è semplicemente improponibile.  
In Italia, purtroppo non è così: si continuano a rifiutare i valori della Rivoluzione francese e capitalistica: in sintesi si vuole redistribuire senza produrre, opponendo i valori, mai vissuti, della rivoluzione politica ai valori della rivoluzioni economica, sempre rifiutati.  Un Macron, in grado al tempo stesso di guardare al mondo, all’Europa e alla Francia, quindi in qualche misura capace di incorporare i valori patriottici e repubblicani di un De Gaulle, senza scivolare nel nazional-fascismo (o  nel nazional-populismo) della Le Pen, in Italia difficilmente potrebbe emergere e vincere, perché  non esiste, ripetiamo,  alcuno zoccolo duro  repubblicano-mercatista, né sul versante gollista, né su quello liberista. Né uguaglianza né merito, questa è l'Italia.
Quanto alla cosiddetto contrasto tra élite e popolo,  sollevato anche in Italia  da populisti  come Grillo, non è altro  che la  riproposizione  dell’archeologico contrasto di derivazione  controrivoluzionaria, un piccolo presepio,  tra il popolo  stretto intorno al benevolo potere del  parroco e del nobile locale e i ceti borghesi  dipinti come  privi di radici, avidi e senza dio.  Nulla di nuovo sotto il sole.  Contrasto oggi recepito e celebrato,  anche dalla sinistra radicale.  E qui, non va dimenticato, che Marx, rese scientifiche le critiche romantiche del pensiero controrivoluzionario alla società borghese, soprattutto all’economia di mercato.
Pertanto il problema, in Italia,  è rappresentato dal piccolo borghese, che in Francia è stato “repubblicanizzato” ed economicamente “modernizzato”, mentre da noi no.  Di qui, il suo ricorrente sovversivismo. Insomma, ogni nazione, alla fin fine, ha il piccolo borghese che si merita. Purtroppo.


Carlo Gambescia