La morte di Ernst Nolte
(1923-2016)
Nel 2001, pranzai qui a Roma, in un ristorante nei pressi della Facoltà di Sociologia, con Ernst Nolte. Non da solo ma con un gruppo ristretto di convegnisti, setto-otto persone, ricordo, tra gli altri, Paul Piccone, Günter Maschke, Jorge Eugenio Dotti, Alain de Benoist. Nolte era giunto a Roma, con la moglie, quale relatore di punta, in occasione di un convegno internazionale dedicato a Carl Schmitt. Svoltosi in un clima di assoluta tranquillità. Altro che le tinte fosche di cui leggo questa mattina a proposito di altri incontri italiani… Roma accolse lo storico tedesco, sorniona ma sorridente, sotto uno scintillante sole novembrino che illuminava il bel cielo terso di via Salaria.
Nolte, all'epoca ottantenne, fasciato in un loden, mi apparve, nonostante l'età un uomo ancora integro, dai modi eleganti, con tratti però di timidezza, volto affilato, se non diafano, magro, al limite dell'esilità, capelli radi e candidi. Ma dietro la sua apparente soavità professorale si doveva nascondere una grande tenacia, non comune. Altrimenti, mi chiesi, come avrebbe potuto resistere, così dignitosamente, a anni e anni di attacchi politici e personali?
Nolte, all'epoca ottantenne, fasciato in un loden, mi apparve, nonostante l'età un uomo ancora integro, dai modi eleganti, con tratti però di timidezza, volto affilato, se non diafano, magro, al limite dell'esilità, capelli radi e candidi. Ma dietro la sua apparente soavità professorale si doveva nascondere una grande tenacia, non comune. Altrimenti, mi chiesi, come avrebbe potuto resistere, così dignitosamente, a anni e anni di attacchi politici e personali?
Con lui parlai di Weber e della tragedia del nazionalismo tedesco di matrice conservatrice e liberale. Nolte, ribadì quasi tagliandomi con lo sguardo, le sue tesi, a mio avviso fondamentali, sul ruolo dell’antisemitismo, a sfondo razziale, come punto discriminante tra conservatori e nazionalsocialisti (in termini di etica della politica) e sull’altrettanto importante declino del linguaggio politico, come retorica del male assoluto (ovviamente incarnato dal rispettivo avversario politico), declino che negli anni di Weimar distrusse qualsiasi tentativo di normalizzare il dibattito pubblico.
Oggi, egli aggiunse, fissandomi, stiamo ricadendo nello stesso errore… Probabilmente Nolte si riferiva (anche) al trattamento che stava ricevendo in Germania, dove in nome di un antifascismo storiografico, isterico e illiberale, lo si crocifiggeva come un nemico della democrazia.
Assurdità, e per capirlo basterebbe leggere i suoi libri, ricchi e documentati, dove il totalitarismo, nazionalsocialista e comunista, viene ricondotto a un’unica matrice di tipo perfettista: quella di liberare il mondo, per renderlo perfetto e puro, da borghesi ( il comunismo) ed ebrei (il nazionalsocialismo, nonché il fascismo, per mimesi, dal 1938). Una lotta di “liberazione” dal “male assoluto” che avrebbe individuato nella figura dell’ ebreo borghese e capitalista il ruolo (storico) di trait d’union fra i due principali totalitarismi del XX secolo. Ecco, ridotto all’osso, il suo approccio “trans-storico”, imperniato su categorie interpretative e concettuali che consentono di analizzare, trasversalmente, fenomeni storici in apparenza diversi.
Ci lasciammo, con una vigorosa stretta di mano. Di quel genere che non ci si aspetta da un uomo all’apparenza esile. Che invece confermò la sua tempra. Dopo di che, giratosi con la secchezza di un ufficiale della Wehrmacht (altra riprova, pensai), s'incamminò verso Piazza Fiume. Lo accompagnai con lo sguardo mentre si allontanava, con la moglie al fianco, sorridente e devotissima, il loden che si gonfiava sotto i fendenti dell’improvvisa tramontana romana che, ignara della gravitas dello storico, infieriva, spettinandolo. Lo vidi farsi sempre più piccolo fino a scomparire, inghiottito dal traffico, dai rumori di una Roma, mite per alcuni, indolente per altri, che comunque - pensai - si era lasciata alle spalle, e ormai da un pezzo, la guerra, i rastrellamenti, le paure.
Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui. Che riposi in pace.
Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui. Che riposi in pace.
Carlo Gambescia