giovedì 22 gennaio 2015

Il libro della settimana: Mauro Pala (a cura di), Narrazioni egemoniche. Gramsci, letteratura e società civile, il Mulino, Bologna 2014, pp. 288,  euro 23,00.  

https://www.mulino.it/isbn/9788815251275#


Durante la lettura di Narrazioni egemoniche (il Mulino), studio curato da Mauro Pala, docente di Letterature Comparate presso l’Università di Cagliari,  il nostro pensiero è  andato a certa estrema destra italiana,  che  sulla scia di una intrigante intuizione di Alain de Benoist, vecchia però di quarant’anni, tuttora si dichiara fautrice del “gramscismo di  destra”, immaginando chissà quali progetti egemonici  da proiettare sulla “società civile”, in nome di un’ideologia mussoliniana riveduta e corretta alla luce dell’ecologismo e  dell’anticapitalismo più volgari, magari in compagnia temporanea -  in attesa della resa finale dei conti -  dell’ attivismo più grossolano di estrema sinistra. In Francia, sicuramente,  si parlerebbe di  commedia all’italiana…
Diciamo subito  che Gramsci, rispetto a questi rivoluzionari da operetta,  resta un rivoluzionario vero.  E un pensatore politico notevole, ovviamente  all’interno della tradizione marxista. Il che ne costituisce il grande limite cognitivo. Dal momento che gli aspetti sociologici della sua opera - quelli ad esempio legati alla cosiddetta  conquista  culturale della società civile -  restano di una banalità sconcertante. Soprattutto per chi abbia formazione sociologica e sappia come certi meccanismi culturali non fossero per nulla sconosciuti a contemporanei di Gramsci come Pareto, Mosca, Ferrero, Sorokin, Mannheim (solo per fare qualche nome tra i più importanti). Cosicché, per farla breve,  possono essere distinte due posizioni critiche: quella di coloro che, all’estrema destra e all’estrema sinistra,  insistono nella “scoperta dell’acqua calda”, ossia  continuano a  scorgere nella teoria gramsciana idee in realtà scoperte, indagate e  approfondite molto meglio dal pensiero sociologico di ieri come di oggi; e quella di coloro che continuano a pestare l’acqua nel mortaio della filologia marxista non tralasciando di far trasparire, magari con accademica nonchalance, aspirazioni pseudomillenariste. A questa seconda categoria appartiene il libro curato da Pala. Il che significa una sola cosa:  per  passare in rassegna i singoli contributi, si dovrebbe condividere la prospettiva costruttivista e immanentista che caratterizza il background degli autori, tutti orfani di Marx (e di Gramsci, of course) . Infatti - una volta grattata la vernice di un’apparente neutralità  accademica -  si scopre che  per costoro il nemico principale rimane tutto ciò che si oppone alle sorti progressive dell’umanità. Quindi il libro dal punto di vista dell’analisi sociologica  non è recensibile perché o vi si  dicono  banalità (come a proposito dell’importanza degli aspetti cognitivi dell’agire sociale) o vi  si favoleggia - neppure tanto fra le righe -  sulla nascita del mondo nuovo, grazie alla riscoperta del vero Gramsci, ovviamente quello “immaginario”  degli autori: un Gramsci riletto alla luce di un umanesimo marxista postmoderno. Tutto qui.
Naturalmente, lasciamo agli estimatori del genere (non molti per la verità) i preziosismi della migliore ( o peggiore, dipende dal punto di vista) scolastica marxista applicata alla letteratura politica e non: da Rushdie a Williams. Per non parlare della solita zuppa mista sulla storia d’Italia, ora in salsa terzomondista (pardon, post-postcoloniale…), vista come orrida mescolanza di trasformismi politici e  rivoluzioni (giacobine) mancate. Una visione, come è noto,  “smontata” in anteprima da Cuoco,  poi da Croce, Maturi, Romeo, solo per fare alcuni nomi importanti . Eppure per Pala & Co.,  sognanti Alici  nel Paese delle Meraviglie,  l’ora del tè storiografico, sembra essere passata invano …  
Chissà se nel 1922 o nel 1948  avessero invece vinto i comunisti come sarebbe finita: avrebbero costruito l’Uomo Nuovo, come nella Russa Sovietica. Salvo poi chiedere scusa nel 1989… E ritirarsi in buon ordine nel 1991, lasciando solo macerie morali, sociali e politiche. Visti i risultati storici, forse sarebbe il caso di dimenticare (anche)  Gramsci… Non che il fascismo sia stato migliore. Ma forse, a livello di storia ipotetica ( postulando paralleli con il franchismo), sarebbe comunque durato  meno…
Un’ultima considerazione.  Il pensiero gramsciano dal punto di vista della filosofia della trascendenza  resta quanto di più ostile e contrario alla visione cristiana. Anche se  Gramsci, amava sorelianamente ( e astutamente) accostare cristianesimo e marxismo, blandendo, senza nel fondo cedere nulla.  Di qui, talvolta equivoci, spesso storici, anche all’interno di certo  mondo cattolico, laicale e non,  troppo ingenuo e pauperista.  A scopo profilattico -  termine  rozzo ma efficace -    citiamo da Gramsci stesso. Si tratta di un passo  in argomento,  a dir poco esemplare,  che piacerebbe a Machiavelli:

«Il partito comunista è, nell’ attuale periodo, la sola istituzione che possa seriamente raffrontarsi  alle comunità religiose del cristianesimo; nei limiti in cui il Partito esiste già, su scala internazionale, può tentarsi un paragone e stabilirsi un ordini di giudizi tra i militanti per la Città del Dio e i militanti per la Città dell’uomo; il comunista non è certo inferiore al cristiano della catacombe. Anzi! Il fine ineffabile che il cristianesimo poneva ai suoi campioni è, per il suo mistero suggestivo, una giustificazione piena dell’eroismo, della sete di martirio, della santità; non è necessario entrino in gioco le grandi forze umane del carattere e della volontà per suscitare  lo spirito di sacrificio  di chi crede al premio celeste e alla eterna beatitudine. L’operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto  ore  per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell’uomo, più grande dello schiavo e dell’artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera. Allo stesso modo Rosa Luxemburg e  Carlo Liebknecht son più grandi dei più grandi santi di  Cristo. Appunto perché il fine della loro milizia è concreto, umano, limitato, perciò i lottatori  della classe operaia sono più grandi dei lottatori di Dio: le forze morali che sostengono la loro volontà sono tanto più smisurate quanto più è definito il fine proposto alla volontà.

C’è da aggiungere altro? Cattolico avvisato, mezzo salvato…

Carlo Gambescia

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(*) A. Gramsci, Il partito comunista, in “Ordine nuovo”, 4/9/1920, ora in Idem,  L’ Ordine nuovo, Einaudi, Torino 1954, pp. 156-157.

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