giovedì 15 gennaio 2015

Il libro della settimana: Albert Schweitzer, Filosofia della civiltà, Fazi Editore, 2014, pp. 384, Euro  19,00. 

http://www.fazieditore.it/Libro.aspx?id=1406


Su Albert Schweitzer  non abbiamo  mai  digerito  l'  infelice giudizio di Ernesto De Martino.  Il quale retrocesse, una figura prestigiosa come quella del  medico,  teologo, musicologo e filosofo alsaziano, al rango inferiore di  esempio  del  “fervore missionario”,  frutto  “del  senso di colpa  e del desiderio di espiazione  del colonialismo borghese” (1);  il suo era  “un  darsi alla filantropia  e alla pedagogia spicciola”... (2).  Pagine dettate,  probabilmente  dall’ odiosa ideologia della "guerra civile europea".  Non  è  però  di De Martino che desideriamo occuparci,  bensì dell’ottima idea dell’Editore Fazi di  proporre in versione integrale la  Kulturphilophie (Filosofia della civiltà), pubblicata nel 1923 in due volumi  dal Premio Nobel per la Pace:  un' opera meditata e scritta con l'animus  del teologo-filosofo, sotto il duro  peso di  incalzanti  eventi formativi e storici: dal  primo   soggiorno africano al  grande conflitto mondiale.   
Del resto il  primo volume  uscito in Italia  nel 1963 per i tipi di Comunità  con il titolo di Agonia della  civiltà, un centinaio di pagine tradotte da Mario Tassoni, non era più reperibile da anni. Perciò doppiamente meritoria la scelta editoriale di farlo uscire nuovamente insieme al secondo volume e   nell'  agile  traduzione dal tedesco  di Alberto Guglielmi  Manzoni.  E tra l’altro, cosa non secondaria, nella  rigogliosa  - quale altro  aggettivo più giusto? -   collana “Campo dei fiori”,  dove il lettore potrà trovare  ottimi  libri di interesse, come dire, contiguo:  quelli di  Bainton su Serveto, di Bielawski su Panikkar, di Levergeois su Giordano Bruno di  Raguin sul Tao, di  Jaspers su Socrate, Buddha, Confucio, Gesù. Ancora complimenti.

http://www.raistoria.rai.it/articoli/albert-schweitzer-il-medico-dei-poveri/10797/default.aspx

La prima parte, Caduta e ricostruzione della civiltà (pp. 9-80, I. Verfall und Wiederaufbau der Kultur) racchiude una critica assai tagliente dei  nodi utilitaristici della civiltà occidentale venuti al pettine tra Otto e Novecento. La crisi post-positivista  nasce dal rifiuto di un approccio etico, come autoconsapevolezza ragionata della necessità di  rispettare l’Altro: quanto più si vive per stessi, tanto più si ignora  il mondo che ci circonda. Un universo composito  che non è proprietà esclusiva di  uomini e donne  bensì  di  tutti gli esseri viventi. Di qui,  detto per inciso, quel rispetto per  la  natura e per gli animali (si vedano le ispirate pagine sulla vivisezione) che contrassegna il pensiero di Schweitzer, conferendo alla sua opera un  tocco di  geniale attualità.  Quanto più la filosofia, la tecnica  e la morale (quest'ultima barbaramente ridotta a pura nomenclatura  comportamentale), perdono tale consapevolezza,  tanto più  la civiltà, che è fenomeno intimamente etico  (prima che culturale, politico, economico, estetico, eccetera), si corrompe, rischiando l'autodistruzione.  Come osserva Schweitzer,  l’etica  quale  progressiva conoscenza vivente di Noi stessi e dell’Altro ha natura circolare, virtuosamente circolare: più si amplia per autocombustione interiore,  elevandosi a concezione del mondo,  più  alimenta  un processo di  conoscenza morale infinita, capace di andare oltre l’umano.   Su questo punto, come  nota un maestro del pensiero sociologico (3), “Schweitzer concorda con Spengler, Schubart, Koneczny, Berdjaev, e in una certa misura, con Northrop, nel sottolineare  il   primato della conoscenza vivente e intuitiva dell’Essere infinito nelle sue infinite manifestazioni” rispetto ad altre forme di conoscenza mediate o  esterne come  il sapere scientifico.
La seconda parte, Civiltà ed etica  (pp. 81-380,  Kultur und Ethik),  propone  invece una  stringente ricostruzione  del pensiero filosofico e morale dell'Occidente. In relazione a che cosa? Qual è la leva? L'etica, ossia la condicio sine qua non per lo sviluppo di qualsiasi civiltà.  Non un etica qualsiasi, come abbiamo già visto,  ma  una  concezione forte,  capace di   proclamare  e realizzare   il rispetto per la vita. Secondo Schweitzer,  ogni volta che nel passato si è avuta una  renaissance etico-morale ( i due termini nel suo discorso spesso sono intercambiabili), anche la civiltà è rifiorita e viceversa. Purtroppo,  non tutte le forme di pensiero hanno  avvertito l’urgenza della questione.  In Occidente solo la filosofia stoica, così amata dagli antichi e la  razionalista  del  secolo XVIII hanno recepito l'importanza del momento etico, favorendo  così la piena fioritura delle civiltà romana e occidentale.  Sotto questo aspetto, Schweitzer è una specie anti-Spengler:  al determinismo parabiologico   a sfondo particolaristico (se non etnico)  del morfologo tedesco oppone il suo anti-determinismo etico a carattere universalistico.  Del resto,  per restare nel  sassoso  giardino  dei "maledetti",  anche l' insistenza di Schweitzer  - che rappresenta il trait d'union tra le due parti -  su una vita-etica  vista come più-che-vita, perché si apre continuamente all'altro senza mai cercare di fagocitarlo (un contenuto che non trova mai la sua forma definitiva, per dirla con Simmel vs Schopenhauer), ne fa - azzardiamo l' interpretazione,  forse osé - un creativo Nietzsche cristiano, non  al di là del bene e del male,  bensì  esclusivamente dalla parte del bene...  Come prova, a differenza dello Zarathustra tedesco,  la sua esistenza spesa in funzione degli altri e mai di se stesso. 
Quali le sue conclusioni?  Ascoltiamolo:

“ Nel rispetto per la vita , invece, la civiltà riconosce di non aver nulla a che fare  con una evoluzione del mondo, ma di  avere  il suo significato in se stessa. L’essenza della civiltà consiste nel fatto che, nella nostra volontà  di vita, sia personale  che collettiva, si afferma sempre più l’influenza e l’importanza  del rispetto per la vita. La civiltà, quindi, non è l’immagine di una evoluzione del mondo, ma un’esperienza della volontà di vita che è in noi stessi, che non possiamo né dobbiamo  necessariamente mettere in relazione con gli avvenimenti del mondo  che conosciamo dall’esterno. Il compimento della nostra volontà di vita basta già di per sé […] Questo e nient’altro  è civiltà: il fatto  che, in conseguenza di tutti i progressi che l’essere umano e l’umanità possono realizzare, ci sia nel mondo una volontà di vita che abbia il massimo rispetto per la vita di tutti gli essere viventi che giungono nel suo raggio d’azione e che  cerchi il perfezionamento  nella spiritualità  del rispetto della vita” (pp. 357-358).


Una vita che ami la vita, in tutte le sue forme, rispettandole:  una vita- più-che-vita,  ecco l’essenza della civiltà per Albert Schweitzer. Questa la sua lezione. Altro che il singhiozzo dell'uomo bianco, ingiustamente attribuitogli da Ernesto De Martino...
Certo, Schweitzer ragiona in termini di filosofia  del "dover essere":  una filosofia sempre a rischio, perché costretta  a  subire  i  brutali contraccolpi delle  dure necessità dell’ "essere" delle "cose" politiche  ed economiche. Un impolitico? Sicuramente. Ma di grandissima classe.      
Carlo Gambescia  

(1) E. De Martino,  Furore Simbolo Valore, Feltrinelli 2002,  pp. 107-108.
(2) E. De Martino, La Fine del mondo, Einaudi 2002, p. 473, par. 264.
(3) Pitirim  A. Sorokin,  Social Philosophies of  an Age of Crisis, The Beacon Press 1951, p. 182.

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