venerdì 29 novembre 2013

 

La decadenza di Berlusconi
Nulla di nuovo 
sotto il sole





Il Cavaliere è “finito”  o no? Dalla lettura degli editoriali apparsi  ieri sui principali quotidiani italiani sembra prevalere, pur con toni diversi (anche accesi nei titoli), un atteggiamento di cautela:  dai più accaniti  nemici, armati di machete (Il Fatto, “l’Unità” , “la Repubblica” ) ai nemici in guanti gialli  ( “Corriere della Sera”, “La Stampa”, "Messaggero", "Avvenire")  fino ai descamisados  berlusconiani (“il Giornale”, “Libero”,   Il Foglio, “Il Tempo”).
Ovviamente,  semplifichiamo...  Però l’impressione è che  i   timori  dei  nemici ( di una improvvisa risurrezione) e le  paure degli amici ( dell’eterno riposo anticipato) abbiano contribuito, mescolandosi insieme,   a  reprimere  qualsiasi   grido di gioia o rabbia per la débâcle  del  Cavaliere.  Il che  spiega pure le piazze viola e azzurre, tutto sommato sparute e silenti, come del resto  la compostezza, con qualche eccezione,  dei senatori in Aula.
Diciamo quindi  che la cautela è d’obbligo. Un grande direttore del passato, Mario Missiroli, se redivivo,  parlerebbe di “vigilia dell’incertezza” (attenzione,  non " nell' " ma "dell' ") ... 
Berlusconi, nonostante l'età,  non pare disposto  alla  resa, neppure davanti, come si vocifera, a un  mandato di arresto. Tuttavia, la congiuntura politica non pare favorevole  al Cavaliere: le elezioni politiche a breve,  in cui spera,  non sono  gradite al Quirinale. Almeno fino a quando non sarà varata una nuova legge elettorale, sulla quale per ora non c'è alcun accordo tra destra e sinistra.
Probabilmente  la decadenza di Berlusconi  prolunga ma non  rende più  facile il cammino del Governo. Napolitano vuole una verifica parlamentare per favorire la nascita di un nuova maggioranza senza Forza Italia.  Ma, quanto potrà sopravvivere un Letta bis aggrappato al Quirinale e al  pugno di voti, politicamente costosi, degli alfaniani? Senza dimenticare  la  scelte, di sicuro non simpatetiche,  del  segretario Pd prossimo venturo: come noto,  sia Renzi che Cuperlo, sebbene  per ragioni diverse,  non  vedono di buon occhio l'ascesa di Letta  e quindi la sopravvivenza del  Governo.  
Siamo in alto mare. Perciò si andrà avanti alla giornata, sperando nei venti favorevoli, non così vicini, della ripresa economica.  Nulla di nuovo sotto il sole rispetto alla routine post 1945.  Purtroppo, a differenza  di quel che scrive  un  editorialista di destra innamorato oltre che di se stesso  dei barocchismi storici  (per stupire "colleghi" più ignoranti di lui),   l'Italia di oggi non ha nulla a che spartire con la  crisi della "Roma tardorepubblicana" . Quella discendeva da un' imponente  processo plurisecolare  di crescita politica e sociale,  innescato dalle Guerre puniche, questa, invece,  deriva  da una pura e semplice campagna di delegittimazione politica, scatenata da alcuni  magistrati politicamente ispirati,  e meno che ventennale. E Sallustio, che egli  cita senza avere  letto,  se non su Wikipedia, ne  aveva perfettamente intuito (Ferrabino docet ),  anche per  condizione personale,   l'innovativo significato storico.         

Carlo Gambescia              

***


A proposito di "delegittimazione" politica... 
di Teodoro Klitsche de la Grange



Nell’overdose di dibattiti sulla decadenza di Berlusconi, quasi tutti incentrati, specie da sinistra – ma non solo – sulla legalità o meno della vicenda, n’è risultato quasi del tutto assente l’aspetto politico principale. Che non è quello, caro ai causidici di mano sinistra, della legalità, ma delle conseguenze politiche di una tale decisione. Con le quali   si deve intendere,   alzando il tiro della  analisi,  quali conseguenze politico-istituzionali – anche a medio termine – può avere una decisione del genere.
Se fosse vero che il diritto ha sostituito la politica, tale domanda non avrebbe senso: ma dato che non ci risulta che questa sostituzione sia avvenuta, malgrado gli auspici di qualche costituzionalista da rotocalco, è lecito porsela.
È successo tante volte nella storia – anzi è la regola dei cambiamenti di regime e/o costituzione – che a un potere legale subentri un potere che legale non è; di guisa che, per così dire, l’illegalità è il vero motore del cambiamento.
Maurice Hauriou e Santi Romano (il secondo ancor più del primo) si erano posti il problema – solo per citare i giuristi; ma è chiaro che questo è implicito nella teoria della successione delle forme di governo, da Aristotele a Machiavelli, nell’ascesa e decadenza delle èlites politiche di Pareto e Mosca e risparmiamo al lettore tutti coloro (tanti) che se ne sono occupati. Per cui se è vero che un governo (un atto, una condotta o quant’altro) è legale se conforme alle norme sostanziali e procedurali stabilite, ma non è detto che i “sudditi” (e anche altri) accettino tale legalità e che debbano consentire a un potere perché legale.
Tanto per ricordare un esempio – tra quelli della storia moderna, oltretutto ampiamente “trattato”, il maresciallo Pétan fu legalmente eletto Presidente della Repubblica francese nel giugno 1940, e forse all’epoca aveva pure il consenso della maggioranza dei cittadini. De Gaulle oppose subito che egli e i suoi francesi liberi erano il pays réel, cioè la Francia reale, Pétain e i “vichissois” quella legale. Ma dato che, in meno di tre anni il maresciallo perse il consenso della maggioranza, e l’unico esercito francese combattente realmente era quello del generale de Gaulle, il presidente legale della Francia si ridusse a comandare in un castello tedesco, prima di subire un (brutto) processo in Francia.
Ora se l’Italia, come scritto nella Costituzione, è una democrazia  e il popolo è sovrano, che qualcuno (magistratura o senato che sia) decida di escludere dal  Parlamento un senatore regolarmente eletto, e che ha il consenso di circa un terzo dei votanti, significa in primo luogo, che quel Parlamento perde gran parte della sua rappresentatività, perché un Parlamento privo del capo dell’opposizione è un organo che fa della rappresentanza (meglio della rappresentatività) una burla: come quelli che, mantenuti dalle varie dittature del secolo scorso, ma rigidamente monopartitici, avevano soprattutto la funzione di “plaudire al Duce” (o al Führer o al Gensek) e non di rappresentare il pluralismo delle opinioni e degli interessi presenti nel paese, come nelle democrazie liberali; ciò non toglie che fossero “legali”.
Tuttavia erano così impossibilitati a costruire un vero strumento d’integrazione, e più precisamente di quella che un altro acuto giurista come Smend chiamava integrazione funzionale, la quale si realizza attraverso procedure che consentono la sintesi sociale e che “mirano a rendere comune un qualsiasi contenuto  spirituale o a rafforzare l’esperienza vissuta della comunanza”.
Per cui la prima e più importante conseguenza politica non è, come pensano i causidici (tutti contenti) - di aver “applicato la legge” - ma più semplicemente che è stato, da e con quella votazione, delegittimato e depotenziato il Parlamento; si è allargato il cuneo, già notevole, tra legalità e legittimità. Si comincia così e si finisce magari con la constatazione della (totale) inutilità di poteri legali non sostenuti da consenso legittimante.
E come diceva Talleyrand, politicamente questo “è peggio di un crimine, è un errore”.
Errore che purtroppo stiamo pagando e pagheremo tutti e non solo chi l’ha commesso.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (Liberilibri, in stampa)

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