giovedì 21 novembre 2013


I libri della settimana: Ayn Rand, La virtù dell’egoismo, Liberilibri  2003 , a cura di Nicola Iannello, pp. 150, euro 14,46;  Id., Antifona,  Introduzione di Gianfranco de Turris, Liberilibri  2003, euro 13,00; Id.,La  notte del 16 gennaio, Liberilibri  2005, pp. 144, Euro 13,00. 




Cosa c’è di meglio del parlar chiaro? Anzi del “filosoficamente” parlar chiaro?  Nulla.  Si può apprezzare un autore per le idee.  Ma quando le idee, oltre ad essere interessanti,   sono esposte  con un  colpo di spada, cosa chiedere di meglio? Parliamo di  Ayn Rand, al secolo Alissa Rosenbaum, nata a Pietroburgo nel 1905,  morta a New York  nel 1982:  laureata in storia, guida turistica,  aspirante costruttrice di grattacieli e abile ricostruttrice di vite altrui, quindi scrittrice, commediografa,  sceneggiatrice,  pensatrice, costretta a   passare, avventurosamente,  attraverso il cerchio di  fuoco bolscevico,  per  approdare negli Stati Uniti, dove trascorrerà  un' esistenza  ricca di eventi, scoperte, creazioni, conflitti e amori.  Per chiunque desideri saperne di più rinviamo al sito dell'omonimo istituto a lei dedicato: http://www.aynrand.org/site/PageServer?pagename=index .
Nell’opera, in primis letteraria (mai dimenticarlo), della Rand,  pensiamo a  romanzi importanti che hanno avuto versioni cinematografiche come Noi vivi e La fonte mervigliosa  o che meriterebbero come La rivolta di Atlante,  emergono  con prepotenza  due universi, non contrapposti ma ben temperati:  individuo e  vita;  l’uno rinforza l’altra,  per poi   galoppare  insieme  con lo stesso vigore della wagneriana "Cavalcata delle Valchirie".     






C’è una pagina bellissima di  Noi vivi,   dove  la Rand affida il suo credo alle parole di Andrei Tagarov, giovane funzionario della polizia segreta comunista in via di  doloroso ( e presto tragico) ravvedimento. Ascoltiamole, perché, in poche chiare battute, è   racchiusa  la sua  filosofia,  poi  affermatasi  come oggettivismo etico:

«Camerati! Fratelli!  Ascoltatemi. Ascoltate voi, guerrieri consacrati di una nuova vita! Siete sicuri di ciò che state facendo? Nessuno può dire  agli uomini lo scopo per cui devono vivere. Nessuno può assumersi tale diritto se non vuol trovarsi davanti un mostro, un orrore che occhio umano non può sopportare. Perché vedete, ci sono negli uomini, nei migliori di noi  che sono al di sopra di qualunque Stato, di qualunque collettività, cose troppo preziose, troppo sacre, cose che nessuna mano  estranea deve osar toccare. Guardate in voi stessi, sinceramente, senza paura; guardatelo e non ditelo a me, non ditelo a nessuno, ditelo a voi stessi: perché vivete? Non vivete forse per voi stessi e solo per voi stessi? Per una verità più alta che è la vostra verità? Chiamatela  la vostra ragione di vita, il vostro amore la vostra causa… non è essa sempre la 
vostra  causa?  Date la vostra vita, morire per il vostro ideale, non è forse sempre il vostro ideale? Ogni uomo onesto vive per se stesso. Quelli che non vivono così non vivono affatto. Non potete mutarlo,  perché così è nato l’uomo: solo, completo, fine a se stesso. Non potete mutarlo più di quanto non possiate far nascere gli uomini con un occhio solo, invece di due, e con tre gambe,  due cuori […]. Nessuna volontà del partito potrà mai uccidere negli uomini quella cosa che sa dire “Io”. [Perciò] che cosa stiamo facendo? Vogliamo sfamare l’umanità affamata per farla vivere? O vogliamo strangolare la sua vita per sfamarla?» ( A. Rand, Noi vivi, Baldini & Castoldi, Milano,  1940, IX edizione,  pp. 414-415, i corsivi sono nel testo).





Ecco il punto, di regola,  dimenticato dai collettivisti:  solo il singolo  può sapere quale sia il suo bene, dal momento che ogni uomo  resta  l' unico  artefice del proprio destino. Si dirà, banalità individualiste... In realtà, ammesso e non concesso che  lo siano,   sono parole  talmente banali   al punto di  essere dimenticate: oggi, purtroppo,  si preferisce   prestare ascolto a chiunque offra scuse "collettive" belle e pronte (la società,  i "ricchi", i "militari", gli "speculatori" eccetera)  per giustificare o mascherare vergognosi  fallimenti individuali. Viviamo in una società di individualisti assistiti:  si aspira a una libertà senza rischi  e responsabilità soggettive; quando si vince il merito è dell'individuo, quando si perde la colpa è sempre degli altri e in particolare dello stato "latitante", of course. Insomma,  l'individualista che cerca protezione vuole privatizzare i profitti e socializzare le perdite... 
Ma torniamo alla Rand. Il resto della sua  opera, così  fieramente avversa a qualsiasi forma di individualismo assistito,  è una ricca, appassionata, enorme e  dotta chiosa, all’accorato discorso di Taganov.  L’uomo vuole vivere, affermando la propria individualità, e la vita, rettamente intesa, quale  rispetto dei contratti e della parola data,  non può che essere creativa affermazione del proprio Io, anche a costo di un  duro ma leale scontro con gli avversari  in difesa delle proprie idee. Pertanto l’egoismo  è un vivere per se stessi,  senza nulla togliere agli altri in  termini di vitalità, rispetto e onore,  come  ben si mostra  ne La virtù dell’egoismo (Liberilibri):
 

«Il principio sociale basilare  dell’etica oggettivista è che, proprio come la vita è un fine in sé, così ogni essere umano vivente è un fine in sé, non il mezzo per i fini o il benessere degli altri, e quindi, che l’uomo deve vivere il proprio interesse, senza sacrificare se stesso agli altri né sacrificando gli altri a se stesso. Vivere per il proprio interesse significa che il raggiungimento della propria felicità  è il più alto scopo morale dell’uomo» (A. Rand, La virtù dell’egoismo, cit., p. 29. il corsivo è nel testo).



Il nemico principale della Rand, piaccia o meno, è il "noi". Si legge  in Antifona(Liberilibri), dove sono descritti, in anticipo su Orwell, gli infami meccanismi psicologici della società totalitaria, basati, per l'appunto,  sul "noi":

«Al principio l’uomo fu reso schiavo dagli dèi: ma spezzò le loro catene. Poi fu reso schiavo dalla sua nascita, dalla sua stirpe, dalla sua razza. Ma spezzò le loro catene. Egli dichiarò a tutti i suoi fratelli che un uomo ha dei diritti che né dio né  re né altri  uomini possono portargli via […]. Ed egli rimase sulla soglia della libertà per la quale era stato  versato il sangue dei scoli che lo avevano preceduto. Ma poi cedette tutto ciò che aveva  conquistato, e cadde  più in basso del suo inizio selvaggio. Cosa fece accadere ciò? Quale disastro tolse agli uomini la ragione? Quale sferza li frustò sino a farli cadere in ginocchio in uno stato di vergogna e sottomissione? L’adorazione  della parola “Noi” (A. Rand, Antifona,cit., p. 84).

E qui torna a proposito il  dialogo tra Kira Argounova (Ayn Rand) e Victor Dunaev,  giovane e abile  astro nascente della  società sovietica,  tratto da Noi vivi:

« - E verso chi avrei dei doveri Victor “[è Kira a parlare, 
ndr] – Verso la società. – E che cos’è la società? – Se me lo permetti, Kira,  ti dirò che questa è una domanda infantile. – Ma - disse Kira, con dolci occhi spalancati -  non capisco verso chi  debba avere dei doveri. Verso l’inquilina della porta accanto? O vero il miliziano all’angolo? O verso il commesso della cooperativa? O verso il vecchio che ho visto  nella lunga fila, il terzo dalla porta, con un paniere usato ed un cappello da donna? – La società Kira, è un complesso meraviglioso. - Se scrivi [rispose Kira, ndr] un’intera   riga di zeri, è sempre… niente.» ( A. Rand, Noi vivi, cit., p. 34)

La società come  riga  di  zeri...  spiega l'inevitabile conflitto  tra  convenzioni  sociali  e creatività  individuale, contrasto ben  tratteggiato nel dramma teatrale La notte del 16 gennaio (Liberilibri), brillante  antesignano dei legal thriller di oggi,  tra l’altro tuttora  rappresentato e con successo ( http://www.youtube.com/watch?v=xrxmCJlrjQ8  ),  dove intorno al  processo per l' omicidio di  un uomo d'affari, si scontrano, come osserva la Rand

« due modi di affrontare l’esistenza: l’appassionata auto-affermazione, la fiducia in se stessi, l’ambizione, l’audacia, l’indipendenza – contro la convenzionalità, il servilismo, l’invidia, l’odio, la sete per il potere» (A. Rand, La notte del 16 gennaio, cit., p. 13).





Insomma, la Rand   celebra l'individuo  a colpi di sciabola.   Il che spiega perché  nella sua  opera  alcuni hanno ravvisato  echi  nietzschiani (dalla pensatrice, come pare,  prima ammessi poi negati)  e addirittura evoliani.   Su quest'ultimo aspetto  si veda la brillante   Introduzione  di Gianfranco De Turris, dove sono evidenziate alcune fondamentali distinzioni tra le  varie forme di letteratura utopica e antiutopica.  Tuttavia, come del resto si  rileva,   tra l'antiutopia  individualista della Rand e  un «fascismo di destra, anticollettivista, antisocialista, individualista, elitario, aristocratico»  (G. de Turris, Introduzione a Antifona, cit., pp. XIX-XXXI),  si frappone  inevitabilmente la scelta  procapitalista  della pensatrice, agli antipodi di quella anticapitalista,  ipotizzata  dalle camicie nere italiane.
Un problema non da poco:  anche perché  un  fascismo senza   "noi"  non sarebbe più tale, come d'altronde il capitalismo senza alcun  "Io".  E la Rand proprio  su  questa differenza  ha edificato la sua filosofia, anzi, il suo grido di battaglia:  un appello che merita di essere ascoltato e apprezzato o comunque  letto e discusso con la più grande attenzione .           

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