giovedì 14 novembre 2013


Il libro della settimana: Giorgio Galli, L’impero antimoderno. La  crisi statunitense da Clinton a Obama, Bietti 2013, pp. 112, Euro 14,00.


http://www.edizionibietti.it/Item.asp?Tipo=6&ProdId=72


L’opera di  Giorgio Galli  piacerebbe di sicuro, se fosse ancora tra noi,  a Vilfredo  Pareto. Perché?  Per la semplice ragione che i libri di Galli sono pieni zeppi di preziosi riferimenti sul ruolo delle  azioni non logiche degli uomini:   una sfera sociologica  freddamente dissezionata  dal "Solitario di Céligny".  E non ci riferiamo soltanto  ai  bellissimi testi del politologo e storico milanese  sui  rapporti tra politica ed esoterismo.  Ma  al suo approccio complessivo, altrettanto  chirurgico,  che tiene in debito conto   l'  uso ideologico delle passioni umane: consapevolezza euristica già evidente nel giustamente  famoso studio sul “bipartitismo imperfetto".  
Parliamo, per farla breve,  di un  "metodo"  che si  impone di   trovare   il bandolo della matassa sociologica: quell'imbroglio rappresentato dagli effetti perversi  delle azioni sociali, anche le più logiche e perfino nobili, quando costrette  a valicare l’invalicabile:  la montuosa e sconosciuta  terra di mezzo della  hegeliana eterogenesi dei fini.  Si pensi ad esempio alla tragica  parabola costruttivista del comunismo, dottrina  razionalmente costruita in biblioteca. E per il bene dell'umanità...    
Ma torniamo a Galli.  Si prenda come esempio la sua ultima fatica: L’impero antimoderno. La crisi della modernità statunitense da Clinton a Obama (Bietti).  Qui  l’approccio, per così dire,  paretiano-hegeliano è esteso a  tre valori tipicamente americani: l’individualismo, la democrazia politica e la libertà economica. Il primo valore rischia di trasformarsi in individualismo armato, il secondo in vuota ritualità, il terzo nel predominio dei grandi monopoli privati.  Il tutto sembra trovare, sempre a detta di Galli, il  denominatore comune  in una democrazia imperiale  che, dalla presidenza Clinton,   vive sempre  più male la novecentesca contraddizione, causata (anche) dal declino europeo,  di dover  “esportare” la democrazia  a suon di bombe: una modernità politica  antimoderna, perché basata non sul libero e  ragionato convincimento ma  sulla pura forza  incarnata dalle portaerei.
Esiste una via d’uscita all’impero delle bombe controvoglia?   Galli,  che si definisce un «illuminista aggiornato»,  ritiene innanzitutto, prendendola  giustamente da lontano,  che « forse l’errore maggiore  è consistito  nel passare dal tentativo di prevedere il corso degli eventi (della storia) alla presunzione di poterli forzare, un miraggio che va da Robespierre a Lenin». Insomma,  saremmo davanti  alla  crisi  del   costruttivismo. Argomento sul quale  varrebbe la pena di leggere anche  le illuminanti  pagine del grandissimo Hayek di  Legge, legislazione e libertà. 
Comunque sia, si tratta di  una resa di conti  che  rischia di travolgere l’intero Occidente.   Tuttavia, prosegue Galli,  « non si tratta di essere “contro” il mondo moderno», di  opporsi alla «modernità»,  ma di  riscontrare  «segnali di difficoltà in quella che è una sua tipica manifestazione, oggetto specifico di questa trattazione, cioè il funzionamento della democrazia rappresentativa» (p. 93).
Ora, al di là dei rimedi “empirici”  suggeriti da Galli alla democrazia americana e indirettamente alle democrazie europee (un mix di buon elitismo politico e partecipazionismo economico),  resta ancora più importante il basso continuo metodologico, che  caratterizza non solo L’impero antimoderno  ma, come dicevamo, la sua intera opera:  la necessità di fare i conti con il lato oscuro e quindi imprevedibile degli uomini. Detto altrimenti: con l' impero antimoderno che è dentro ciascuno di noi.  Il che, di questi tempi,  non è poco.

Carlo Gambescia

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