martedì 1 ottobre 2013

La situazione italiana
L’impossibilità di essere un Paese "normale"




Quel che sta accadendo negli ultimi giorni  prova, ancora una volta, l’anormalità del “sistema Italia”.  Anormalità -  parola grossa -  rispetto a che cosa?  A un  processo, sviluppatosi principalmente in Occidente,  teso a  far coincidere formazione dello  stato nazionale,  nascita  dei parlamenti eletti,  sviluppo delle istituzioni di mercato,  laicizzazione della cultura.
Può piacere o meno, ma negli ultimi secoli,  tutto ciò ha rappresentato  la  “normalità”, altrimenti conosciuta come modernità.  Senz’altro "provvisoria" dal punto di vista della “filosofia della storia”,  ma comunque orizzonte, come dire,  imprescindibile per i contemporanei,  volenti o nolenti.  Naturalmente, non si è trattato di un processo  lineare e cronologicamente perfetto: ogni nazione  ha tuttora le proprie  zone grigie. Insomma,  la “normalità” resta una specie di ideale regolativo  al quale  in Occidente - ma non solo -  molti si avvicinano,  tanti tendono,  pochi  rifiutano.
E l’Italia? Diciamo che si colloca tra i paesi  che per un verso “tendono” per l’altro “rifiutano” la “normalità”. A voler essere più precisi: l’ Italia “tende” a parole ma  “rifiuta” nei fatti. In realtà, a proposito dello Stivale, più che di stato unitario, si dovrebbe parlare di stato pluricomunale; più che di istituzioni parlamentari, di  feudalesimo; più che di mercato, di economia satrapizzata;  più che di laicizzazione, di condomino culturale.
È perciò  ovvio che  nell’Italia  “anormale”,  sempre in bilico tra modernità e antimodernità, sempre in guerra con se stessa, sempre sospesa tra rivoluzione e reazione,  si continui a   brancolare  nel buio in cerca di soluzioni che non possono non essere  provvisorie e inadeguate, perché minate  dalla mancanza di  una netta scelta di campo. 

Come concludere?  Che  dover discutere ancora  di queste cose,  è  veramente avvilente.   

Carlo Gambescia 

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