giovedì 19 gennaio 2012


Il libro della settimana: Umberto Levra (a cura di), Cavour, l’Italia e l’Europa, il Mulino, pp. 268, Euro 20,00. 

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La figura di Cavour ha sempre affascinato gli stranieri, certo non come quelle di Garibaldi e Mazzini, ma di sicuro rimane lo statista italiano più noto e apprezzato all’estero. Naturalmente, non sappiamo se questa fama sia dovuta a quella non proprio eccelsa dei successori. Benché, per restare nella tradizione liberale e democratica, personaggi della levatura di Giolitti e De Gasperi non demeritino affatto.
Non si vuole però proporre alcun sondaggio. Più semplicemente desideriamo parlare del bel volume, curato da Umberto Levra, Cavour, l’Italia e l’Europa (il Mulino, 2011, pp. 268, euro 20,00). Un testo che raccoglie le relazioni presentate all’omonimo convegno , tenutosi a Torino il 6-7 ottobre 2010. E che relazioni! Siamo davanti a un’ottima messa punto dello sfondo culturale, del pensiero e dell’opera, nonché dell’immagine del Conte in Francia, Inghilterra e Germania.
Iniziamo da quest’ultimo aspetto, e in particolare dalla Germania, attingendo dal contributo di G.B. Clemens. Una terra dove, a differenza di Francia e Inghilterra, già unite da secoli, il liberalismo ebbe forti caratteristiche patriottiche e politiche. Di qui, per simpatia, una migliore comprensione del liberalismo nazionale cavouriano, come, ad esempio, nell’opera dello storico Heinrich von Treitschke. Il quale dedicò al Conte una celebre monografia. Osserva Treitschke : «La cosa più utile, che potrei scrivere ora, sarebbe senza dubbio, un saggio su Cavour (…). Una presentazione di quest’uomo potrebbe mostrare al nostro pubblico in modo più efficace di ogni disquisizione generica in che cosa consista la Realpolitik geniale». Insomma, un vero tributo.
Per contro, Cavour, soprattutto in Francia e Inghilterra (più in Francia però…), era inviso a cattolici, legittimisti, democratici e rivoluzionari. Di qui, minore simpatia e, di riflesso, giudizi meno lusinghieri.
Quanto al liberalismo « pragmatico» cavouriano, va segnalato l’interessante contributo di Luciano Cafagna (Libertà di mercato e modernizzazione economica in Cavour). Perché? Cafagna ricorda un intrigante giudizio di un grande storico dell’economia italiana, Carlo Maria Cipolla. Ma lasciamo la parola a Cafagna: « (…) Cipolla quasi a bruciapelo mi disse che Cavour, da ministro, negli anni Cinquanta, aveva sostanzialmente adottato in Piemonte una politica keynesiana avant la lettre. Lì per lì, mi parve un paradosso anacronistico. Ma ripensandoci anni dopo, mi convinsi che l’intuizione di Cipolla era sostanzialmente giusta. Cavour aveva in sostanza una corretta percezione del rapporto tra ampliamento della domanda e stimolo alla crescita e la sua politica economica era effettivamente regolata da questa idea. Anticipò tra l’altro l’uso un po’ disinvolto del debito pubblico, del quale, nella nostra storia finanziaria, si è poi spesso abusato » .
Cavour keynesiano? L’intuizione di Cipolla, ripresa da Cafagna andrebbe esplorata. Perciò, giovani laureati in cerca di gloria accademica, cosa aspettate ? Al lavoro!
Tra i contributi, tutti interessanti, ricordiamo in particolare: Adriano Viarengo (La formazione intellettuale di Cavour), intervento ricco di informazioni sui fermenti culturali nel Piemonte dell’epoca, recepiti anche dal Conte, come quelli di derivazione utilitarista: « “Ti prego di avere massima cura, dei miei Gioia, Romagnosi e Bentham”, scriverà [Cavour] al fratello Gioacchino »; Massimo L. Salvadori (Il liberalismo di Cavour), dove si ribadisce la natura pragmatica del liberalismo del Conte: a metà strada tra liberalismo francese (Guizot, in particolare) e liberismo inglese; Giuseppe Galasso (Cavour e il Mezzogiorno), puntuale ricostruzione delle luci e ombre che costellavano un mito, all’epoca condiviso anche da Cavour: quello del Mezzogiorno, «paese ricchissimo di risorse e doti naturali, che solo il malgoverno di secoli aveva mortificato »; Ennio di Nolfo (Il Piemonte nel gioco delle potenze europee), dove giustamente si evidenzia di nuovo, e in particolare tra il 1847 e il 1861, l’esplicarsi in politica estera della natura concreta del liberalismo cavouriano. Scrive Di Nolfo: «Era un uomo del “giusto mezzo”. Pensava ai fatti che avrebbero potuto dare sostanza all’indipendenza nazionale, ma non si illudeva che questi potessero nascere dalla volontà di poche migliaia di patrioti. Aveva fede nel progresso non come parola vuota ma come fatto concreto: ferrovie, industrie, strade, liberi commerci. Aveva una visione ben precisa dell’assetto europeo e sapeva che, senza quei mutamenti radicali, che certo il Regno di Sardegna da solo non avrebbe potuto provocare, nulla sarebbe mutato in Europa finché le potenze conservatrici fossero rimaste unite. Era dunque pronto a cogliere le occasioni perché i suoi ideali di fondo si realizzassero, non nella fantasia bensì realisticamente».
Perfetto. Aggiungere altro, sarebbe un vero peccato.

Carlo Gambescia

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