martedì 15 marzo 2011


Il nucleare? 
Paura da secolarizzazione


.
Quale può essere l’apporto specifico della sociologia alla soluzione del quesito nucleare sì-nucleare no?
In primo luogo, c’è una branca della sociologia che studia i processi organizzativi quale rapporto tra comportamenti burocratici e disfunzioni: una centrale atomica è un’ organizzazione, produttrice di regole e comportamenti, che interagisce con altre istituzioni, e come tale va studiata, soprattutto come possibile teatro sociale di errori collegati a comportamenti di routine. Potremmo chiamarla “sociologia del giorno prima”.
In terzo luogo, la sociologia si occupa anche del “dopo”, purtroppo. Esiste un’altra disciplina, la sociologia delle catastrofi, che studia le reazioni psicosociali a eventi socialmente distruttivi, come un’esplosione nucleare, Ma si occupa anche degli aspetti organizzativi concernenti i soccorsi, morali e materiali. Potremmo chiamarla “sociologia del giorno dopo”.
In terzo e ultimo luogo, la sociologia dei processi culturali (un tempo sociologia della conoscenza) studia il perché del diffondersi della paura dell’atomo tra intellettuali e collettività in termini di valori e di interazione tra valori e società. Potremmo chiamarla “sociologia del giorno prima e del giorno dopo”.
Le tre branche della sociologia, pur muovendosi su terreni diversi, convergono analiticamente su un punto specifico. Quale? Che i toni esasperati assunti dal dibattito sul nucleare sono un portato del processo di secolarizzazione, particolarmente incrudelitosi nella seconda metà del Novecento, dopo la scoperta della potenza dell’atomo.
Alla base della secolarizzazione, come è noto, c’è la rivendicazione di forza assoluta, da parte dell’uomo, nei riguardi di Dio. Con la scoperta della potenza dell’atomo, si è però fatto un passo ulteriore: l’uomo ha conseguito poteri distruttivi in passato attribuiti solo a Dio.
Di qui un senso di onnipotenza nell’ al di qua, senza alcuna redenzione nell’al di là. La redenzione a metà - solo nell’ al di qua - ha creato un vuoto culturale e psicosociale, contraddistinto per un verso dalla costante paura di fare scelte sbagliate e pericolose (antinuclearisti), per l’altro dal senso di onnipotenza di cui sopra (nuclearisti).
Una contraddizione, piaccia o meno, causata dall’ auto-attribuzione - per capirsi: dell’uomo a se stesso - di un compito sicuramente superiore alle forze umane. Uno stallo - tra onnipotenza e paura della propria onnipotenza - dal quale l’uomo contemporaneo (nuclearista o meno), essere per natura imperfetto, difficilmente uscirà.
Che serva di nuovo un Dio?

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento