lunedì 21 marzo 2011


Anatomia del pacifismo


.
Che cos’è il pacifismo? È una dottrina politica, capace di ispirare veri e propri movimenti sociali, puntando sull’abolizione di qualsiasi atto di guerra tra le nazioni e sulla risoluzione dei conflitti attraverso pacifici arbitrati. Ma su come perseguire l' obiettivo il pacifismo si divide. Due le scuole di pensiero.
La prima scuola, che rinvia alla politica e ai governi, è quella che sostiene le guerre difensive, o comunque le famigerate guerre “che devono mettere fine a tutte la guerre”. Esemplare, sotto questo aspetto, lo spirito wilsoniano. Si tratta della stessa vulgata che oggi innerva ideologicamente le guerre umanitarie contro gli “stati canaglia”. Di regola sottoposti, come sta accadendo alla Libia, a pesanti bombardamenti. Al lato opposto - e ciò valga intanto come pericolosa controindicazione - resta la scelta pacifista in toto di un grande socialista italiano, Filippo Turati. Il quale peccando di grave ingenuità, insegnava in giro che il famoso si vis pacem para bellum, non era “che un giuoco di parole da oracolo di Delfo”. E infatti i fascisti, che non erano sicuramente pacifisti, vinsero. E lui morì in esilio…
Il “caso Turati” introduce alla seconda scuola di pensiero, più radicale. Quella dei movimenti sociali pacifisti che professano, a differenza dei governi, la via della non violenza come unico strumento atto a perseguire la pace. Di solito, come esempio tipico, viene indicato il movimento di indipendenza indiano dalla Gran Bretagna. Che in realtà, nel suo complesso, non fu “non violento”, né prima né dopo. Fermo restando anche un fatto molto importante. Che, come riportano varie biografie, Gandhi negli anni della guerra scorse, in Hitler e nell’imperialismo giapponese, due nemici che dovevano essere messi fuori gioco ad ogni costo, anche ricorrendo all’uso della forza armata.
Quanto sopra significa che il pacifismo puro non esiste, e che, come insegnavano i Romani, se si vuole la pace, vanno sempre preparati gli armamenti necessari per fare la guerra.
Il che significa, tradotto in storia contemporanea, che l’Europa, dopo un secolo di guerre distruttive non può non amare giustamente la pace. Però, se vuole difenderla dai diktat dell’alleato più armato, deve farsi più forte degli Stati Uniti, e proprio sul piano militare. Il che tuttavia non significa cedere di schianto alle confuse e spesso assurde argomentazioni dell’antiamericanismo, ma più semplicemente cercare di perseguire in concreto le giuste condizioni militari per poi “trattare” su un piano di parità con un alleato, con il quale abbiamo indubbi legami storici e comuni tradizioni.
Come si dice, le alleanze e le amicizie, valgono e funzionano solo se fondate sulla parità e sull’equilibrio tra i partner. Quindi fare la guerra, per poter vivere in pace. Ma su un piede di parità.

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento