lunedì 4 gennaio 2010

La Chiesa,  Tremonti e le previsioni economiche
Vatti a fidare...



Prima i fatti.

“Papa Benedetto XVI ha esortato a non affidare le speranze umane agli “improbabili pronostici” di maghi, astrologi, cartomanti e quanti altri. Ma anche le “pur importanti” previsioni economiche, ha avvertito, non possono costituire, la bussola di fronte ai tanti problemi attuali. E’ solo in Dio, ha spiegato nel suo primo Angelus domenicale del nuovo anno, che l'umanità può riporre la speranza di un futuro migliore. Le parole del Papa hanno trovato immediato ascolto nel ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che in un commento al Tg1, ha osservato come il futuro degli uomini non possa essere scritto in un oroscopo o in un software. E' superstizione - ha detto senza mezzi termini il ministro che nel passato si è più volte pronunciato contro le previsioni degli economisti - voler prevedere il futuro delle cose umane, della politica, dell'economia, perché questo dipende dall'uomo. Volerlo sapere a prescindere dall'uomo è arroganza, l'arroganza di una conoscenza che si crede illimitata ma che illimitata non è”

La notizia è interessante per due ragioni.
La prima è che il giudizio del Papa, non tanto sulle previsioni astrologiche quanto su quelle economiche, è frutto del classico contrasto, apertosi con l’avvento della modernità scientifica, tra il “savoir pour prevoir” ("sapere per prevedere") di Auguste Comte e per così dire il “croire pour prevoir” ("credere per prevedere"), tipico di un fede bimilllenaria, come quella cristiana. Parliamo del conflitto tra scienza e fede.
La seconda ragione è nella, più che "prevedibile", strumentalizzazione politica della dichiarazione del Papa, avanzata da Tremonti. Che paradossalmente rafforza la tesi di Benedetto XVI. Per quale ragione? Perché in ambito strettamente teorico-economico il vero problema non sono le previsioni economiche, che possono essere più o meno vicine alla realtà, ma l’interpretazione politica successiva che ne viene data. Che può divergere secondo la diversa appartenenza: i politici, spesso grazie anche a economisti compiacenti, “interpretano” le previsioni secondo le necessità del momento e l’ideologia di riferimento. Proprio come ha fatto Tremonti con le dichiarazioni del Papa, piegandole, probabilmente alle sue polemiche con Draghi, che di previsioni economiche “campa”.
Ad esempio, fin quando la disoccupazione non diventa visibile, fisicamente visibile" (si pensi alle lunghe file di disoccupati che si scorgono nei vecchi filmati sulla depressione economica degli anni Trenta), i dati in materia possono essere presentati nel modo più diverso…
Si dirà, ma la disoccupazione è la disoccupazione… Sì, ma finché resta stabile o ruota intorno all’8-10 per cento, grazie ai meccanismi di sicurezza sociale, i politici possono continuare a fare il gioco delle tre carte, anche giocando sulla complicità dei media, almeno finché la disoccupazione non raggiunga il 15-20 per cento. Oppure fino a quando non vengano meno gli ammortizzatori sociali.


Pertanto il Papa ha ragione, certo tralasciando per ora la questione del contrasto fede-scienza. Insomma, è giusto diffidare delle previsioni economiche, soprattutto se troppo ottimiste, o viceversa troppo pessimiste.
Ma fino a un certo punto. Perché un’economia complessa ha comunque necessità di una base misurativa e previsionale. Ad esempio, come organizzare la concertazione tra imprenditori, governo, sindacati, senza dati di massima , almeno sul presente? Quindi cifre e previsioni "servono".
Concludendo, il problema è perciò “politico”. E' amaro ammetterlo, soprattutto per chiunque si occupi di scienza, la questione riguarda non i dati in se stessi, bensì la loro interpretazione, da cui scaturisce un valore, non scientifico ma simbolico, che in una società fortemente “mediatizzata” come la nostra, diviene determinante dal punto di vista della lotta politica. Per dirla brutalmente: chi controlla politicamente il valore simbolico delle previsioni economiche vince. Il che non significa però che vinca anche il bene comune. Di cui il Papa non può non essere il massimo esperto. 


Carlo Gambescia

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