martedì 19 gennaio 2010

Rapporto annuale Censis
Gli italiani, sempre diversi, 
sempre uguali


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Ma gli italiani possono cambiare “caratterialmente” da un anno altro? Esiste o no uno zoccolo duro, rubricato alla voce “carattere nazionale”, semplificando un mix di genio, sregolatezza, individualismo e spirito di adattamento? E se esiste può mutare ogni trecentosessantacinque giorni?
Sono domande che ci poniamo ogni anno, quando sfogliamo il Rapporto Censis ( http://www.censis.it/ ). Perché al di là della valutazioni sui “freddi” dati statistici, tra l’altro già discussi su queste pagine, quel che ci incuriosisce dei dotti rapporti curati da Giuseppe De Rita, è il tentativo di individuare nel comportamento degli italiani, partendo da quel che è instabile, come il ciclo economico, ciò che invece resta stabile.
E che c’è di più stabile del nostro carattere nazionale, ovvero della capacità di reagire in modo prevedibile a problemi sempre nuovi?
Il grande storico Fernand Braudel includeva nei fenomeni di “lunga durata” la mentalità. Da lui definita una “rappresentazione di se stessi e degli altri”. Un fattore tra i più restii al cambiamento. O comunque lentamente modificabile solo nel corso di parecchi secoli: quasi una “seconda pelle” dei popoli.
Del resto se gli italiani non fossero mai cambiati, non si spiegherebbe, il continuo appello, attraverso le varie età storiche, all’Italia dei Romani, dei Comuni, del Rinascimento, dei Papi, del Risorgimento, della Resistenza… E di conseguenza a tante differenti tipologie di italiani.
Sotto questo aspetto le analisi del Censis partono dall’italiano degli ultimi cinquant’anni, “secolarizzato” dal consumismo. Che però ha molto costruito e prodotto, in linea con la modernità capitalistica e quel mix di individualismo e adattabilità, lo zoccolo duro cui abbiamo già accennato. Un mix che affonda culturalmente le radici nell’italiano del Rinascimento, con i suoi pregi e difetti, fino al servilismo cortigiano. Ma anche nella capacità di sopravvivere a tutto e tutti. Parliamo della famigerata “arte di arrangiarsi”, certo già presente perfino nella commedia plautina, ma largamente sviluppatasi sotto l’incalzare delle invasioni straniere in epoca moderna.
Pertanto, quando il Censis nota che gli italiani ”sono sempre gli stessi”, affermando che siamo una società replicante che “vive in apnea”, il referente sociologico profondo, anzi profondissimo, crediamo sia l’italiano del Guicciardini. Quello, a livello popolare, “del Franza o Spagna, purché se magna”.
Certo, un italiano che va studiato inforcando le lenti della modernità. Anche perché come fa notare il Censis stiamo assistendo “alla dura ristrutturazione del terziario e al silenzioso sfarinamento del lungo ciclo dell’individualismo”. E che c’è di più moderno del terziario?
Tuttavia sullo “sfarinamento del lungo ciclo dell’ individualismo” saremmo più cauti. Perché, stando al Guicciardini viene da lontano. Mentre il Censis ha sott’occhio solo l’individualismo consumistico gli ultimi cinquant’anni:
E questo è il limite, del resto scontato, delle analisi “a breve”. Tuttavia quando il Rapporto asserisce che ”se abbiamo passato senza troppi danni il 2009… non è stata una reazione casuale o improvvisata, ma un ricorrente riflesso condizionato”, si avvicina alla verità storica. Soprattutto quando precisa che gli italiani hanno messo in campo un comportamento adattativo-reattivo che funziona da tempo e cheavevamo visto già all’opera nella crisi drammatica del 2001 e poi nel superamento della esasperazione del declinismo e dell'impoverimento”.
“Funziona da tempo”… Diciamo, almeno cinque secoli. Certo, sappiamo benissimo che il Censis deve sfornare dati sempre freschi. Però, se è vero che gli italiani da un anno all’altro, cambiano di “stato d’animo”, è altrettanto vero che non mutano in quella enorme capacità di adattamento, o “arte di arrangiarsi”, che sembra essere un’importante componente del nostro carattere nazionale.
Conlcudendo, Censis o non Censis, sembriamo fatti proprio così... 

Carlo Gambescia

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