sabato 19 ottobre 2024

Giorgia Meloni e i giudici. Sulle orme di Hitler

 


Una delle tragedie della Germania nazista fu la sottomissione a Hitler, non solo delle imprese industriali e dello stato maggiore, ma soprattutto della magistratura, che inflessibile, applicò, solo perché erano leggi entrate vigore, quindi diritto positivo, tutte le vergognose misure nazionalsocialiste contro oppositori politici, ebrei e altre minoranze.

Lo stato di diritto tedesco sparì sotto i colpi dei decreti hitleriani. Venne svuotato, perdendo  l' orginale ispirazione liberale.  Si agiva in base alle legge,  ma secondo la ratio nazista. E i giudici, lasciati politicamente soli, tacitarono le proprie coscienze, nascondendosi dietro l’impero "legale" della legge, a prescindere dalle sue fonti, chiaramente "illegittime" (la dittatura nazista).  Del resto con Hitler non si scherzava. I pochi giudici che dissero no furono deposti e imprigionati.

Non fu una bella pagina. Finita tra l’altro con una guerra mondiale e un genocidio.

Cerchiamo di farne tesoro. E per una importante ragione. Perché la trascorsa sudditanza, più o meno coperta dal diritto del giudice tedesco, ci aiuta a inquadrare la scomposta reazione del Governo Meloni ai giudici della sezione immigrazione di Roma che non hanno giustamente convalidato ( nessun paese può essere definito “sicuro”, a cominciare dall’Italia da quando è al potere l’estrema destra) il trattenimento di alcuni migranti emesso dalla questura romana presso il centro di permanenza in Albania.

Meloni ragiona come Hitler, non vuole “intralci da parte dei giudici” (testuale). “Behinderung durch die Richter“ per dirla con il dittatore nazista. Rivendica il potere politico assoluto, su tutto e tutti, evocando sistematicamente il paravento ideologico del “chiaro mandato” popolare. Proprio come Hitler, come se il giudizio elettorale del popolo, perseguito con ogni mezzo, fosse il giudizio di dio. Il che non può essere, almeno per chi abbia studiato a fondo Aristotele e Machiavelli.

Fortunatamente, lo stato di diritto, almeno per ora, ancora esiste ( e resiste) in Italia, sicché Giorgia Meloni è costretta a mordere il freno. Non può arrestare i giudici. Perciò la battaglia, come deve essere in uno stato liberale, sarà di tipo legale. Però, dietro le quinte, su quei giudici sarà esercitata dal governo una pressione fortissima, ai limiti della legalità. Si sta tentando, come del resto prova la riforma della magistratura, di svuotare dall’interno lo stato di diritto. Quindi serve una risposta politica. Di principio.

Purtroppo, come abbiamo scritto più volte, la tentazione fascista aleggia intorno a Fratelli d’Italia. Anche gli alleati di governo ( da un bruto come Salvini a un personaggio incolore come Tajani) sono per le maniere forti contro i migranti. La stessa sinistra, ormai in confusione, sostiene una politica dai risvolti inquietanti perché dice sì ai Centri se situati in Italia.

Quei giudici rischiano la solitudine del giusto. E non vanno lasciati politicamente soli, come purtroppo avvenne nella Germania nazista. La battaglia sui migranti, non è solo una battaglia legale su questioni di definizioni giuridiche e di lagnosa accoglienza welfarista, non concerne i mezzi, cioè norme, regolamenti, cerotti, merendine e saponette, ma riguarda i fini, i principi, uno in particolare: la libertà.

Nel senso che ognuno di noi deve essere considerato libero di vivere dove meglio crede. Ubi bene, ibi patria. Questa deve essere la parola d’ordine per ogni vero liberale.

Dietro il no dei giudici si profila un gigantesco scontro politico in difesa della libertà di movimento. Come fu quello contro Hitler: da una parte gli eredi dei nazisti, che difendono l’idea di sangue e suolo, pur usando un linguaggio corrotto e mellifluo, dall’altra chi difende a chiare note la tradizione liberale del libero scambio di uomini, idee, beni.

Si cerchi di non commettere gli stessi errori politici.

Carlo Gambescia

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