sabato 5 ottobre 2024

Gauchet e Manent in gilet giallo

 


Sul numero 79 de “L’Incorrect” (*), rivista della destra cattolica conservatrice francese, molto a destra diciamo, uscito questo mese, si può leggere una duplice intervista, a Marcel Gauchet (1946) e Pierre Manent (1949).

Due illustri intellettuali che, dispiace dirlo, dopo quel che abbiamo letto non possono non essere ascritti, sociologicamente parlando, alla famiglia dei borghesi impauriti. 

Quasi coetanei, oggi professori emeriti, la Francia non li ha trattati male. Hanno decine di libri alle spalle, case editrici prestigiose, riconoscimenti, vita confortevole, eccetera. Manent fu assistente di Raymond Aron, paladino di un liberalismo realista, Gauchet invece di Claude Lefort, grande studioso (da sinistra) di Machiavelli. Manent proviene dal liberalismo conservatore, Gauchet dal socialismo liberale. Insieme, però condividono una visione disincantata della politica. Non si aspettano troppo. Soprattutto da Macron.

E qui viene il bello, anzi il brutto. Perché il nocciolo dell’intervista ruota intorno alla questione della crisi della democrazia rappresentativa. Asserragliata, secondo i due filosofi, in una specie di fortezza, chiusa a qualsiasi confronto con un elettorato, non rappresentato, nonostante i voti, perché esprimerebbe una sensibilità antisistemica a sinistra come a destra.

A giudizio di Manent e Gauchet, come pare favorevoli ad aprire una linea di credito, questa chiusura sarebbe sinonimo di un’incapacità, non tanto ( o non solo) della classe politica macroniana, quanto delle istituzioni rappresentative. Che, e qui il giudizio di Manent, è tassativo, sarebbero giunte al capolinea, dopo un lungo viaggio di almeno due secoli. Anche Gauchet, sembra essere pienamente d’accordo. Con la gioia de “L’Incorrect”, che vede di nuovo riconosciute, e per giunta da due figure illustri, le tesi antiparlamentariste ( e antidemocratiche tout court, si noti il titolo…), del cattolicesimo reazionario, sentitissime in Francia, fin dai tempi di Joseph de Maistre e Louis de Bonald.

Dicevamo, borghesi impauriti. Di cosa? Dell’Europa, dei musulmani, delle guerre, della Russia, della Cina. Che accade allora? Due grandi professori di Francia, abituati a spaccare il capello quattro, si lasciano andare, per reagire con la stessa scompostezza di pensiero dei “gilets jaunes”.

Un passo indietro. Le istituzioni parlamentari non sono crisi da oggi. Tutta la storia dei parlamenti liberali ricorda l’orografia tellurica del Guatemala. La democrazia liberale, a differenza di altre istituzioni politiche, proprio perché aperta al dibattito pubblico, resta più vulnerabile, dal momento che può essere usata, come mezzo e non come fine proprio da suoi nemici. E in Francia è accaduto varie volte, con i Giacobini, con Napoleone I e III, con Pétain, e in modo più elegante con de Gaulle.

E come? Sempre evocando la stessa idea: esiste una Francia che non è rappresentata, eccetera, eccetera. Dov’è, si proclama, la sovranità del popolo? Sottacendo il fatto che, comunque sia, si è dinanzi non a tutto il popolo ma a una parte del popolo. Di conseguenza, quando il non rappresentato, da “parte” diventa “tutto” , quando viene eretto a monumento politico (in buona o cattiva fede), vuole per sé tutta la scena: sale a cavallo e domina la piazza. Il suo scopo diventa quello di impadronirsi del potere e perseguitare gli sconfitti. In “non rappresentato-monumento equestre”, disconosce il concetto di alternanza, che invece è il sale della liberal-democrazia.

Pertanto non è la democrazia liberale ad essere in crisi, o comunque non lo è più di altre volte, ma l’idea libertà. Il borghese impaurito, nelle sue varie stratificazioni (dal coltivatore diretto al professore emerito), alla libertà preferisce la sicurezza. E per questo motivo è disposto a tutto, anche ad abbattere le istituzioni parlamentari. Pecca di egoismo. Per andare dove? Prima verso la democrazia plebiscitaria, poi autoritaria, e infine la dittatura vera e propria di una parte sul tutto. Magari attraverso un capo carismatico.

Sono cose che un professore dovrebbe sapere. E se le dimentica è perché ha paura.

Per contro, Macron sotto questo profilo, piaccia o meno, è un paladino della libertà. Lo si potrebbe definire un borghese coraggioso. Il suo governo è una diga liberale contro il plebiscitarismo di stampo fascio-comunista, per usare un termine giornalistico.

E proprio per questa ragione Macron, viene di solito descritto dai suoi nemici – che sono i nemici della libertà – secondo i criteri e la retorica dell’antiparlamentarismo classico: imbroglione, venduto, eccetera.

Concludendo, che malinconia vedere due professori, due borghesi oggi impauriti, di cui abbiamo letto i libri, spesso con diletto, schierarsi, in “gilet giallo”, dalla parte dei nemici del liberalismo.

Carlo Gambescia

(*) Qui il fascicolo: https://lincorrect.org/produit/n79/ ; qui il sito: https://lincorrect.org/ .


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