venerdì 13 aprile 2018

Il Movimento Cinque Stelle nella storia d’Italia
I Salvatori della Patria



Quasi tutti gli analisti sottolineano la novità politica del Movimento Cinque Stelle.  Però, cosa metodologicamente sospetta,  si evitano, con riguardo alla storia d’Italia, raffronti con i movimenti eversivi della democrazia liberale, dai fascisti ai comunisti. Guai a farne. Si rischia l'espulsione dai nuovi salotti buoni  della politologia.  
Si dice,  ai pochi che osano  obiettare,  che un partito, asceso a forza di governo, in poco più  di dieci anni, non può non essere un fenomeno difficile da giudicare e analizzare. Sicché, se proprio una spiegazione si deve dare,  Cinque Stelle  andrebbe  visto,  si ripete,  come  un partito democratico, anzi ultrademocratico, giustamente interprete del malessere politico, economico ed etico degli italiani, aggravatosi dopo la crisi del 2007-2008, non intercettato da tutti gli altri partiti. Insomma, politologicamente parlando, quella di Cinque Stelle sarebbe una  Success Story
Può darsi.  Tuttavia,  dietro quest’ultimo giudizio sembra ergersi -  fare da sfondo, se si vuole -   la morale del  “chi vince ha sempre ragione”, così cara alla politologia  cripto-hegeliana dei fatti compiuti.  Come se i voti  ricevuti bastassero a dimostrare, o meglio a provare nei riguardi di un partito la sua  natura democratica perché vincente e vincente perché democratica.   
Una  filosofia del successo, per dirla brutalmente, da quattro soldi. Che certa politologia della rassegnazione oggi  estende all'analisi dei populismi. Nulla di nuovo. Una ricetta già politicamente applicata, qui in Italia,  a fascisti e comunisti.  Politicamente, prima che analiticamente: i fascisti, vennero arruolati dai liberali in disarmo e adottati dagli italiani come Salvatori della Patria; i comunisti, consociati, a più riprese dai democristiani e dalla sinistra laica, "indipendente",  come Parte Sana e Democratica del Paese. Quelli che ricevevano ordini e soldi da Mosca. 
Va detto per inciso,  che questo atteggiamento,  poiché coinvolse, politici,  intellettuali, uomini d’affari, gerarchie  religiose  e gente  comune, quindi un larghissimo numero di persone,  ha sempre impedito, una volta caduti,  fascisti (1943) e comunisti (1989),  di ragionare onestamente sugli errori commessi nell’associare chi democratico non era,  se non  - come si riteneva,   sbagliando -  per i soli voti ricevuti.
Probabilmente, qualche lettore riterrà la nostra analisi schematica e soprattutto storicamente incongrua. Certo, Grillo non è Mussolini, Casaleggio, Farinacci.  Ed entrambi non ricordano, neppure lontanamente, Gramsci, Bordiga Togliatti, per non parlare di Berlinguer.  Né il reducismo vitalista dei “santi maledetti”, né il leninismo  hanno nulla a che vedere, soprattutto ideologicamente,  con un partito come Cinque Stelle,  mai  passato  tra le fiamme della  “guerra civile europea”.
Resta però, come costante della storia d’Italia, quell’atteggiamento  degli eletti e degli elettori, insomma di buona  parte degli italiani,  di scorgere, ciclicamente,  la figura del Salvatore della Patria in pericolo,  in una  forza politica giacobina,  con una  visione a dir poco primitiva e antiliberale della dialettica politica.   
Sicché  stiamo  assistendo, come nel 1922, nel 1944 , nel 1976,  a una  recita sulla democraticità.  Oggi tocca a  Cinque Stelle, un partito di virtuisti invasati,  controllato  in modo ferreo  da un ex comico e da un imprenditore del Web. A chi va la parte dell’utile idiota?  Questa volta, non è recitata  da presunti liberali  e  clerico-moderati (come nel 1922), dalla sinistra laica (di ascendenza azionista) e dai catto-comunisti  (come, rispettivamente, nel 1944 e nel 1976),  ma da una forza razzista, protezionista, sovranista,  come la Lega .  Il che la dovrebbe dire lunga sulle pericolose  affinità di programma e idee, chiaramente eversive dell'ordine liberal-democratico, tra grillini e leghisti. Per inciso: qualsiasi riferimento al ruolo decisivo del Presidente Mattarella  non è casuale...
E invece,  per ora,  si evoca lo stato di necessità  come nel 1922, nel 1944, nel 1976. In sintesi:  nel 1922, la guerra civile; nel 1944 la lotta al nazifascismo; nel 1976, la crisi economica e gli opposti estremismi.
Come si può notare,  il modello politico è lo stesso:  1) grave emergenza; 2) rappresentatività democratica data per scontata;  3) governo di unità, salvezza o responsabilità nazionale.
Oggi, l’emergenza sarebbe quella di una crisi economica, in realtà già alle spalle, alla quale  si è aggiunta negli ultimi giorni, a colpi di notiziario, l'escalation (possibile) siriana,  da cui però  ci siamo tirati fuori da un pezzo ( uso delle basi Nato, come minimo sindacale, a parte); la rappresentatività quella di un partito di ragazzini musoni, giacobini senza neppure saperlo,  che hanno vinto alla lotteria della stupidità elettorale; il governo di unità nazionale  che ne sortirebbe,  quello di un gruppo di matricole della politica, incluse le reclute leghiste,  dalle idee annebbiate,  gonfie di odio e risentimento.
Come si può notare, la storia rischia di ripetersi. Certo, come si dice, potrebbe finire in farsa. Potrebbe.  
Carlo Gambescia