giovedì 19 aprile 2018

Il caso del professore di  Lucca, insultato e filmato
Lacrime di coccodrillo




Uno studente di Lucca   minaccia  il professore e  i compagni filmano indifferenti. Sui giornali di oggi tutti si indignano. Che dire?  Lacrime di coccodrillo.  Per giunta, dopo aver visto l’ennesimo sconvolgente  video,  ci si interroga sulla necessità  del ritorno del principio  di  autorità  a scuola. Insomma, che si aspetta, si  dice,  a imporre il   "dovuto rispetto" verso i professori?  O almeno, ammorbidendo i toni,  l' "autorevolezza" del docente...   Certo, come se l'  "autorevolezza", alla stregua di  un caffè, si possa  comprare  introducendo cinquanta centesimi nella  macchinetta… Che ci vuole, insomma...   
Il punto non è la questione  del declino del concetto sociale di autorità e della scarsa considerazione da parte degli studenti per il personale docente. O comunque non solo. Qual è allora? Che tutte le indagini sociologiche  asseriscono che sono gli italiani, per primi, a non voler alcun ritorno del principio  di autorità, neppure nei blandi termini dell'autorevolezza,  perché al settanta-ottanta per cento (secondo le varie indagini) diffidano delle istituzioni in genere e di quelle scolastiche in particolare.  
Altro particolare interessante. Quel che si invoca dopo episodi del genere non è il rispetto del professore, in quanto professore, ma  perché  persona, con una sua dignità eccetera, eccetera. Dell’istituzione-scuola, dal punto di vista dell’autorità, o  almeno dell’autorevolezza "figurativa"  dei professori,   nessuno si preoccupa,  se non nei  termini di puri  interventi umanitari - se si vuole di welfare -   per assistere psicologicamente  le vittime, tutte le vittime, i professori come gli studenti. E come è noto:  se tutti sono colpevoli, nessuno è veramente colpevole. 
Sicché, di regola, come principale responsabile della situazione  viene chiamata in causa la politica, che non investirebbe risorse, eccetera, eccetera. Il che finisce per vincolare l’autorevolezza di un professore  alle ore di  doposcuola e ai bagni funzionanti. 
La  fiducia o meno  nelle istituzioni è qualcosa di profondo e non può dipendere  da un "cesso" (pardon). In Italia  ha giocato in suo sfavore quella sicumera  collettiva (a mezzo servizio però, come vedremo) di  poter fare a meno  di esse. Un comportamento pubblico  che attraversa l’intera storia  dell’ Italia unita.  Certo, con alti e bassi, senza però  smentirsi mai. E che - attenzione -   non implica quella  fiducia in se stessi che rinvia alla sana diffidenza  liberale per lo stato. Ma rimanda a quel tipo di mentalità malata,  cinica e furba, familistica, tipica dell'individualismo protetto, accattone, che consiste nell'afferrare delle istituzioni quel che più conviene. Il ragazzo di Lucca voleva il sei sul registro.     
Il Sessantotto, con le sue pretese di scuola democratica e diciotto politico,  affossò o comunque incise in prospettiva sulla preparazione dei professori, nullificando quella degli studenti. E ridusse i meccanismi della pubblica istruzione a una specie di centro servizi e distribuzione di titoli. Meccanismo che, ovviamente, non poteva funzionare, considerata la particolare composizione di una spesa pubblica in Italia (già ristretta, perché tale),  basata sulle prevalenza delle spese correnti su quelle in conto capitale.  Di conseguenza, quei pochi soldi sono andati a foraggiare  professori inadeguati (con alcune eccezioni ovviamente) e studenti  e famiglie, già storicamente privi di qualsiasi senso delle istituzioni.  Ma non di quell'ethos opportunista che porta ad appropriarsi dei diritti, ignorando bellamente i doveri. 
Concludendo, gli italiani, superficiali, insubordinati,  egoisti, che ora si indignano, tra l’altro evocando - pensiamo ai più acculturati -   ragioni umanitarie, secondo la pedagogia buonista  di oggi,  "del tutti colpevoli nessun colpevole" ( a parte politici e istituzioni, ovviamente), non sono migliori dello studente che ordina al suo professore di inginocchiarsi. Salvo poi, stando ai  mass media, formulare le proprie scuse...  
E così,  tutti  possono continuare a vivere felici e scontenti.

Carlo Gambescia