martedì 11 dicembre 2012

Benché  la questione  primarie sia ormai superata (se non del tutto archiviata...),  pubblichiamo volentieri il post dell'amico Teodoro Klitsche de la Grange. Riflessione, la sua,  che  per profondità  va al di là del dibattito politico  italiano,  spesso  così strumentale.
Il giurista da lui  citato,   Rudolf Smend, pubblicò nel 1928,  Verfassung und Verfassungsrecht, (Costituzione e diritto costituzionale, Giuffrè Editore 1988),  un testo  che all’epoca suscitò grande interesse. Smend, con altri studiosi weimariani, si opponeva  alla  visione puramente formale à la Kelsen,  difendendo una concezione sostanziale del diritto costituzionale,   basata sul concetto sociologico di integrazione.  
De la Grange, intelligentemente, traspone le tesi  di Smend  in ambito  politologico, indagando il rapporto tra democrazia, integrazione partitica e primarie. Buona lettura. (C.G.)







Democrazia e primarie
Teodoro Klitsche de la Grange

 



La diversità di come si “accolgono” le primarie non è tanto indice di “democraticità”, perché la democrazia consiste essenzialmente nel potere del corpo elettorale di designare i titolari della (massime) cariche pubbliche (meglio politiche) e nel diritto di ciascun cittadino di accedervi (e qua non c’è né cariche né corpo elettorale); un po’ di più nel desiderio di contare il peso delle varie componenti; ma soprattutto ha un motivo che attiene al fondamento della forma (e dell’obbligazione) politica.
Ci spieghiamo: se il PD è tutto concorde nel fare le primarie, mentre il PDL è indeciso, ciò non è dovuto – almeno per il secondo – all’assoluta prevedibilità dell’esito, ove si presentasse Berlusconi: una competizione col cavaliere, che alle ultime europee ha preso circa 3 milioni di preferenze (pari all’intero elettorato del PD alle primarie e a circa – a quanto risulta – cinque volte gli iscritti al PDL), non avrebbe storia.
No; la questione principale è un’altra: attiene alla diversità del carattere fondamentale dell’integrazione dei due partiti.
Un acuto giurista come Rudolf Smend sosteneva che: “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato”. Questa, in prima analisi, consiste nella “produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali, quelli che più necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a cominciare dai partiti fino allo Stato. Certo l’opera di Smend era dedicata alla costituzione statale ed all’istituzione-Stato, ma comunque partiva dell’affermazione citata, spendibile per ogni gruppo sociale, e ancor più politico: come un partito. L’integrazione, secondo il giurista tedesco, poteva distinguersi in materiale, funzionale o personale; e in genere è, in proporzione diversa tra loro, tutte e tre le cose insieme.
Se si va a vedere come il PD da un lato e i partiti “berlusconiani” (Forza Italia, PDL) l’hanno realizzata, si vedono differenze fondamentali. In questi ultimi l’integrazione personale attraverso la personalità, il consenso e il carisma del capo è portata al massimo (da cui l’ “eccesso”, spesso stigmatizzato, di populismo); nel PD è al minimo o giù di lì. Lo scarso “fascino” dei dirigenti, fa sì che un giovanotto brillante – un semisconosciuto, tranne che a Firenze – come Renzi abbia mancato di poco la maggioranza.
Inverso è invece il discorso quanto all’integrazione funzionale, quella fondata cioè sulla partecipazione a elezioni, discussioni, referendum, comitati e in genere alle procedure di formazione di un senso e una volontà collettiva. I partiti berlusconiani hanno sempre dedicato scarsa attenzione alle procedure (ed alla selezione dei dirigenti, spesso “calati dall’alto” e non eletti dal basso) ed ai “riti” che portano all’integrazione funzionale. Diversamente dai partiti della prima repubblica (e quindi, da i due “genitori” del PD) questa tendenza – anche per la diversità delle componenti – è stata ereditata, e coltivata, nel PD. Il PDL realizza l’integrazione soprattutto personale, attraverso il rapporto tra capo (carismatico) e base; il PD quella funzionale, attraverso le procedure e i riti creatori di senso, orientamento e volontà condivise (dalla base).
Quindi la diversa attenzione (e importanza) delle primarie non è tanto una scelta tra democrazia e non democrazia (come scrive taluno in vena di polemica) né tra democrazia “plebiscitaria” e democrazia “partecipativa”, ma una necessità determinata dal proprio modo di essere e agire politicamente.
Senza integrazione non esiste soggetto politico unitario: ognuno deve cercare la più adatta a se, o rassegnarsi a coltivare – da privato cittadino – altra attività: dall’ippica al giardinaggio.

Teodoro Klitsche de la Grange


Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

Nessun commento:

Posta un commento