giovedì 6 ottobre 2011


Il libro della settimana: Armando Torno, Il paradosso dei conservatori, Bompiani 2011, pp. 106, Euro 14,00.

http://bompiani.rcslibri.corriere.it/

Mentre si legge Il paradosso dei conservatori (Bompiani 2011, pp. 106, euro 14,00), ultima fatica di Armando Torno, ci si sente sul treno sbagliato, come quel personaggio interpretato dal giovane Verdone in "Borotalco", senza però avere alcuna possibilità di scendere, anche lanciandosi dal finestrino, prima di Civitavecchia… Perché il libro, a maggior ragione una volta letto e chiuso, non offre alcuna via di fuga. Dal momento che nelle sue pagine, come nell’arcinota notte hegeliana, tutte le vacche, conservatrici o progressiste, sembrano avere lo stesso colore: «Chi scrive, osserva Torno, è convinto che il conservatorismo sia un sentimento, un bisogno istintivo più che un’ideologia. Anzi senza infingimenti si potrebbe (…) dividere l’umanità attuale in conservatori e in chi si appresta a diventarlo. Non è una questione legata alla giustizia o alla verità, è semplicemente un bisogno esistenziale dell’uomo ». Insomma, anche il progressista più acceso sembra destinato a diventare conservatore… Di qui, secondo l’editorialista del “Corriere della Sera”, il carattere paradossale (politicamente parlando) di ogni conservatorismo.
Che dire? Troppo facile, addirittura banale. Soprattutto se quel «bisogno esistenziale», viene ricondotto nelle limacciose acque del non sempre maestoso fiume dell’ egoismo umano. Infatti, secondo Torno, « l’egoismo (…) camuffato, sistemato, agghindato in mille modi, con il linguaggio mutato a seconda del momento e della bisogna, diventa il punto di partenza di qualcosa che si desidera conservare ». E su queste basi Torno fa rientrare nel conservatorismo di oggi (ma crediamo anche di ieri), la conservazione della bellezza e della virilità, dell’ambiente, del posto di lavoro, delle strutture burocratiche, culturali e scolastiche. Per contro, le istituzioni politiche non ne farebbero parte. E per quale ragione? Perché, a suo avviso, il conservatore, proprio perché guidato dall’egoismo non può andare tanto per sottile. E così l’una equivale all’altra. Come dire, primum vivere...
Diciamo che Torno, per buttarla sul filosofico-sociologico, coniuga Hobbes e Pareto, senza però avvedersi che ogni buon conservatore è innanzitutto un realista politico. Soprattutto quando si passa, dalle sensibilità collettive all’agire politico e storico del singolo uomo di stato.
Cosa vogliamo dire? Che il vero conservatore considera l’egoismo solo uno dei moventi umani con il quale fare i conti, senza però esagerare. In realtà, si conserva sempre ciò che merita di essere conservato. Insomma, viene sempre fatta una scelta di valore. Il puro egoismo: quel difendere ciò che è mio solo perché mio, non sempre paga. In questo senso, per fare un esempio storico, nel processo unitario italiano, l’Austria, rappresentava il (valore) passato, il Piemonte il (valore) futuro. Cavour, saggiamente, puntò sulla sintesi realistica (dei valori): una monarchia (il passato) estesa all’Italia unificata, ma costituzionale e liberale (il futuro). Ovviamente, ebbe un peso rilevante anche la sua abilità nel muoversi tra gli egoismi delle varie potenze europee e le passioni del movimento unitario italiano.
Ma si pensi, per venire al Novecento, a figure come Giolitti, Churchill, de Gaulle, saggi maestri di realismo politico. Soprattutto quando si pensa ai loro avversari, tutti mossi da un fuorviante sacro egoismo patrio: Sonnino (prima, difensore del «Torniamo allo Statuto»; dopo, dell’ingresso in guerra, la Prima, sul filo del colpo di stato); Chamberlain ( patrocinatore di un’egoistica e rovinosa pace a tutti costi con Hitler) e Pétain ( gretto profeta di un’ inesistente Francia pre-democratica ).
Perciò, Torno fa molto male a citare, come esempio di buon conservatorismo nostrano, il marchese Alessandro Guiccioli, deputato, alto funzionario e diplomatico dell’Italia liberale. Spirito, in realtà, profondamente reazionario, perché nemico delle istituzioni parlamentari. E persino dei pubblici comizi: « forma di manifestazione barbara, pericolosa, antiquata, ingannevole», come scrisse nel suo Diario di un conservatore. Titolo, tra l’altro, inventato a tavolino dalle Edizioni del Borghese, quando nel 1973 ripubblicarono il libro. Effettivamente poi finito, come ricorda Torno, tra gli scaffali dei Remainders. Probabilmente perché “schifato” un po’ da tutti, anche da liberaldemocratici e moderati, proprio per il suo taglio più reazionario che conservatore. Per contro, Guiccioli, non poteva non essere apprezzato da Federzoni, non meno nemico delle istituzioni parlamentari, di cui Torno cita il necrologio. Ma questa è un’altra storia…
Più condivisibile, resta invece, il giudizio di Torno su Sergio Romano: « Si può essere conservatori solo con l’atteggiamento critico di Sergio Romano, ovvero salvando nel proprio spirito quegli anticorpi che consentono di non abbandonarsi alla pigrizia mentale dei pregiudizi o di diventare banali reazionari, di rivedere criticamente idee consolidate e di porsi tante, anzi tantissime domande su quella cosa che in molti chiamano ancora storia» .
Giusto. Ma è appunto ciò che evita di fare Torno, quando al creativo revisionismo storico oppone il determinismo degli egoismi umani, scivolando così verso la deriva del conservatorismo psicologico, se non addirittura biologico.
E questo, e non quello del titolo, è il vero paradosso del libro. Purtroppo.

Carlo Gambescia


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