giovedì 15 settembre 2011

Oggi proponiamo la recensione dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange . Un bel testo in cui si mette a fuoco, partendo dal libro di Preterossi, la relazione tra politico, antipolitico e ciclo politico, con particolare riferimento alle vicende della Prima e Seconda Repubblica.
Buona lettura. (C.G.)

Il libro della settimana: Geminello Preterossi, La politica negata, Editori Laterza 2011, pp. 115,  Euro  16,00 

http://www.laterza.it/
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L’antipolitica avanza. Come scrive l’autore “Il tratto più caratteristico del dibattito pubblico dell’ultimo trentennio è stata la tendenza a una progressiva spoliticizzazione. Un processo che ha investito tanto il piano delle teorie e delle narrazioni, quanto quello dei fatti, delle strutture sociali e istituzionali. Cause e sintomi non mancano: la progressiva demolizione di tutto ciò che è pubblico; lo sdoganamento del qualunquismo più becero; l’inaridimento delle radici della vita democratica, delle sue precondizioni, che ha trasformato la sfera pubblica in fiction, il popolo in ‘pubblico’; l’esaltazione a prescindere della cosiddetta ‘società civile’ ”. Cui hanno contribuito non solo personaggi politici o i media ma anche “la teoria politica e giuridica contemporanea”; in particolare “quelle interpretazioni che, per quanto di matrice disciplinare e culturale diversa, hanno offerto a lungo e in modo convergente una narrazione incondizionatamente ottimistica, quasi ingenua del mondo globale e delle sue intrinseche capacità auto-regolative, contribuendo ad alimentare una sorta di conformismo acritico... Ma oggi la ‘visione’ complessiva che quelle teorie esprimono appare sempre più dimezzata e impotente nella lettura delle contraddizioni del mondo contemporaneo, essendosi separata dalla parte spuria – cioè realistica e simbolica – della politica”.
D’altra parte certe teorie non riescono a dar conto del fatto che il politico, negato (o “risolto”) nella teoria si ripresenti nella politica, magari sotto la “forma” di una clamoroso attentato terroristico: “Il ‘politico’ come sfida dell’immediatezza – violenza, inimicizia, pretese di dominio, prevaricazione, asservimento (anche volontario) – non è affatto tramontato. Né può svanire l’esigenza vitale di rispondere efficacemente a questa sfida”.
Il libro pertanto si articola in “quattro movimenti, scanditi da altrettante questioni sgradevoli, che mettono in discussione le nostre certezze e non si lasciano esorcizzare facilmente: sicurezza, identità, ostilità, populismo”, in cui Preterossi, richiamandosi al pensiero dei classici (Hobbes, Hegel, Schmitt, Gramsci), sottopone a serrata critica alcuni idola del pensiero politico e giuridico contemporaneo. A proposito del quale, tra le molte mende che gli si possono muovere, una la sopravanza tutte: di omettere completamente – o quasi – il confronto con la realtà.
Di guisa che appare come la classica coperta corta, che se copre i piedi scopre la schiena e viceversa. A furia di credere di aver risolto l’enigma del politico, si riesce (nei libri) solo ad eliminare dal proprio orizzonte la realtà dei fatti. Divenendo così dottrina inutile (o poco utile), se non dannosa, come scriveva Machiavelli nel noto passo del Principe “colui che lascia ciò che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara piuttosto la ruina che la preservazione sua”.
Molto si potrebbe dire di questo lavoro di Preterossi e delle analisi che fa di quelle quattro “questioni fondamentali”; ma proprio perché fondamentali (e “vaste”) rinviamo al libro, non potendo essere analizzate in una recensione, limitandoci ad una considerazione conclusiva (e generale).
L’autore ascrive quanto critica ad una deriva – meglio decadenza – del pensiero giuridico e politico contemporaneo, Che è a sua volta il riflesso della decadenza dell’occidente e/o dell’Europa. Ma, relativamente all’Italia c’è un’altra componente fondamentale: il declino delle élites andate al governo (e al potere) dopo la seconda guerra mondiale, rimaste, almeno, al potere anche dopo che l’ordine di Yalta, a seguito del crollo del comunismo è venuto meno. Per cui l’ “antipolitico” non è solo ascrivibile al rifiuto della politica (in generale) ma delle élites, generato dalla decadenza – senescenza di queste dal dopoguerra ad oggi. Che sono quelle le cui “derivazioni” (o parte delle stesse) sono oggetto delle puntuali critiche di Preterossi. Anche all’inizio del ciclo politico che volge al termine, l’ “antipolitico” prese forma nella penna e nell’azione di Guglielmo Giannini, quale critico radicale dei miti e delle idee della classe politica che prendeva il potere. Sarebbe interessante vedere quanto di quella antipolitica vi sia nell’attuale, e le conseguenze che il tutto comporta, soprattutto in termini di delegittimazione della classe dirigente.
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Teodoro Klitsche de la Grange



Teodoro Klitsche de la Grange, avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica "Behemoth"  (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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