lunedì 9 ottobre 2006


Che fine ha fatto la socialdemocrazia?
C'era una volta al sinistra...





“Partito Democratico più di un sogno”. Così ieri titolava "Repubblica". Ma può essere il partito democratico l’unico futuro possibile per la sinistra italiana? Un partito, come quello che si sta profilando, che rifiuti persino i principi storici (redistribuzione e programmazione) della socialdemocrazia? E che creda soltanto nel vago riformismo?
No. Piuttosto che di un sogno si dovrebbe parlare di incubo. O di vera e propria crisi. E si tratta di una crisi che riguarda non solo la sinistra nella sua componente "riformista". Ma anche la sinistra avvicinatasi, magari in ritardo, alla socialdemocrazia... Ad esempio, di recente, il ministro Paolo Ferrero di Rifondazione ha dichiarato al "Manifesto" (7-10-06) che con la finanziaria si "è invertita la lotta liberista". Contento lui...
E’ perciò proprio il caso di dire: c’era una volta la sinistra…”. Può piacere o meno, ma è così. Si tratta ovviamente di un fenomeno non solo italiano, ma che riguarda l’intero Occidente democratico. Tuttavia, la crisi della sinistra è così generale e profonda, che prima di parlarne, è necessario fare un passo indietro: che cosa significa, o meglio che cosa voleva dire essere a sinistra ?
In primo luogo, significava condividere i valori della libertà (come libertà da ogni credo imposto dall’esterno), dell’eguaglianza (soprattutto economica), della fraternità, (principalmente di classe tra lavoratori, o comunque tra uomini sfruttati). In secondo luogo, la condivisione di questi valori implicava un atteggiamento negativo verso il capitalismo, posizione che poteva evolvere in senso riformista o rivoluzionario. In terzo luogo, e qui le posizioni tra socialisti e comunisti divergevano (ma non troppo), la leva per “sollevare” il mondo, era rappresentata dalla politica , dallo stato e dalle sue istituzioni. Per i socialisti, all’economia capitalista si doveva sostituire l’economia mista, la programmazione, lo stato sociale, senza però sopprimere la piccola proprietà privata: al socialismo si sarebbe arrivati per gradi e democraticamente. Per i comunisti invece, gli obiettivi socialisti, non erano che un primo passo verso la trasformazione della società in senso comunista, anche attraverso una "rottura" rivoluzionaria: si doveva a ogni costo costruire un “nuovo mondo” basato sulla proprietà collettiva e (solo in una prima fase) su quella statale dei mezzi di produzione.
I primi in certo senso si accontentavano, i secondi no.
Oggi queste idee (soprattutto quelle comuniste in senso stretto), molto dibattute fino a vent’anni fa, sono completamente passate di moda, anzi chi ne parla rischia di essere definito un passatista o un pericoloso romantico.. Il crollo del comunismo reale, la lenta erosione della “classe operaia”, la dipendenza dal e da potere di molti politici di sinistra hanno giocato un ruolo decisivo nella dissoluzione del “vecchio modo” di essere a sinistra. Basta dare un’occhiata ai programmi della sinistra italiana e alle scelte dell’attuale governo Prodi, per capire, come dei tre valori fondamentali, cari alla sinistra, sia rimasto ben poco: la libertà è intesa soprattutto come libertà esclusivamente civile, se non proprio “privatistica”; l’eguaglianza è ancora accettata ma non deve contrastare i valori di mercato (flessibilità e concorrenza), e in questo senso si preferisce parlare di equità, come eguaglianza delle regole o procedure di trattamento, e non delle condizioni economiche di partenza o di arrivo; la fraternità, infine, è soprattutto rivolta all’esterno, verso categorie indeterminate, come i “poveri” della terra. Il che è nobile e giusto, ma non basta: per cambiare il mondo serve la politica come designazione del nemico e realistica analisi dei rapporti di forza e degli obiettivi. Certo, resta l’antiamericanismo di fondo, che spesso viene però utilizzato strumentalmente, in funzione antigovernativa ( quando si è all’opposizione…): non va infatti dimenticato che nel 1999, con le sinistre al governo, in occasione del via libera italiano all’intervento Nato nel Kosovo, Veltroni patrocinò la prima manifestazione dell’intera storia del movimento operaio italiano in favore di una guerra, praticamente imposta dagli americani agli alleati europei.
Sono rimaste perciò solo le grandi parate e gli slogan politicamente minimalisti (“Contro"o "A Favore" della legge finanziaria di Tizo o Caio) o politicamente incongruenti (“No agli Usa in Iraq, sì all’Onu“), mentre l’atteggiamento nei riguardi del capitalismo, quello che una volta era il nemico principale, si è fatto meno limpido, più pragmatico, e in alcuni casi addirittura servile. A sinistra, come del resto a destra, oggi si parla solo di sviluppo, produttività, competitività e, quel che è peggio, di come ingraziarsi i mercati finanziari.
Di chi è la colpa? Delle idee? Degli uomini? Idee, come quelle di eguaglianza, libertà e fraternità, sono idee forti, sulle quali si può costruire ancora oggi. Le élite (di sinistra) sicuramente non sono state all’altezza dei valori. Ma va anche detto, ad esempio a proposito del principio di eguaglianza, che se questo valore viene preso alla lettera, magari attribuendo allo stato poteri eccessivi in materia, si rischia la deriva totalitaria, come del resto insegna la storia.
Il problema insomma è come declinare concretamente questi tre grandi principi. E al tempo stesso, come sottrarli agli artigli del burocratismo ottuso e feroce (che spesso ha contagiato la sinistra come la destra totalitaria) e del mercato capitalistico ( celebrato dalla destra del denaro e dalla sinistra pseudoriformista) . E’ il vecchio problema della ricerca di una Terza (o Quarta) Via tra sistemi politici diversi: di come liberarsi dal totalitarismo ermeneutico del “di qua o di là”: si può essere di sinistra senza essere di sinistra? (e qualcuno sottovoce aggiungerà di destra senza essere di destra?).
Ai lettori di sinistra (e di destra) la risposta.

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento