martedì 10 ottobre 2006



Analisi
Sociologia dell'inflazione


La Banca Centrale Europea ha giustificato il recente rialzo del tasso di sconto principale al 3,25 %, il quarto da dicembre, evocando il pericolo di “una ripresa inflazionistica”… Ma che cos’è l’inflazione, soprattutto da un punto di vista sociologico. Cerchiamo di capirlo insieme. Soprattutto per comprendere in senso più profondo le decisioni della BCE.
Come un terremoto l’inflazione apre voragini sociali, inghiotte classi e ceti, distrugge patrimoni, stati, imperi. Nella Roma vincitrice di Cartagine elevò i Cavalieri, prestatori di denaro, e iniziò a erodere le laute rendite del patriziato. Nel tardo Impero, il problema di pagare le truppe, attraverso successive riduzioni del contenuto metallico delle monete, rovinò i Cavalieri, ormai “imborghesitisi” e il notabilato provinciale, oppresso da tasse elevate e dalla caduta del potere d’acquisto. Nel XVI secolo l’afflusso di metalli preziosi dall’America distrusse l’economia spagnola: l’orò facile svuotò le campagne e le casse imperiali, disabituò al lavoro un intero popolo, che quando il flusso si interruppe, credeva ancora di poter vivere di rendita. All’inizio del XIX secolo l’inflazione provocata dalle guerre napoleoniche divorò quel che rimaneva delle rendite terriere aristocratiche e favorì l’ascesa di una rapace borghesia degli affari. La guerra civile americana, e l’inflazione che ne seguì (dovuta al cambio delle moneta imposto dal Nord vittorioso), cancellò le aristocrazie sudiste. Per venire ai giorni nostri ( o quasi),  la Germania  non si riprese più politicamente dall'iperinflazione weimariana (nella foto i  marchi  dell'epoca),  sfruttata da Hitler, ancora dieci  anni dopo, per dare il colpo grazia,  agitandone il fantasma,  all'impaurita classe politica repubblicana.
Ovviamente alle inflazioni si accompagnano le deflazioni: fasi di brusca diminuzione dei prezzi. Che essendo in gran parte causate anche da un senso di scoraggiamento generale verso il futuro rischiano di sfociare in periodi di stasi economica e poi in sommosse, rivoluzioni e persino guerre, come negli anni Trenta del Novecento.
Va però ricordato, che con l’avvento del capitalismo consumistico post-1945 (dal credito facile), l’alternanza tra inflazione e deflazione si è interrotta o comunque si è fatta più episodica, almeno fino alla seconda metà degli anni Ottanta. Periodo in cui si è affacciata una nuova spirale inflazionistica con successive, pur lievi, cadute deflazionistiche. Attualmente i prezzi, soprattutto dopo il passaggio all’Euro, sono in crescita. Niente che per il momento riporti ai fenomeni storici di cui sopra, ma sicuramente è in atto, come dire, un sommovimento sociologico, composto di tante piccole scosse, avvisaglie o sintomi appena percettibili. Ma il terremoto, il maledetto terremoto sociale, che ogni inflazione porta con sé, è purtroppo nell’aria. Di qui l’ attuale atteggiamento restrittivo della BCE. A dire il vero poco responsabile, perché i suoi dirigenti ignorano, o fingono di ignorare (per favorire servilmente il dollaro e l'economia americana), i bassi tassi di sviluppo europei. Anche a rischio di soffocare la ripresa economica europea, a causa del crescente costo del denaro.
Ma torniamo alle avvisaglie.
Il primo sintomo è la sfiducia delle classi medie a reddito fisso verso la crescita del proprio potere d’acquisto: operai specializzati, dipendenti pubblici, quadri intermedi, statali e privati. Purtroppo, come già si scriveva nel Cinquecento, il primo segno di inflazione è rappresentato dalla sensazione che intorno a noi tutto aumenti. Una specie di sintomo dell’assedio, avvertito psicologicamente da chi non abbia altre entrate, come un pensionato pubblico ( monoreddito, come si dice...) . Dopo di che, per contagio sociale, la sensazione di diffonde, provocando ulteriori aumenti dei prezzi, e preparando la successiva deflazione ( che sarà tanto più dura quanto più elevato il tasso di inflazione).
Un secondo sintomo è il consumismo euforico che distingue lo stile di vita delle classi a reddito variabile: imprenditori, professionisti, industriali, grandi distributori, operatori del “lusso” e della finanza. I quali assecondano l’ascesa dei prezzi, e vivono come tutte le classi sedute su un vulcano acceso, molto al di sopra dei mezzi disponibili, convinte e fiere della giustezza del loro stile di vita, ma ignare che la successiva deflazione può sancirne la sparizione.
Il terzo sintomo è l’incapacità dei governi. In primo luogo, come mostra la vicenda dell’Euro (il cui cambio troppo elevato ha penalizzato monete debole come la Lira), si registra una sudditanza totale nei riguardi dell’economia, come accadeva nella Spagna del Cinquecento. Se i re spagnoli erano nelle mani di voraci prestatori di denaro, i governi di oggi sono prigionieri di banchieri ed economisti (con alcune eccezioni..,) al servizio dei poteri forti. In secondo luogo, molti governi mostrano di non voler o saper affrontare adeguatamente i problemi di coloro che hanno redditi saltuari o non ne hanno affatto: una massa di poveri (disoccupati, pensionati sociali, immigrati, eccetera) destinata perciò a crescere e, purtroppo ad assorbire i nuovi poveri (i ceti medi declassati da una più che probabile ripresa della spirale inflazione-deflazione).
Classi medie in difficoltà, ceti ricchi irresponsabili, governi imbelli, povertà crescente. I sintomi ci sono tutti, come del resto mostrano le statistiche sociali. La terra potrebbe perciò iniziare a tremare di nuovo e sul serio. Complici la crisi petrolifera, le guerre americane e il terrorismo. E come sempre l’insipienza degli uomini.

Carlo Gambescia

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