giovedì 14 settembre 2006




Le ferie degli italiani secondo Rutelli 

Uozzamerica!




Per fortuna è sceso il silenzio, ormai da giorni, sulla proposta rutelliana di “riorganizzazione delle ferie degli italiani”, seguendo un modello americano.
Ma che cosa che cosa c’era (e c’è) di serio nel progetto? Poco, molto poco… Vediamo perché. Innanzitutto negli Stati Uniti dove si lavora di più (una media di cinquanta ore settimanali contro le trentacinque-quaranta europee) e si fanno meno ferie (sette giorni annui contro trenta) si guadagna meno che in Europa. Negli Usa salari e stipendi medio-bassi sono fermi da almeno una decina di anni. Nell’ultimo decennio un operaio americano ha infatti guadagnato (in termini di potere d’acquisto) meno di quello che percepiva negli Sessanta. Di più: la distanza tra gli stipendi medio-bassi (alcune decine di migliaia di dollari) e gli stipendi medio-alti (alcune centinaia di migliaia di dollari) è cresciuta e cresce a velocità esponenziale. Un quadro-dirigente (medio alto) guadagna almeno cento volte in più di quel che percepisce un impiegato di basso livello (per non parlare di un operaio). Mentre un alto dirigente mille volte di più. Per i top manager, infine, si parla di cifre quasi incalcolabili. E, soprattutto, di distanze economiche e sociali praticamente incolmabili, nonostante la persistenza del mito del self-made man.
Quel che però qui interessa è che le ferie ridotte, e l’ alta produttività americana non corrispondono a una qualità di vita europea. In America, la distinzione tra ricchi e poveri è lampante, e la si scopre appena si prende la metropolitana… Pertanto, agli orari di lavoro massacranti non corrisponde alcuna riduzione delle distanze sociali. Come è noto, secondo alcuni studiosi marxisti, l’elevata produttività del capitalismo, non solo americano, implica automaticamente un durissimo sfruttamento, più o meno mascherato, del lavoratore. Di qui la famigerata richiesta di “lavorare meno lavorare tutti”…. Probabilmente esagerano, ma in certe analisi, a partire da quelle classiche di Marx, c’è del vero, soprattutto se pensiamo che il venticinque per cento della popolazione americana vive oggi in condizione di povertà e semipovertà. Per non parlare della situazione in cui versa larga parte della popolazione mondiale.
Gli Stati Uniti non sono perciò un buon esempio. Ma gli americani di Europa come Rutelli sembrano ignorarlo e parlano di riorganizzazione “lavorista” delle ferie, coprendosi così di ridicolo.
Va poi precisato un aspetto: l’americano e l’europeo ( o l’italiano) medio giudicano il lavoro secondo modalità profondamente differenti.
Negli Stati Uniti, è ancora piuttosto diffusa, soprattutto tra le classi medie, la mentalità di derivazione calvinista e puritana che scorge nel lavoro uno strumento per realizzarsi agli occhi di Dio, o molto più realisticamente dei vicini… E si tratta di un atteggiamento, più comune di quanto si creda, presente anche nella borghesia multiculturale di origine nera e ispanica, e ovviamente in quella di più antica immigrazione.
Invece in Europa, soprattutto quella cattolica, vale ancora oggi, l’antico principio del lavoro come “mezzo” per guadagnarsi la vita e non come “fine” in sé. Fortunatamente l’ Europa risente di un antico cattolicesimo spirituale e sociale: con i suoi tempi dedicati al rito, alla pratica di elevazione, e non di puro aiuto del povero, alla vita interiore (l’ora et labora, è assai diverso dal labora e basta della tradizione protestante…). Ma ha la sua importanza anche una tradizione precristiana segnata dall’ idea di otium , dai tempi di vita “lenti” , e dal gusto dionisiaco della festa; tradizione ancora viva nel Mezzogiorno europeo.
Si tratta insomma di mentalità profondamente diverse. Per dirla tutta, la proposta rutelliana nasconde una volontà, non sappiamo quanto consapevolmente motivata, di “americanizzare” massicciamente l’ Italia e l’Europa. Come se non lo fossero già abbastanza…
Infine, quel che più infastidisce, è che il modello lavorista americano, venga presentato da una stampa compiacente, come “libertà dal calendario e [dalla] gabbia delle abitudini (La Repubblica, 3 settembre).
Certo, il “lavoro rende liberi”… 

Carlo Gambescia

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