lunedì 25 settembre 2006


Eutanasia
Banalità del bene?




In qualsiasi vocabolario alla voce "eutanasia", si può leggere, più o meno, la seguente spiegazione: "Morte non dolorosa provocata o accelerata con mezzi che interrompono l'agonia degli ammalati incurabili (dal greco euthanasia comp. di eu 'buono' + thanatos, 'morte'; 'buona morte')".
Ora, il suicidio, che per chi lo compie, se non proprio è la "buona morte", perché spesso le sue "metodiche" non sono "indolori", resta comunque una "buona", nel senso di brusca, quanto immediata, uscita da una vita che si ritiene "cattiva", perché non offre più nulla di buono dal punto di vista soggettivo. Tuttavia, e questo va detto, il suicidio, sotto l'aspetto sociologico, per quante classificazioni, si possano fare, resta un mistero. Soprattutto perché rimane un atto soggettivo, tipicamente soggettivo: una libertà estrema, che viene usata contro se stessi. E, come è noto, la libertà (come vita e morte) resta un mistero. Un enigma di cui si può disquisire filosoficamente o religiosamente, ma sempre sulla base delle differenti sensibilità e culture. Il dibattito può perciò anche essere appassionante, ma non può offrire soluzioni definitive, accettate da tutti.
I comportamenti dell'uomo possono però essere socialmente regolati, dall'esterno. Nelle nostre società, governate da processi di razionalizzazione e di ricerca dell'efficienza sociale, la libertà non viene forse regolata legislativamente ? Pertanto era quasi scontato, che prima o poi, si sarebbe giunti alla "regolazione sociale" della morte. Come infatti sta avvenendo in molti paesi... E qui va tratta una prima conclusione. L'eutanasia per legge, non è un fatto di libertà, ma rappresenta la traduzione in dettato legislativo, di una necessità del sistema sociale: quella di razionalizzare, rendendola socialmente "accettabile" e gestibile, la morte dei singolo.
La regolazione sociale, e qui veniamo al secondo punto, implica però la presenza di burocrazie composte di esperti, in grado di "perfezionare" , o più spesso di sostituirsi, alle decisioni dei singoli. Con il corollario, classico, dei processi di razionalizzazione: quello del "controllo dei controllori" e dunque della possibilità di valutazioni diverse e perciò talvolta contraddittorie. Aspetti, ai quali vanno ad aggiungersi, certe inefficienze tipiche dei processi burocratici (legate alla cosiddetta "mentalità di routine"), oltre che alla difesa di rendite parassitarie, "difesa" che spesso sconfina nell'illegalità e nella corruzione. Insomma, come insegna Max Weber, e prima di lui altri studiosi e filosofi, spesso i processi sociali subiscono l'eterogenesi dei fini: il bene (perseguito) si trasforma in male (realizzato). Questo per spiegare che il perseguimento della razionalità sociale (dal punto di vista sistemico-oggettivo) può tradursi in dannosa irrazionalità individuale (dal punto di vista individuale-soggettivo). Insomma, spesso il risultato delle azioni sociali non dipende dall'obiettivo prefissato ma dal modo in cui le condizioni istituzionali esterne rischiano di modificarlo, o trasformarlo completamente. In peggio.
Sono tutte riflessioni che dovrebbero pacatamente fare coloro che si battono oggi per il "testamento biologico", che in sé è un supremo atto di libertà - dando per scontata l'accettazione del punto di vista oggi prevalente - , ma che in realtà rischia di trasformarsi in una libertà, come già accade in altri campi, burocratizzata, e dunque nociva per l'individuo, e di ritorno per la stessa società. Si pensi solo alla difficoltà di trasformare certi parametri soggettivi in oggettivi: ad esempio come stabilire una soglia di sopportabilità dolore? (Che varia da individuo a individuo).
Certo, non neghiamo che si possano stabilire "standard". I quali, però, proprio perché riflettono valori medi, farebbero scomparire le tanto celebrate differenze individuali. Un ragionamento, questo, che può essere esteso agli altri problemi "tecnici" o medici che riguardano l'eutanasia.
Certo, tutto si può fare. La nostra è una società che finora, nel bene e nel male, non si è mai fermata davanti a nulla. Ma l'eutanasia, la "morte dolce", come scrivono quasi tutti i giornali, può essere ridotta a un problema legislativo di "regolazione della libertà"? O di puro e semplice uso burocratico di risorse economiche? O, per dirla tutta, trasformarla in un' ennesima manifestazione di "banalità del bene"?

Carlo Gambescia

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