martedì 19 settembre 2023

I “soldati giapponesi” d’Italia

 


Il buon cinema, come un buon libro, è quello che fa riflettere. È questo il caso del film che abbiamo visto ieri sera: “Le due vie del destino” – “The Railway Man” (2013). Tratto da una storia vera.

La pellicola è incentrata sulla vicenda di un prigioniero britannico dei giapponesi, che riesce a sopravvivere alle torture e al duro lavoro per la costruzione della “ferrovia della morte” (quella, per capirsi, del “ponte sul fiume Kwai”), torna a casa traumatizzato, si vuole vendicare del suo brutale carceriere ma  non riesce: il torturatore, finalmente nelle sue mani, si pente sinceramente, ammette le proprie colpe, si abbracciano, piangono insieme, nasce un’amicizia per tutta vita.

Pertanto abbiamo una sequenza, sebbene individuale, che ha un valore sociologico: il delitto, la vendetta, il senso di colpa, il perdono, l’amicizia.

Pensavamo ieri sera: quando oggi in Italia si parla dei delitti fascisti e delle vendette partigiane, si è ancora fermi ai primi due passaggi: delitto e vendetta.

Vendetta, parola tremenda, soprattutto in bocca ai vincitori. Tuttavia i fascisti dopo Mussolini non hanno mai ammesso le proprie colpe è non hanno mai visto nelle riposte partigiane, alcune in effetti difficili da giustificare, un atto di giustizia. Di conseguenza, quando non si avverte il senso colpa, come consapevolezza del male commesso e della giustezza della punizione, resta impossibile pervenire al perdono e all’amicizia. O a quel che si chiama, nel caso italiano, memoria condivisa, che ovviamente, non può includere la giustificazione del male commesso dai fascisti.

Va detto che se fino alla nascita di Alleanza Nazionale i missini rivendicavano addirittura la bontà della dittatura fascista, dopo Fiuggi, per gradi, hanno sposato la strategia dell’omissione storica: non si parla più del fascismo, né bene né male. Giorgia Meloni, da ultima, sotto questo profilo, mostra di essere abilissima. Quest’ anno è riuscita a celebrare il 25 Aprile senza pronunciare la parola antifascismo.

Si badi bene, esistono due tipi di antifascismo: 1)l’antifascismo del ricatto, che ogni volta sposta l’asticella verso l’alto, e 2) l’antifascismo del senso di colpa, quello sincero che i fascisti dopo Mussolini, dal Movimento Sociale a Fratelli d’Italia non hanno mai provato.

In fondo, l’antifascismo del ricatto, al netto dei suoi usi come risorsa politica da parte dell’antifascismo di sinistra, ha origine reattiva, prima sul campo, per ragioni di pura sopravvivenza, poi, in seguito, nella perdurante assenza di limpidezza politica dei fascisti dopo Mussolini.

Il giapponese nelle ultime battute della pellicola non rimprovera al britannico, alleato degli americani, l’uso della bomba atomica. In Italia, i fascisti recriminano tuttora, su quella che per loro fu una piccola bomba atomica: la fucilazione di Mussolini.

Giorgia Meloni, omette furbamente di parlare del fascismo, ma se decidesse di farlo, evocherebbe subito la triste sorte del “duce assassinato”. Perché? Per la semplice ragione che tra i fascisti, di ieri come di oggi, non esiste alcun senso di colpa. Non si riesce ad accettare che un regime nato nella violenza non poteva non finire nella violenza. La classica spirale dell’odio. Ripetiamo: è come se nel film quando  al  britannico che   ricorda al giapponese le torture subite, quest’ultimo rammentasse l’uso della bomba atomica da parte degli alleati americani. La violenza reattiva (bomba atomica) è una cosa, quella attiva (esercitata sui prigionieri e sconfitti) un’altra. E non è questione di numeri finali: di gretta contabilità delle vittime. Ma della decisione di ricorrervi per primi, semplicemente per aggredire un nemico che si presume più debole. C’è un antico proverbio biblico che aiuta a capire meglio di tante parole: “Chi semina vento raccoglie tempesta”.

Il senso di colpa, se sincero, non consente di guardare nel giardino dell’altrui coscienza, invece vi si guarda quando non si prova alcun senso di colpa. E questo è proprio il caso di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, che, pur tra le omissioni, nasconde a fatica il suo livore, ricorda il collo di un vulcano, una temporanea solidificazione del magma in cima.

Un specie di “tappo” su un partito in ebollizione, integratosi passivamente nel sistema politico, “tappo” che può saltare via in qualsiasi momento. Pertanto il vero pericolo per la libertà non è rappresentato, o comunque non solo, dal populismo di Salvini, ma da un partito  come  Fratelli d’Italia che continua a non provare alcun senso di colpa. Sotto questo aspetto asserire che sono trascorsi ottant’anni dalla fine della guerra, non significa assolutamente nulla. Perché senza senso di colpa è come se il tempo si fosse fermato, dal momento che senza l’autentica consapevolezza del male commesso,  non possono seguire le fasi successive del perdono e dell’ amicizia.

Un’altra prova, crediamo definitiva, di questo atteggiamento, si può ravvisare nella rivendicazione da parte di Fratelli d’Italia, per bocca di La Russa, del carattere “afascista” della Costituzione: perché non vi ricorrerebbe esplicitamente il termine antifascismo. Ci si attacca al “codicillo”  -  del resto La Russa è avvocato -   pur di non ammettere le proprie colpe. Come detto, strategia dell’omissione storica.

Ovviamente la sinistra incalza. Ricatta. Brutta parola. Ma cosa può  fare? Se i “ soldati giapponesi” d’Italia non provano alcun senso di colpa?

Carlo Gambescia

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